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Full text of "Raccolta completa delle canzoni piemontesi e dei poemetti"

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jìrezzo L. 5,00. ^ri.S)<;^-j^i_-^ f--j- 

^dÌzi^n^centenarT^ 

(UNICA CON I COMIIIBMTI) 

RACCOLTA COMPLETA 



E DEI POEMETTI 
ANGELO BROFFERIO 

oon Vita, Commantl atorloi ed estetioi, Ritratti 
e BUaMografla. a onra di L. DE-HAURI 



TORINO — 1902 
LIBRERIA ANTIQUARIA PATRISTICA 

Vik XX Settembre, BT; preaao la Piaiza S. Oiovaoni 



LIBRERIA ANTIQUARIA PATRISTICA 
Torino, Via xx Settembre, 87. 

STORIA E STATUTI DI VINOVO 

Fra breve sarà da noi intrapresa la pubblicazione 
dell'opera: 

Storia e Statati della Comunità di Vinovo (in 

territorio di Torino, già feudo della nobilissima Famiglia 
Della Rovere di Piemonte). 

Ecco il Sommario delle Materie: 

PARTE I., Storia: Corografia dei luogo; — Descri- 
zione Storico -Artistica del Castello e degli Edifi;(i antichi 
del paese; — La Vita in Vinovo nel Medio Evo; — Diario 
storico Vinovese; — Le lettere e le arti presso i Della 
Rovere (Piero Della Rovere Trovatore, secondo gli 
studi più recenti; — Cristoforo Della Rovere Cardi- 
nale; — Domenico Della Rovere Cardinale, Mecenate 
di Artisti e di Letterati; — Un umanista Vinovese^ Ge- 
rolamo Della Rovere; — Piero Valeria no letterato 
da Belluno ed i suoi amori colla bella Zeffirina Vino- 
vese; — Claudia Della Rovere Poetessa), — Albero 
Genealogico dei Della Rovere; — Loro stemma; — // 
Cardinale Delle Lanze; — Religione e patrimonio eccle- 
siastico in Vinovo; — Storia della Fabbrica di Porcellane 
Vinovese; — Stefano Gavuzzi e la sua Adramiteno ; — 
Vinovo dei nostri tempi, 

PARTE IL, Statuti di Vinovo: Collazione ed or- 
namentazione del Codice Originale; — Considerazioni 
intorno al testo del Codice; — Facsimile della 1/ pagina 



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CANZONI PIEMONTESI e POEMETTI 



DI 



ANGELO BROFFERIO 



Altre Opere di L. DE -MAURI 



L' Amatore di Maioliohe e Porcellane, di L. De-Maurc, 

ili. da splendide incisioni in nero^ 12 superbe tavole a colori e 
da 3000 marche» i voi. di 650 pag. (Edizione Hoepli, Milano), L. 12. 

L' Amatore di oggetti d' arte e di ouriosità, di L. De-Mau&i, 

adomo di numerose incisioni e marche, i voi. di 600 pag. (Ediàone 
Hoepli, Milano) L, 6,50. 

Notioe sur les Meubles faits sur dessin de Prudhon, offerts à Marie 
Louise Impérat. de France par les villes de Paris, Lyon, Marseille, 
Bordeaux; et détruits à Parme en 1831. i voi. in- 16*, ay. io 
gravures, Paris, Racinet, 1895. '^ii'ftge à 50-ex numér. 5 frs. 

Poesie Piemontesi di EDOARDO CALVO, Edizione Cen- 
tenaria adoma di una Vita^ due Ritratti| Note • Biblio- 
grafia, a cura di L. De- Mauri. Torino, Libreria Antiquaria 
Patristica, 1901. i voi. L. 1. 

Storia e Statuti di VINOVO (in lavoro, — Vedasi nell'in, 
temo della copertina T Annunzio dettagliato). 

Della presente Sdìzìone Centenaria 

Completa^ oltre la tiratura comune a 
L. 89&O per copia, si sono stampati 25 
esemplari su carta a mano, intonsi, numerati 
e firmati, al prezzo di L. 5* N\\i [ 



EDIZIONE CENTENARIA, unica con i commenti 



RACCOLTA COMPLETA 



DSLLE 



CANZONI PIEMONTESI 



E DEI POEMETTI 



DI 



ANGELO ^ROFFERIO 

» 
eseguita colla scorta di tutte le Precedenti Edizioni e dei Manoscritti, 

con Prefazione^ Tita, due Ritratti, una Caricatara, un Antoin^fo, 

« copiosi Commenti storici ed estetici e Bibiioirrafla, a cura 

DI L. DE -MAURI 




^ Né'l pericdl né '1 malheur 

«A l'àn mai cambiarne '1 coeur ». 



TORINO — 1902 
LIBRERIA ANTIQ.UARIA PATRISTICA 

Via XX Settembre, N.« 87; presso la Piazxa S. Giovanni. 










La presente Edizione Centenaria^ autorizzata dagli 
Eredi delV Autore^ è posta sotto la tutela delle ' vigenti 
leggi per la itroprletll Artlatlea e Ijctiermr la, estesa 
alla 'Vita ed alle iVoCe — Difenderemo col massimo 
rigore i nostri diritti. 



Modena, Società Tipografica Modenese. 



^m^^^'^m'm'^m'^m'^^'m'^.'^M^m^m^^'^M'm'^m'^^'m^m 



PREFAZIONE 



Ficcfaia e casta. li §0)0 weende, 

E ritplende 

Su la fronte e l'opra mde. 

Picchia. S per ia libertade 

Ecco »pade, 

Seco «codi di fortesza: 

£coD serti di rittoria 

Por U gloria, 

K diademi a la belleuta. 

(G. CàSDPCCi, /lim0 nuovt: 
Congedo f II Poeta] ). 



Angbix) Brofpbrìo un di scriveva: « quandMo morirò, 
« se ne parlerà per un giorno in Italia, per due alla Ca- 
« mera, per una settimana a Torino, per quindici giorni 
« tra i miei amici, e poi tutto sarà finito della mia me- 
li morìa ». ^ 

Ma errava: egli aveva lasciato di se un'orma così pro- 
. fonda, che ciò non poteva avvenire. Alcune opere delP in- 

S^egao hanno una immanenza più tenace ed estesa, mercè 
a tradizione orale e scritta ed il sussidio della stampa, 
che non le opere maestose della mano. 

Nella universale caduta di istituzioni, di riti, di formi- 
dabili imperi e di armate legj^i, si tramandarono di età in 
età non poche pagine di storia e canzoni in volgare di 
ignoti autori e splendidi squarci di poesia nazionale. De^Q^ 
è che immortale perduri la memoria di Angelo Brofierio 
nelP animo d^li Italiani a cui sempre fu sacro il culto 
degli uomini grandi: e Brofferio è una grande figura del 
nostro Risor^mento. 

Come altri, (perchè questo culto non si affievolisca e 
continui nei figli nostri) hanno intrapreso in questi anni 
passati la pubblicazione di libri celebri di cui non si trova 
piò facilmente una copia, così, ma in forma più che mo- 

b 



— VI — 



desta, abbiam voluto dare Panno scorso una Edizione 
Centenaria delle poesie piemontesi di Edoìlrdo Calvo, ed 



liberale che giunto a morte in età molto più avanzata di 
Calvo, passando oltre per tre monarchie assolute e alla 
quarta costituzionale, indipendente visse e fiero cittadino 
spirò senza avere mai ripiegato bandiera. 

Calvo e fiROPP£Rio sono due poeti civili che presentano 
fra loro molti punti di contatto e si completano a vicenda : 
i loro versi comparati fra foro formano un tutto organico. 
Il primo combatte e sferza i falsi amici esterni che invasero 
la patria: il secondo appunta gli strali de' suoi versi contro 
i nemici esterni ed interni. 

In entrambi è vivo e sincero P amore al paese natio e 
più specialmente al popolo che tace e soffre: grande Pira 
verso i dirigenti rapaci e spavaldi, mirabile il coraggio 
nelP affrontarne le vendette. 

Il riso sarcastico sfiora le labbra delPuno e delP altro 
in modo eguale quando s'imbattono in nullità gonfie di 
superbia, e con pochi versi le annientano. 

Nei loro canti palpita la grand' anima del popolo, sin- 
cera e generosa, anelante alla scienza sotto la grave mora 
delle superstizioni, perchè entrambi sono inteìfletti liberi 
e sdegnosi figli di popolo. 

Queste furono le cagioni per cui facciamo seguire P uno 
all'altro j>oeta dialettale. 

BrofTerio nacque cent'anni sono. Questo è un nuovo 
argomento per ricordarlo: quindi il presente libro ha ca- 
rattere di Centenaria Commemorazione. 

Abbiam voluto arricchire il Canzoniere di una Vita e di 
Note Ermeneutiche^ Storiche ed Estetiche^ perchè l'opera 
del Poeta riuscisse maggiormente gradita ai pratici ed ac- 
cessibile ai meno famigliari colla parlata piemontese : ed 
in questo ci siamo studiati di mai dipartirci dalla verità 
e di svolgere il pensiero libero del Poeta senza mai me- 
nomarlo o tradirlo. 

Né abbiamo trascurato di fissar memoria di luoghi^ usi e 
costumi Torinesi^ dai tempi del Poeta ad ora spesso mo- 
dificati; di dare alle Can3[oni un ordine cronologico ra- 
^[ionale (ricercando sempre attentamente le date), e di di- 
viderle, PER LA prima volta, iti due Periodi nettamente 
distinti. 

Infine, come facemmo pel Ca/vo, abbiamo preferita P or- 
tografia moderna all'antica delle prime stampe modellata 



— VII — 



puramente sulla scrittura delle parole Francesi, perchè il 
nostro dialetto non è una pretta importazione di quella 
lingua d^oltr^ Alpe, ma in parte è indigeno. E di essa Or- 
tografia abbiamo data una Tavola^ a pag. 30, che servirà 
di guida per la pronuncia. 

Il nuovo Indice dei Capoversi, poi, renderà di èsito im- 
mediato ricerche. 

Ma la via lunga ne sospinge. E tem{>o che del Poeta, 
e non più delP opera nostra, reverente si parli. Lasciamo 
giudice di questa il Lettore. 

L. De Mauri. 




ANGELO BROFFF.EUO 



.qg,Jga.vSg-J®-Cg2.^e~S^--'^--S^>^B.-5^-5g-^iÌe>5!S~Sg.-S>^^ 



ANGELO BROFFERIO 

AVVeNCMI^NTI PftlNCIPAU DBLLA SUA. VITA^ — II POBTA 

It PouTiCo. — Lo Storico. — L'Oratoix. — CcmcLnsiDais 



« Dirà la Storia come la lìbera p»- 
e rokt éeì Poeta e <i»U\Oratai)e ^bùmo 
€ potentemente contribuito a mantenere 
« al paese quella forza e quell' ardimento 
« che erano necessari i alla grande im- 
«presa ». 

Tommaso Villa 
. . ( FreCaz; allf Edi*, del 1868 ). 

Angelo. B&QFFEAio nasceva in Castelnum^o Caìcea^ pic- 
cola terra delP Astigiana, il ó dicembre 1802 (i). Apriva 
gli occhi alla luce nello stesso anno, ma in più vasto 
campo di azione e di fama, il poeta delle CÀ^m^o/i^ des 
rues et des bois^ Peloqaetite demolitore del patibolo e di 
tutte te tirannidi, il drammaturgo^ P epico, il romanziere 
di tutti i perseguitati da Triboulet ai Miserabili^ Victor 
Hugo. Gli eventi lo dovevano con esso legare in corrispon- 
denza letteraria e politica con vincoli di stretta amicizia. 

L'esser nato di padre colto scienziato e P essev cresciuto 
ai prossimi raggi di quel sole che accese P anima sdegnosa 
di Vittorio Alfieri^ pensiamo sieno stati validi coefficienti 
a svolgere Pindipenoenza del suo carattere e la robustezza 
del suo ingegno. 

Dopo aver appreso i primi elementi delle lettere dal 
padre stesso^ all'età di nove anni entrava nel collegio di 
Asti, dove in modo speciale manifestò disposizioni alle 
cose drammatiche: quindi nel 18 17 veniva colla famiglia 
ad abitare in Torino per continuarvi gli studi. 

Il padre lo voleva avvocato, ed egli frequentava P uni- 
versità: ma i romanzi e i drammi l'attraevano più chele 

(l) Da Giuseppe Brofferìo Dottore in Medicina e Chintrgia, e da 
Pavia. Mar^erìta. 



— X — 



Eaadette. Ed ai Comici dei reatri Sutera (oggi Rossini) e 
l'Angennes faceva accogliere la recitazione d' un dramma, 
« // Corsaro » e le commedie che pubblicò poscia in 
quattro volumi. 

Frequentava con ispeciale amore le lezioni di eloquenza 
del Padre Manera Gesuita di qualche ingegno, messo lì 
da spegnitoio e sfiatatoio degli entusiasmi giovanili." Ma 
l'occasione, comunque data, di leggere e scrivere, li accen- 
deva. In quella palestra provavaa le forze del loro ingegno 
i giovani piemontesi bramosi di liberi studi, come il tra- 
gico Carlo Marenco da Ceva, il Comico Alberto Nota, 
il Novarese Regaldi improvvisatore di fama Europea e 
Drofferio, Questi confessa di avervi appreso veramente a 
gustare i grandi scrittori della nostra letteratura nelle loro 
riposte bellezze di lingua e di stile. Né trascurava i diver- 
timenti carnovaleschi, la musica, la poesia lirica e amorosa 
del genere caro al Savioli, al Monti e al Vittorelli. 






Fra queste prove e gli studi legali sopravvennero i moti 
del 182 1. L'Italia intellettuale, l'Italia guerriera e memore 
della gran parte avilta nelle vittorie Napoleoniche fremeva 
fra le ribadite catene. 

La Spagna contendeva ai reazionari l'integrità della sua 
larga Costituzione, in nome della quale le Cortes adunate 
in Siviglia nel 1812 avevano sollevato contro Giuseppe 
Napoleone, re imposto dalla Francia, sotto i vessilli del- 
l'indipendenza le vittoriose guerriglie e riposta in seggio 
la monarchia Nazionale. Sicilia e Napoli avevano recla- 
mata e ottenuta da pochi mesi e per poco quella stessa 
costituzione. 

In Piemonte congiuravano tutti gli ufficiali del grande 
esercito Napoleonico licenziati e diminuiti di stipendio e 
di grado, agli ordini della maggiorità aristocratica e cle- 
ricale tornata dagli esigli di Sardegna, d'Inghilterra o di 
Russia, tutti gli impiegati civili, i fornitori, gli studenti 
obbligati alla disciplina religiosa e conventuale sotto la 
vigilanza dei bidelli, degli osti, degli affittacamere e della 
polizia retta da un governatore già comandante di orde 
cosacche, il generale Galateri. 

Di quella nobile congiura erano capi gli ufficiali d'or- 
dinanza, gli amici del principe Alberto di Carignano, i 
Conti di Collegno e di Santa Rosa educati alla francese 
fra i trattati d'arte militare, le letture di amena filosofia e 
mistiche preghiere. Sogni ambiziosi alimentati fra quel via 



— XI 



vai di principi ai congressi di Lubiana e di Vienna e le 
voci di indipendenza nazionale gridate dalP Austria stessa 
contro gli odiati Francesi, e da Gioacchino Murat e dai 
Carbonari contro essa ritorte, eccitavano il Sabaudo Amleto 
presunto continuatore della dinastia dopo i reduci di Sar- 
degna Carlo Emanuele I e il fratello Carlo Felice re de- 
signato, ma senza prole. 

Corse il grido che Carlo Alberto avesse acconsentito in 
notturna congrega del palazzo Carignano di porsi a capo 
d'una rivoluzione, e proclamasse in Piemonte la costitu- 
zione di Spagna. 

Tosto le guarnigioni di Novara e di Alessandria si sol- 
levarono. Gli studenti dell'Università di Torino vi si as- 
seragliarono, e cacciati dopo una sanguinosa repressione, 
si raccolsero al crocevia délV Ospizio ai San Salvarlo j in 
faccia al viale che conduce al Castello del Valentino, sotto 
la guida del Capitano Ferrerò di Leym^ illustre avanzo 
delle guerre napoleoniche (i). Fra coloro che inermi e 
qui e là forniti di qualche pistola osarono aflfron tare l'ar- 
mato battaglione dei carabinieri mandato ad arrestarli, e 
via per la collina Torinese andarono a congiungersi col 
presidio di Alessandria, era il giovine Angelo Brofferio, 

Quel pronunziaraento militare durò la vita delle rose, 
lo spazio d'un mattino. Susseguirono P abdicazione di 
Vittorio Emanuele /, l'assunzione di Carlo Felice al trono, 
le condanne, gli esilii, P ammenda imposta a Carlo Alberto 
fatto duce di Francesi a reprimere i costituzionali di Riego 
sugli spalti Pirenaici del Trocadero, 

Tutta Italia giovine guerriera e liberale corse le Spagne 
in quella lotta disperata della agonizzante libertà contro 
la reazione. Brofferio nascosto dal padre nella stessa casa 
del poda^roso governatore Galateri (che al padre di lui, 
valentissimo clinico, doveva la conservazione de' suoi ul- 
timi anni destinati a perseguitare col capestro Vochieri (2) 
e Tola nella fortezza di Alessandria), passò dimenticato 
agli studt delle lettere e della giurisprudenza. 

Né gli studi severi, né la politica gli facevano abban- 
donare le ansie, i trionfi e le delusioni del teatro : la Com- 
pagnia (3) di cui facevano parte la celebre Carlotta Mar- 



(i) Un obelisco eretto nel 1873 sul piazzale di San Salvarlo ricorda 

questo fatto colla seg. iscrìz. : « Qui l* jj marzo 1821 fu giurata la 

libertà tP Italia: il 20 settembre 1870 il voto fu sciolto a Roma ». 

(a) V. Nota Vochieri, alla Canz. Bast vei e grupia neuva, 

(3) La depressione in cui era caduto il teatro italiano, suggerì al re 

Carlo Felice l' idea di fondare, suU' impronta del Thédlre Francis 



— Xll — 



chionni, Francesco Righetti e Camillo Ferri accoglieva 
la sua tragedia in 5 atti « Fudosia » (i) che riscuoteva 
unanimi applausi, e perfino una recensione ec^uanime e 
fine in sua lode dalla Ga:{ietta Piemontese^ unico organo 
della stampa periodica officiale nei regi stati. L'elogio stesso 
ne indica coi pregi i difetti; ma sono difetti comuni alla 
tragedia Alfìenana: struttura del verso e dell'azione strin- 
gata, densa di concetto nel tempo e nello spazio che l'au- 
tore diminuiva restringendo li stessi limiti del dramma 
(Jreco ricco di Cori esplicativi dell'ambiente e dell'an- 
tefatto, che invadeva il campo dell'Epopea, dell'Inno e 
della filosofica esortazione. Faceva vedere e sentire le mille 
voci del cielo mitico e dell'abisso pauroso del mare e del 
popolo che l'assomiglia nelle sue collere e nelle sue lu- 
singhiere carezze. La riduzione Alfieriana dell'azione tra- 
gica, compiuto il suo altissimo scopo morale educativo, 
cessò fino dai tempi di Pellico, d' Alfieri, di Carlo Marenco 
e del duca di Ventignano dalla troppo breve popolarità 
del genere. Buon per noi e pel giovine tragico ch'egli 
siavisi adoperato affilando a quella cote lo stile oratorio, 
e che ad altra mèta abbia drizzato il cammino glorioso. 
Trascinato dall'arte, diede un momentaneo addio alla 
giurisprudenza, e si uni ad una compagnia drammatica. 
Visitò Milano e Venezia, dove conobbe il Monti^ il Torti, 
il Bertòlotti, e passato in Francia, dopo visitate varie città 
minori, giunse a Parigi dove compose la sua Ode sulla 

di Parigi, una società destinata a raccogliere tutti gli artisti di vero 
merito. Questo disegno si impersonava in Carlotta Marchionni che ne 
doveva essere il principale ornamento: ma solo nel 1821 potè aver 
))rincipio questa Compagnia che fu detta Reale, La Marchiattni di- 
venne la protettrice di tutti gli ingegni nascenti: e sotto la sua dire- 
ziono fecero le prime armi la Rosa RomagftoUt la Fabrctti e la Ristori, 

La Marchionni percepiva dal Governo lire nuove piemontesi 2;'5o 
ogni trimestre, come risulta da una sua lettera autografa di nostra 
proprietà, datata da Venezia, 34 settembre 1833. — Essa nacque a 
Pesci» nel 1800 e mori a Torino nel 1861. — Molta prosa e molti 
versi furono scritti in lode di questo nobile ingegno di artista: le si 
coniarono due medaglie, ed il bulino di molti incisori ne ricordò il pro- 
lìlo delicato e dignitoso. — Coir occasione ci è grato notare la bella 
Memoria che su di lei scrisse l'Avvocato e gentile Poeta, amico nostro, 
Giuseppe Deabattf pubblicata sulla Nuova Antologia^ N.*^ del i." 
marzo 19Ó2. 

(i) U Bttdossia fu rappresentata al Teatro Carignano verso la metà del 
1825. Btofferìo aveva 33 anni. Il buon osito di questo lavoro gli pro- 
curò la stima dei principali letterati del suo tempo: il Boticherotit di- 
segnatore del ré, delineava il ritratto del giovane Autore e glie Io 
inviava in dono. 



— XUl 

« Caduta di Missolimgi » , che il Generale Lameth pre- 
sentava al Consesso Greco, facendola stampare a beneficio 
degli Elleni sollevati contro la barbarie Turca. 

In queste p3regrlnazioni egli stampò le commedie « Mio 
cugino » e « Tutto per il meglio » . Per seguire la com- 
pagnia Reale, lasciò Parigi, vide Firenze, Roma, Napoli, 
dove compose e fé' rap prese ntvire a // ritorno del Pro- 
scritto n e « Salvator Rosa » , che gli valsero V elezione 
a membro déìV Accademia Pontaniana, 

Il seguito de' suoi viaggi lo ricondusse a Torino, dove 
non abbandonò i lavori drammatici. Ma siccome non era 
ricco, e la dura esperienza gli aveva insegnato ciie Parte 
non dà che raramente il pane, si ricordò di essere avvocato : 
sperò, non invano, di averlo da questa, allora meno ac- 
cessibile, quanto nobile professione. 

Sul mar dia vita j* eii cambia la barca : 

J* eu duvert él Fabro e j* eu sarà *1 Petrarca, (i) 

Ardui furono in quella i suoi principii, ma subito fecero 
presagire la fama ch'egli doveva un giorno acquistare nella 
giurisprudenza, allorché un avvenimento inatteso venne a 
lanciarlo fra gli scogli della politica. 

Dal 1821 al 30 le provincie Italiane dormivano nella 
pace della tomba. Delle diverse tirannidi troppo sarebbe 
discorrere a lungo : solo diremo che tutte si raffigurano in 
questi tratti: esclusione d'ogni libertà di associazione e di 
parola, stampa riservata alle notizie archeologiche e teatrali, 
a poesie anacreontiche o macabre, musica e balli spetta- 
colosi per l'aristocrazia, corruzione elegante, gazzarre plebee, 
tridui e novene, scuole di Gesuiti o nulle, e in capo a tutto 
arbitrio di polizia. sfrenato, insolente, provocatore. 

Ma il '31 spuntava gravido di eventi. — La nuova insur- 
rezione che scoppiava negli ultimi giorni del luglio a 
Parigi, provocata dall'avere i ministri di Carlo X violata 
sfrontatamente la carta costituzionale con regie ordinanze 
(o come chi oggi dicesse Decreti - legge ) contro i diritti 
di riunione e di stampa, aveva prodotto un contraccolpo 
negli altri stati d'Europa. Anche in Piemonte, nei primi 
giorni del ^31 ordivasi una trama per abbattere il trono di 
re Carlo Felice, che alla gioventù avida di novità pareva 
non avesse troppo compreso quali nuovi e vasti orizzonti 
furono aperti dalla Rivoluzione Francese. Lo scopo dei 
congiurati non era più soltanto l'indipendenza colla cro- 

(I) V, Poemetto « Mta surtia ». 



— XIV — 



ciata dell'Austria e colla costituzione di Spagaa nei sìn- 
goli stati, come i Carbonari del 182 1 si erano proposto. 
Ma si buccinava qui e là un'insolita parola, Unitàj che 
Foscolo aveva pronunciato nelle conferenze dì Londra 
commentando V Alighieri^ e Macini aveva raccolto, incerti 
se la forma dovesse proclamarsi regia o repubblicana senza 
repubblicani. 

BrofferiOj intorno al quale i viaggi e i lavori letterari 
avevano fatto un po' di rumore, si trovò naturalmente im- 
plicato nell'avventura: egli vi si gettò arditamente. La 
congiura si estese nella capitale e nella provìncia: si formò 
un consiglio direttivo, e Brofferio ne fece parte assieme a 
Giuseppe Bersani, al medico Anfossi, al chirurgo Balestra, 
a Giacomo Durando e Carlo Ga![s[era. 

Fu compilato un proclama al popolo, ma non ebbe altro 
risultato che quello di ^vegliare maggiormente i sospetti 
delle autorità. Occulto stampatore del proclama fu Giu- 
seppe Pomba. Diffuso per tutto il Piemonte, svegliò negli 
spiriti esterrefatti un'incredibile commozione. Si credette 
all'esistenza di una potente società. Si sollevavano intanto 
Modena, Parma e Bologna, 

Sul finire del 1831 (afferma Giacomo Durando, l'amico 
di Brofferio), il Piemonte era in grado di levarsi in armi 
in soccorso dei fratelli, ove la Francia avesse osservata la 
promessa del non intervento, e non avesse avvisato i go- 
verni despotici di ciò che si tramava contro di essi. Si 
pensava ad operare. Ma ecco romperne l'ordita tela una 
scoperta fatta dalla polizia in un albergacelo del Colle di 
Tenda, Un portafoglio ivi dimenticato da alcuni ufficiali 
conteneva un elenco dì congiurati e alcuni fogli del pro- 
clama. Gli ufficiali di Genova, Ribotti, Levanis e Deste- 
fanis, e a Torino Brofferio, Bersani e il Dott. Balestra, 
(nomi degni di continua menzione ove si onora il sacri- 
fizio di sé stessi alla patria e alla libertà), furono arrestati 
e non uscirono dì carcere prima che fosse concessa da re 
Carlo Alberto una larga amnistia, essendo succeduto a Carlo 
Felice. 

Le persecuzioni politiche, parecchie importanti cause, che 
lasciarono un'orma profonda negli annali della giustizia 
dì quel tempo, sostenute con vigore e disinteresse (i), pa- 

(i) Fra le molte sue difese primeggiano quella delP infelice generale 
Ramorino ( maggio 1 849 ) : quella in cui fu querelante per diffama* 
zione a Pio IX; e quella in favore del Sacerdote Don Frane. Ant. 
Griqnasche e complici, pei loro attacchi contro la libertà religiosa 
(II luglio 1850). 



— XV — 



recchie Canzoni Piemontesi composte in carcere e pubbli- 
cate poi, le idee liberali in esse contenute, aumentarono 
granclemente la fama dell'Autore, che varcò i confini del 
Piemonte. Egli fu salutato il Béranger Piemontese, 



* 



In questo proposito noi vogliamo rivendicare al Poeta 
Castelnovese la paternità degli argomenti po{>olari e della 
maniera che fu tutta sua di trattarli in brevi strofe coU^ 
chiusa a ritornello. Bisogna distinguere dalla sua vena 
particolare il genere antico quant'è antico tra gli uomini 
il bisogno di rinvenire sopra un concetto accoppiato a 
unMmmagine figurativa e sonora con felice accozzo di sil- 
labe. Antico quanto il gorgheggio insistente degli uccelli, 
il ripetuto urlo del vento, lo scroscio uguale del torrente 
e Peco della montagna. Le ariette dei Cor/ accennateci da 
Aristofane, la canzonaccia dei legionari di Giulio Cesare 
nel suo trionfale ritorno dalle Gallie (Gallias Caesar su- 
begitjf Nicomedes Caesarem), le Odi Nuziali di Catullo 
imitate dalle perdute Partenie della divina Saffo, compre- 
sovi il sublime canto delle Parche alle nozze di Teti e di 
Peleo che ha per ritornello: « Correte, o fusi, correte 
sfilacciando gli stami della vita ! » e poi le Seguente dei 
Menestrelli Provengali, gli stornelli d'ogni foggia e di 
ogni metro in tutti i dialetti dMtalia ne forniscono infiniti 
esempi dello stesso genere. Nessun canzoniere potè mai 
arrogarsi l'iniziale creazione del genere. Esso è la voce del 
popolo medesimo in tutti i tempi, in tutti i luoghi, sotto 
la capanna del selvaggio, sotto la tenda del soldato, nel 
castello del barone, fra le catene dei forzati, fra le falci 
de' mietitori, nel laboratorio delle cucitrici, nella taverna 
e nell'officina, nel coro dei frati intonanti il Dies irae di 
Jacopone da Todi, e nel ballo mascherato del Teatro Regio 
colle prime arie satiriche sul colascione di Angelo Brof- 
ferio studente Torototela! 

I confronti sono la parte più debole delle vite parallele 
degli uomini illustri, cominciando da Plutarco. Non è ne- 
cessario alla gloria del Francese Béranger fargli scabello 
e trono de' suoi successori in Francia e altrove. Egli è 
quel che è. Dai semplici Couplets di Marot, di La Cha-^ 
pelle, di Rousseau, di Piron, di Voltaire, di Colle, di 
Parny, che i loro autori e imitatori trascinarono qualche 
volta nelle segrete della Bastiglia e dispersero in lunghi 
esigli, chi saprebbe derivare allo pa ira, alla Marseillaise 
allo Chant du Départe, ai mille pamphlets della Rivo- 



XVI — 



1 azione nei loro caratteristici elementi? Béranger come 
Angelo Brofferio ha composto nel carcere della Force le 
canzoni che appartengono al periodo della Monarchia re- 
staurata (1815-1830). Egli potrebbe glossare colle proprie 
parole il buon umore di i^uelle canzoni che Brofferio lasciò 
correre manoscritte sotto il diafano velo delle procaci bel- 
lezze di Carolina uscendo dalla cittadella di Torino, ove 
due volte fu rinchiuso per capitale accusa. « Io non ho 
« timore, diceva, che mi si rimproveri d'aver mostrato il 
« mio coraggio dopo la caduta del nemico. Si potrà anzi 
« vedere dalle mie canzoni ciie la lunga prigionia non 
« mi ha punto inasprito. Io sentiva avvicinarsi il compi- 
M mento delle mie predizioni ». 

E Brofferio vide cadere le catene despotiche nella pri- 
mavera del 1848, come nel 1870 vide stesa sul secondo im- 
f>ero soffocatore della libertà l'ombra del salice di Sant' Elena 
'Autore dei Chatiments e dtW Annès Terrible. 

Il compimento delle predizioni che la mente quadrata 1 

del pensatore deduce da cause e da effetti veduti e distinti, | 

non per grazia divina come i mistici, non per caso, come 
gli scettici, non per intervento di spiriti, come gli sbale- 
strati acchiappanuvole pretendono, è una delle poche nostre ' 
soddisfazioni, malinconica e magra, ma pure sufficiente a . 
tenere elevato il carattere fra le avversità e lo sprezzo del 
volgo: questo volgo che non vede nel poeta e nell'oratore 
più d^un ciarlatano, a cui si porge ascolto passando via 
via, è parte del popolo, non tutto il popolo datore di fama , 
vitale alla canzone. Questa, come rubusto arco floscio at- i 
tende la mano dei rari Ulissi che di quando in quando * 
ritornano a lubrificarne il nervo distensore, a tenderlo al 
giusto punto e lanciare la saetta nel momento opportuno 
che infallibilmente raggiunge la mira. E il tratto lanciato 
non va perso per l'immortalità. Giacciono immani volumi 
di storie e di atti parlamentari negli scaffali : ma la piccola 
strofe aguzza segna i passi più salienti dì questo e quel 
periodo storico, politico ed economico in cui la civiltà fra 
l'azione e il pensiero, fra l'ipocrisia e la ribellione, fra la 
tirannide lunga opprimente, e la discorde ma feconda 
libertà si svolge, recede, si slancia per vie diverse rifluendo 
e procedendo. | 

Gli stessi argomenti si incontrano in entrambi i canzo- 
nieri: ma Béranger^ spirito meno complesso del nostro, 
più contemplativo, meno attivo, estraneo alla deputazione, 
agli affari di stato, al giornalismo, alla letteratura prosastica, 1 

rimase fedele all'intercalare Brofferiano « Torna, torna 
nel tuo cantuccio, guarda il mondo e fa cannoni ». 



— XVII — 



Brofferio invece non volle e non potè starsene limitato 
alla sola parte di osservatore : fu attore e vivacissimo, con- 
trastando fin quasi all'ultimo suo anno nella sala dei 
cinquecento, quando il parlamento fu traslocato a Firenze, 
contro la preponderanza dei Padri nobili, la soffocazione 
in fasce delP Italico Risorgimento. Dall'opposizione di 
quelP Estrema Sinistra, sentmella vigile, scaturì la Sinistra 
storica, e questo sfascio slabbratosi coli' avvento al potere 
di alcuni capi, Depretis e Crispi, lasciò l'adito ad un 
altro nucleo di pochi forti che fu detto delle quattro noci 
in un saccOj però di cui teneva i legacci un altro oratore 
poeta drammaturgo e lirico, Felice Cavallotti, L'anima di 
Brotferio spegnendosi passava in lui, senza incontro, senza 
imitazioni. Così è delle casuali, e sia pure visibili e mera- 
vigliose corrispondenze tra Béranger e Gius. Giusti che 
scrissero ^ello stesso periodo storico di Angelo Brotferio. 
Alle quali somiglianze ci sia ledto aggiungere una legit- 
tima derivazione dei Maggi^ dei Passeroni e del Parini, e 
nel linguaggio Meneghino il verso ridanciano e satirico 
del Milanese Carlo Porta. E del Belli chi non ricorda i 
sonetti cosparsi del sale Oraziano che l'anonimo vecchio 
torso marmoreo di Pasquino all'ombra della guglia del 
Pantheon gli affidava nell'oggi vivo più che mai idioma 
Romanesco? Chi non parlò dell'Idillico Meli nel dolce 
frizzante dialetto di Sicilia? 

Vogliamo ammettere che tra i ricordi del viaggio di 
Parigi il giovane Castelnovese abbia portato la prima rac- 
colta delle canzoni pubblicate dal Parigino, e che trovan- 
dosi poi nelle identiche condizioni di spirito, sotto accuse 
anche più gravi per la maggiore severità di reazione go- 
vernativa abbia adattata alla sua Carolina il compito che 
Béranger affidava alle Lisette^ alle Carni Ile, alle Margot^ 
di riparare dietro le loro un po' corte gonnelle la sferza 
politica dell'amatore. Non per questo si può togliere al 
Nostro la bizzarria delle trovate, la grazia del gesto, che 
il verso un po' duro, un po' troppo denso di concetti gli 
concede, al modo del tragico Astigiano. 



* 



Ma la letteratura e la satira politica non erano sufficiente 
alimefito alla sua operosità, e meno che mai in quella ri- 
stretta vita Torinese potevano fornirgli una decorosa remu- 
nerazione per sollevare la propria famiglia. 

Brofferio non tardò a comprendere le ragioni della schia- 
vitù volontaria che l'esercizio continuato della professione 



— XVIII — 



legale ^li imponeva. Allo studio del Diritto attese per le 
cause Civili sotto pratici giureconsulti : ma prescelse avven- 
turosamente, secondo l'inclinazione del suo fervido senti- 
mento e lo splendore della sua parola, la difesa delle cause 
penali. 

Né d'altronde alla sua fervida immaginazione, all'ardore 
del sangue giovanile che gli pulsa nelle vene, al suo in- 
tenso amor di patria le aule del palazzo dì giustizia sono 
sufficiente palestra. Egli creò un periodico; « // Messag- 
gero Torinese » (1834), in cui si destreggiò mirabilmente 
con polemiche artistiche e letterarie, appena concesse dalla 
vigile Censura, a trasfondere l'anima di libero pensatore, 
compressa fra le strettoie della simulazione. Era quello il 
tempo in cui le menti elette si acuivano a scoprire il vero 
celato in quel linguaggio convenzionale che oggi ancora 
usano a Mosca e a Pietroburgo i giornali popolari. Una 
corrente simpatica fra lettori e scrittori sembra serpeggiare 
dove meno la banalità e l'aridità degli argomenti concede 
voli alle fantasie: ma il bisogno ra trottar la vecchia, 
dicono ì Toscani. 

Quel giornale, unico rifugio dell'opposizione liberale, 
rese alla causa della libertà segnalati servigi e la sua vita 
di 25 anni fu valida spinta al nostro risorgimento. Il go- 
verno tentò di trarre quel giornale al suo partito, adescando 
Brofiferio con ogni sorta di profferte: il re volle iscriversi 
fra gli associati, e desiderò glie ne fosse presentato il fon- 
datore. 

Risultato di questa visita fu un invito a Brofferio da 
parte del re, a scrivere un'opera letteraria di argomento 
Italiano. 

Poco dopo appariva il « Vitige re dei Goti » ardito 
saggio di libera poesia che dimostrava a Carlo Alberto, con 
aperte allusioni, che la sua missione era quella di liberar 
l'Italia dal giogo straniero e d'assicurare la prosperità alla 
patria, accordando a questa le più ampie libertà. 

Il re leggeva, approvava e ne accettava la dedica. Il ma- 
noscritto fu messo in istudio e fu fissato il giorno della 
rappresentazione: ma si erano fatti i conti senza l'Austria: 
le allusioni erano troppo chiare, e la tragedia si dovette 
ritirare; né potè essere pubblicata in Piemonte se non dopo 
che fu stampata a Parigi (i). 

L'ora della libertà era vicina; e Brofiferio doveva rap- 
presentare una parte importante negli avvenimenti del suo 
paese. 

(l) coi tipi di Didot, 



— XIX — 



Seguirlo passo a passo in tutte le fasi d^una vita cosi 
agitata ed operosa non ci è consentito dalP indole di questa 
popolare edizione. Chi voglia sobbarcarvisi non ha che da 
scorrer le pagine della Storia (i) da lui composta del 
Piemonte, che prende le mosse dal 1814: in essa vedrà 
(guanti legami congiungano P Autore alla epopea dell' Ita- 
lico risorgimento. 

La morte di Gregorio XVI (i.** giugno 1846J parve ri- 
destare dal sonno P Italia. 

Il primo atto del nuovo pontefice Pio IX, (2) eletto il 
16 di quel mese, fu un'amnistia politica. Quella tarda e 
stentata giustizia ai popoli delle Komagne parve miracolo ; 
così Pio IX parve il predestinato a chiamare i popoli alla 
risurrezione d'Italia: anche Brofferio, ma per poco, fu di 
questi illusi. 

Venne finalmente il 1848, colla guerra all'Austria, collo 
Statuto e colla Rappresentanza Nazionale. Da San Salvano 
a Piazza Cari^nano erano passati 27 anni di lavoro sot- 
terraneo, continuato e difficile. Il primo giorno in cui lo 
stendardo nazionale sventolava dal balcone di quel reale 
palazzo dove fu decisa la guerra perla redenzione d'Italia 
dallo straniero, Carlo Alberto pallido per commozione, 
innanzi ai rappresentanti la prima volta scelti da questo 
popolo valoroso, giurava lo statuto e l'affidava agli eletti 
della nazione. 

Naturalmente fra quelli più incontentabili di riforme 
era l'antico studente della dimostrazione di S. Salvano. 
Portato in 19 collegi elettorali, optava per quello di Ca- 
raglio che gli aveva data la maggioranza assoluta dei voti. 
Egli era là, in mezzo a molti mediocri faccendieri, insieme 
ad altre forti intelligenze inesperte della vita pubblica e 
titubanti del cammino, ma cui la lettura dei fogli quoti- 
diani e delle opere politiche ed economiche diffuse dalla 
Francia, dal Belgio e dall'Inghilterra con un sentore di 
sangue generoso sparso sulle barricate trionfanti e di vit- 
torie incruenti ma decisive nei parlamenti, preparate dai 
meetings popolari con leggi intese a migliorare il tratta- 
mento delle plebi e la prosperità della economia nazio- 
nale per mezzo dei trattati di libero scambio, aveva resi 
impazienti a provarsi in libera discussione. 

Brofferio era preceduto in Parlamento da una fama di 
ardente rivoluzionario: e questa certo non potea fargli 



(1) Storia del Piemonte dal 18 14 al 49. Torino, 1849-52, 5 voi. in-8^ 

(2) Conte, Cardinale Giovan Maria Mastat' Ferretti di Sinigaglia nato 
il 13 maggio 1792, morto 7 fcbb. 1878. 



— XX — 

torto presso la borghesia che da un parziale rivolgimento 
di idee nel patriziato aveva appunto in quei giorni otte- 
nuta una porzione di eguaglianza, T abolizione di esosi 
privilegi Q qualche libertà. La lotta parlamentare non po- 
teva sorgere ne' primi tempi del Sistema Rappresentativo: 
ma non si fece attendere. Il Parlamento Subalpino dichia- 
]ava per suo primo atto un indirizzo di riconoscenza e di 
affetto all'esercito. Poi accoglieva in seno alla assemblea 
i delegati di tutte le provmcie italiane, acclamando al- 
l'unione di tutte le città appartenenti ad una sola nazione. 
Non era questa nei giorni di cui discorriamo una vana 
parvenza d'entusiasmo officiale, come taate se ne offersero 
poi alla credulità dei volghi. Brofferio faceva udire all'As- 
semblea Subalpina paiole elocjuentissime. In tutte le grandi 
questioni sull'esercizio dei diritti di libera stampa, asso- 
ciazione, abolizione di privilegi e fóri ecceziochali, ael con- 
trastare alla minacciata violazione del diritto d'asilo dovuto 
ai profughi politici dai governi esteri e dai governini della 
divisa Italia) egli trovò sempre appassionate improvvisa- 
zioni e convincenti ragioni. 

De' suoi amari disinganni e delle rinverdite speranze che 
ad ogni nuova battaglia del pensiero lo sorressero son 
piene le pagine alate dei « Miei Tempi ». Dopo il 48 la 
reazione capitanata dal Pinelli voleva cedere innanzi alle 
paure del 49. Nell'Assemblea Subalpina eran diversi gli 
animi: ma Brofferio, Italiano prima di essere Piemontese, 
si alzò in quel memorabile giorno a parlare. Ricordò i 
doveri del Piemonte contratti coli' Italia e colla storia: 
biasimò la politica dell'aspettazione, e volgendosi a Cavour 
che cercava fin. d^ allora l'appoggio dell'Inghilterra, ram- 
mentò come debito dell' Italia fosse costituirsi in libera ed 
unita nazione per mezzo degli Italiani. Questo è forse il 
più splendido discoi:so che mai sia stato udito nel Parla- 
mento Nazipnale, Vincenzo Gioberti stesso sorgendo in 
preda alla più viva commozione, rese all'oratore impar- 
ziale tributo di personale simpatia, quantunque egli mili- 
tasse nell'opposto campo di parte moderata. 

Gli eventi furono sfavorevoli. La fatai rotta di Novara 
(2-3 marzo 1849) diede a quel partito la supremazia della 
pubblica cosa. 

Rappacificato il picciol regno di Sardegna coli' Austria 
vincitrice, cacciati i profughi, compressa la ribellione dei 
repubblicani in Genova, chiusa col proclama di Monca- 
lieri la sessione parlamentare sotto il ministero di Mas- 
simo i' As[e^lio, negato a Venezia e Roma moribonde ogni 
ancorché mmimo aiuto, il partito avanzato si riu*asse nei 



ANGELO BKOFFERIO 



— XXI — 

segreti conciliaboli, riannodando a tutf uomo le s]>ezzate 
fila della federazione repubblicana. Bisognava ricominciare 
il lavoro interrotto e prepararsi alla riscossa che per vie 
impensate avvenne dieci anni dopo. Quello che più impor- 
tava era di mantenere le reliquie delP indipendenza e le 
franchigie acquisite, assolidare nella fiducia del popolo 
quella forma di governo che aveva concesso Carlo Alberto. 

Il popolo che al solo nome di Repubblica sentiva fre- 
miti di sgomento, volse le spalle a chi aveva più d'una 
volta nei suoi scritti e ne' suoi discorsi mostrato alle forme 
repubblicane una palese tendenza. Repubblica nel ger^o 
piemontese di quel tempo significava confusione e peggio 
che l'anarchia dei giorni nostri. BrofTerio fu messo in mala 
vista come capo di rompicolli: lo sì tacciò di avere ca- 
gionato la caduta del Ministero Gioberti, e per amore del 
filosofo federalista monarchico e prete, ma acerrimo nemico 
dei. gesuiti antichi e moderni, si levò a rumore la città 
contro il nuovo Tribuno della plebe. Egli stesso ci de- 
^ scrive la terribile sera di quella ostile dimostrazione, e filo- 
sofeggia sulla pietra scagliata attraverso le vetrate del suo 
studio nell'angusta antica via del Fieno, testé echeggiante 
di lusinghieri evviva. 

BrofTerio sostenne sempre con dolore, ma con indomito 
coraggio la guerra sleale degli sconoscenti avversari per 
lunghi anni durata contro il suo nome. Né dal 50 al 53 
la sua^ voce tacque in parlamento. Propugnò caldamente 
l'abolizione della pena capitale, orribile avanzo di secoli 
barbari. Quando nel 1852 il colpo di stato in Francia ebbe 
atterrata la Repubblica per innalzarvi il trono imperiale, 
BrofTerio senti ribollire nel profondo animo le magnanime 
ire dei suoi giovanili anni, e parlò come un oratore delle 
antiche repubbliche. 

Sulla questione dell'Assassinio Politico sostenne la li- 
bertà di giudizio, si scagliò contro le prepotenze dei re- 
visori, giudici incompetenti delle opere dell'ingegno, e 
fece respingere quel disdoro della leg^e Deforesta che avrebbe 
dato il picciol Piemonte mani e piedi legato alle prefet- 
ture di polizia del governo imperiale. Avversò in tempi 
posteriori la Guerra d'Oriente. 

Per chi sforzavasi di persuaderlo come l'avvenire del 
Piemonte e dell'Italia fosse legato a questa guerra per ra- 
gioni di potente amicizia non aveva che una risposta: 
« timeo Danaos et dona ferentes » (i). 

(z) Vedasi la Cansone « La Crimea ». 



— XXII — 



.% 



Spuntava sulP orizzonte della politica un nuovo astro: 
Camillo Benso di Cavour. Quest'uomo che seppe destreg- 
giarsi per mòdo da comandare alP avversa fortuna del pic- 
colo stato cui apparteneva e rivolgere in suo prò' le con- 
giure degli avversari, trovò in Brofierio un ostinato ed 
irreconciliabile oppositore. Brofierio l'aveva altre volte 
conosciuto giornalista del Risorgimento nelle file d^lì 
incerti. Disceso di nobil casato, figlio del Vicario di Torino 
preposto all'Annona, ossia alle pubbliche sussistenze, av- 
viato egli stesso agli studi economici e amministrativi dalla 
assai lunga permanenza in Inghilterra, dove apprese alla 
scuola liberista di Cobden il sistema da lui poscia propu- 
gnato del libero scambio, aveva quindi aperto l'intelletto 
all'alito delle nuove dottrine propugnate dai moderati 
georgofili nei congressi preparatori del 1845. Istituzioni di 
banche, ricoveri, giardini d'infanzia, scuole di ciechi e di 
sordo -muti, libertà di usura, erano i principii udisti di be- 
neficenza popolare e di interesse industriale che l'ingegnoso 
Landlord Piemontese e i suoi amici, possessori al par di 
lui di grosse tenute nella Lomellina, nel Monferrato e al- 
trove da sfruttare, facevano con crescente plauso e senza 
pericolo di conflitti diplomatici approvare, confidando che 
fossero avviamento sicuro alla conquista incruenta della 
Indipendenza e della universale ricchezza d'Italia. 

Camillo Cavour dal gabinetto del giornalista sali de- 
putato sui banchi della destra. Caduto Gioberti e i suoi 
successori nel ministero, la persona del nobil uomo che 
traeva dietro se tutto il partito dell'aristocrazia liberale e 
militare, l'alta finanza e la grande proprietà terriera e in- 
dustriale del Regno di Sardegna, si rese necessario al Go- 
verno, d'onde poi non discese che a brevissimi intervalli 
fino alla morte immatura. 

Brofferio da incerto, e poi destro, lo ritrovava ministro 
progressista. Questi multiformi cambiamenti, ch'egli def- 
tìniva sforzi d'ambizione, lo fastidivano. L'uomo delle 
generose aspirazioni amava la luce del sole e scagliavasi 
contro tutte le politiche finzioni ed i trattati segreti; e 
scriveva in auel torno contro Cavour la satira drammatica 
a cui dava il titolo di a Tartufo politico » (i). Brofferio, 
a dire il vero, non sarebbe mai stato un personaggio di- 

(I) Proibito dalla censura teatrale, diretta dal Sabbatini, nel feb- 
braio 1853; si rappresentò con buon esito due anni dopo. 



— xxni — 



plomatico, né mai lo sarebbe stato Garibaldi, se diplomaxia 
vuol dire astuzia conforme al principio di Machiavelli. 

Pei maneggi di Cavour nel 1853 Brofferio cadeva dal 
suo fedele collegio di Caraglio ove fu eletto 'in vece sua 
il Generale Delfino, uomo nuovo e oscuro,^ di tempra più 
malleabile (i). Ma non andò guari, che rimasto vacante 
il II Collegio di Genova, questo lo rimandava alP antico 
seggio delP Estrema Sinistra, dove assistè e cooperò alla 
disfatta parlamentare del Grande Ministro. 

Nel 1855, presentato al Parlamento il progetto di le^ge 
sulla soppressione dei conventi (2), egli prese vivissima 
parte alla discussione. Tale progetto produsse una crisi 
ministeriale: ed in quel frangente re Vittorio Emanuele 
non isdegnò di consultare il parere delP Oratore che rap- 
presentava l'Estrema Sinistra. 

La pubblica riconoscenza l'abbandonava nuovamente nel 
1860: egli si vedeva escluso pei voti Piemontesi dalla Ca- 
mera Italiana; ma nel 61 un oscuro comune della Toscana 
lo rimandava al suo posto^ ove continuò la viva guerra 
contro Cavour. Come partigiano caldissimo di Garibaldi 
e della incessante redenzione dallo straniero, segnò colle 
sue parole uno stadio di quella grande lotta tra diplo- 
mazia e rivoluzione. 

Era più che mai fervente la questione tra Roma (in cui 
le bande brigantesche dell'Abruzzo e della Basilicata tro- 
vavano fra zuavi pontifici rifornimento palese di armi e 
di benedizioni), e il Parlamento Italiano sospinto dalla 
stampa liberale e dai pubblici comizi ad estreme rappre- 
saglie. Brofferio sosteneva non doversi il prete toccare o 
doversi con risoluti provvedimenti reprimere. Il Ministero 
adduceva la fede di recenti trattati, il perìcolo d'offendere 
la Francia il cui tricolore sventolava accanto al vessillo 
delle Sante Chiavi e lo tutelava della sua ombra; invo- 
cava prudenza a nome del sentimento popolare profonda- 
mente cattolico pei due terzi della plebe agreste e della 
stessa casta dirigente. Due memorande tornate ricorda la 
Storia del Parlamento Subalpino: quella del 26 e del 27. 
marzo 1861. Nella prima Cavour con serrato discorso, al- 
l'Inglese, dimostrava e faceva accogliere dalla maggioranza 
P applicazione del suo celebre aforisma sulla Separazione 
dello Stato dalla Chiesa: fossero dichiarate la libertà del- 
l' una nella libertà dell'altra. Invano Brofferio ribatteva 
dimostrandone l'imprudente applicazione in paese ingombro 

(t) Vedasi la Canzone « Basi vii e grupia neuva ». 
(2) Vedasi la Cassone e V àbòliisiàK tC ij eànvent ». 



— XXIV — 



da tradizionale ignorante superstizione, pur ieri in balia 
di sette monarchie, misero inesperto d'ogni esercizio di 
libere istituzioni, dove lo stato novellino trovavasi a con- 
flitto con avversario formidabile nella pubblicità del pul- 
pito e nel segreto della confessione, atteggiatosi a vittima 
ed armato, influente nell'istruzione e nei comizi, massi- 
mamente per le campagne. 

Ma il domani di quella celebre seduta fu rìserbato alla 
concordia degli animi nel solo e grande concetto unitario 
nazionale. Il Parlamento Italiano a proposta del Ministero 
stesso vi proclamava Roma capitale cP Italia. 

BrofTerio vi si trovò unito a Camillo Cavour. 

Opel giorno fu sacro alP eloquenza del cuore. Negli an- 
tichi riti pagani ricorrevano solennità in cui per sacrificare 
agli Dèi era necessaria la maeìstà del supremo pontefice: 
per sacrificare alP eloquenza ed alla maestà del luogo e 
dell'ora presente fu necessaria la parola di Angelo Brof- 
ferio, universalmente creduta degna di tanto onore. 

Purtroppo effimera fu la concordia di principii nella 
dissonanza dei mezzi voluti per la loro applicazione. Ga- 
ribaldi nella tornata del i8 aprile investiva dai banchi 
dell'Estrema Sinistra il ministro che consumata l'annes- 
sione della nativa Nizza alla Francia per recente plebi- 
scito l'aveva^ fatto straniero in Italia ai cui tanta parte 
aveva testé liberato. 



« 4: 



Camillo Cavour scompariva dalla scena di questo mondo 
il 6 maggio 1861. Nessuno apertamente osava presentarsi 
nell' arringo politico e dichiararvi apertamente di volerne 
assumere l'eredità. Chi tentò l' intrigo diede prova di folle 
coraggio e di sfortunato esperimento. Garibaldi sorretto 
dall'Estrema Sinistra proclamava la guerra santa per l'an- 
nessione di Roma e di Vene:{ia^ e da Caprera portatosi a 
Palermo pronunciava il motto fatidico : O Roma o Morte, 
Lo seguirono, qui e là respinti, i Volontarìi : il 29 agosto 
ad Aspromonte di Calabria lo feriva ed arrestava sulla via 
di Roma l'esercito regio mandato da Rattazzi. Si prepa- 
rarono nelle tenebre dei ministeriali gabinetti i tristi fatti 
della Convenzione tra Italia e Francia : e Brofierio si piantò 
ancora sulla breccia delle rovinate speranze d'Italia per 
contendere la piena vittoria al livido imperatore e alla 
consorteria Toscana che di combutta con gesuiti, affaristi e 
clericali di tutto il mondo ci chiudeva r adito a Roma 
sospirata capitale politica della risorta nazione. 



CARLOTTA MARCHIOMNI 



— XXV — 



Cosi si giunse al 1866. Le speranze erano ravvivate nel 
cuore di tutti; la concordia dei partiti non era più un 
sogno. La guerra all'Austria voluta da tutti i liberali era 
nell'intenzione del Governo, che nello ingrandimento del 
regno di Prussia a spese dell' Austria stessa trovava il con- 
trappeso della bilancia politica. Essa cedeva dunque alle 
insistenze della Sinistra Parlamentare mentre Bismark dalle 
rive della Sprea preparava la nuova alleanza conclusa col- 
l'Italia P8 aprile 1866; e a Garibaldi veniva affidata la 
formazione di 40 battaglioni di volontari lanciati ad ag- 
girare lungo la Valtellina, PAlpi Retiche e le Giulie, (il 
famoso quadrilatero), l'esercito Austriaco che l'occupava. 

Parvero tornati i giorni del 1848. Ma P Austria battuta 
dal Principe Federico a Sadowa, respinta da Garibaldi fin 
sotto le mura di Trento, vincitrice a Lissa in mare e di 
nuovo sui campi per noi fatali di Custoza, salvava l'onore 
delle armi cedendo Venezia al sire di Francia che a noi 
la consegnò mediante il plebiscito Veneto del 22 ottobre 
1866. 

BrofFcrio affranto d'anni e d^ affanni, che per dare alla 
patria tutto il suo virile ingegno aveva sacrificato i lucri 
della professione, astretto ad accettare dalla costante ami- 
cizia di Re Vittorio Emanuele II il sussidio destinato 
agli storiografi di corte, indipendente semipre nella compi- 
lazione della Storia Parlamentare, ritiravasi dalle lotte 
pl)litiche. Vegliava in lui l'entusiasmo dei primi anni.' 
Quando scoppiò la guerra redentrice, egli abbandonavasi 
ancora alla giovanile speranza, e volle morire con essa. 
L^ ultimo suo discorso alla Camera fu il canto d'un Poeta. 
Ejgli perdonava quel giorno a tutti i suoi avversari; sulla 
via eli Venezia avrebbe stretta la mano a Cavour e la 
stringerebbe a Marco Minghetti ! Povero Brofferio 1 Che cosa 
non avrebbe egli concesso a chi avesse condotto in Roma 
il Parlamento? 

La Camera Italiana si ricordò anche in questi giorni di 
entusiasmo che era riservato al più eloquente e ardito pro- 
motore di libertà e d'indipendenza, sotto la dura vigilanza 
del passato regime, P onore di bene augurare alla concordia 
in Quello che si sperava estremo sforzo a compiere il sogno 
di Dante e di Macchiavelli, La sua carriera parlamentare 
finiva sotto lieti auspici. 

Il suo amico Depretis entrava nel Ministero. Un suo 
avversario, Pier Carlo Bo^gio, saliva sulla nave ammiraglia 
a rappresentare la Guardia Nazionale di Torino e la di- 
gnità di deputato militante. La sua ultima esortazione dai 
banchi dell'Estrema Sinistra nel Parlamento Italiano fu 



— XXVI — 



come la prima che egli aveva pronunciata nel Parlamento 
Subalpino: nei supremi cimenti audacia, uniformità di 
sforzi fra i valorosi d'ogni parte, finalità disinteressata di 
sacrifici pel complemento della unità nazionale. 

Ma egli non doveva assistere ai disinganni, agli intrighi, 
alle glorie dei martiri, all'onta degli insuccessi e delle li- 
mosinate concessioni imperiali. 

L'alba del 24 maggio 1866 fu P ultima della sua pre- 
ziosa vita. Egli spirava nella sua villa La Verbanella presso 
Locamo, dov'era solito recarsi qualche tempo ogni anno, 
non tanto per riposarsi dalle lotte politiche e forensi, 

3uanto per aver agio di accostare i rifugiati politici che si 
avano convegno su libera terra. Fra quelle amiche ombre, 
in faccia al profondo lago, furono ospiti suoi Gius. Ma:{' 
!^iniy Stefano Arago, Alessandro Duinas^ Guerras[:[i e Dal- 
P Ongaro, Due volte Cavour fu a visitare il suo costante 
avversario; Gius. Garibaldi stringeva la mano al fedele 
amico nella primavera del 1862, prima di salpare la se- 
conda volta da Genova a Palermo. 

Certamente dalla Verbanella sarebbe uscito il supremo 
impulso alla vittoria che il gran duce si riprometteva nel- 
l'Impresa di Roma, se i prudenti consigli non avessero 
prevalso nel gabinetto dell'amico Ratta^^i agli ardimen- 
tosi di Angelo BrofFerio, mentre Napoleone III teneva ri- 
volti gli sguardi ad una spedizione di Francia nel Messico, 
e alla gigantesca guerra di secessione tra gli Stati Uniff 
d'America, scoppiata nell'aprile del 1861, e la Prussia 
teneva preoccupata l'Austria coli' espansione territoriale 
nello Schlesvig Holstein a danno della vicina Danimarca ; 
e se P esercito mandato ad arrestare il liberatore avesse 
avuto P ordine di lasciarlo trascorrere inosservato per la 
via del destino, come poi verosimilmente nel 1867 fin sotto 
le allora sguernite mura di Roma. 

La salma delP Oratore Patriota trasferita dalle sponde 
del Ceresio a Torino giace nel Cimitero Monumentale, 
dove hanno onorato ricordo gli spiriti magni delle Lettere, 
delle Arti e del Nazionale Risorgimento. Una sola terra 
vi consuma le ossa di Silvio Pellico^ la rassegnazione che 
persuade, di Brofferio^ P ardita affermazione che eleva i 
caratteri, di Cesare Balbo che diffonde e assimila le spe- 
ranze dMtalia nella generazione crescente, di Sorella^ Bot- 
fero e Bianchi Giovmi acri e popolari pubblicisti dai quali 
la le^ge abolitiva del Fóro Ecclesiastico, la legge di oop- 
pressione degli Ordini Religiosi (7 luglio 1866), il movi- 
mento dell'opinione pubblica in favore della Proclama- 



— XXVII — 



zione di Roma Capitale d'Italia, verso P istituzione del 
Matrimonio Civile e della sua Separazione Contrattuale, 
verso l'Abolizione della Pena di Morte, e in prò del Di- 
vorzio assoluto, ripetono il fatto cammino nella pubblica 
opinione e poi nelle leggi del novello Regno. 

Una modestissima stele di marmo con busto, Oggi mu- 
tilato, ricorda il Dottor Borella^ collaboratore della Gaj^- 
\etta del Popolo^ in piccola aiuola, all'ombra di vecchi 
alberi ; ed in altro pubblico giardino una statua togata, di 
mediocre fattura sotto la polvere degli anni rammenta i 
tratti del massimo fra gli oratori Torinesi. 

Cosi soddisfatta la gratitudine dei suoi contemporanei, 
scende un immeritato oblìo nella memoria degli Epigoni 
poco istrutti, generalmente parlando, della evoluzione sto- 
rica precedente e infastiditi dalle abusate frasi patriottiche. 

Agli obliosi che percorreranno il presente volume si af- 
faccerà coli' arido metodo dei confronti, la domanda insi- 
diosa: Broiferio fu egli veramente poeta, e tanto da meri- 
tare il pregio delle ricordanze centenarie? 



Si fu poeta quando, nella solitudine creata dagli assoluti 
governi intorno ai liberi ingegni, faceva battere i cuori ed 
esaltare le menti, fremere ed inorridire con ricondurle indi 
a poco in dolce calma melanconica colle Scene Elleniche 
e colle Tradizioni Piemontesi: poeta quando fra le ama- 
rezze del carcere persisteva nei propositi generosi che lo 
avevano esposto a feroci condanne, meditava e scriveva 
nel libro sempre aperto della sua fertile immaginazione le 
Cannoni destinate a penetrare nelle fumose officine e nelle 
dorate sale, lasciandovi l'eco d'un riso bonario colla punta 
d'un' allusione che fa pensare. Poeta quando nell'aule 
della giustizia col periodo terso e abbondante d'immagini 
strappava innocenti e rèi all'ingiuste o vanamente feroci 
condanne; poeta quando alla tribuna parlamentare soste- 
neva pertinacemente le ragioni del popolo lavoratore, molto 
imperfettamente rappresentato, propugnava le leggi d' ugua- 
glianza e di giustizia distributiva, e tutti i potenti richia- 
mava a dignità di atti e di relazioni internazionali con- 
venienti a stato libero, a nazione indipendente. 

Il suo Cannoniere, pel quale è lecito seguir l'Autore in 
tutte le fasi della sua vita esagitata, lo colloca per ordine 



— XXVUI 

di merito accanto al suo predecessore immediato, a quel 
Calvo di cui Vittorio Alfieri esclamava essere deplorabile 
la perdita di tanto ingegno italianamente pensante nel- 
l'oscurità d'un mal noto dialetto. 

Le canzoni più ispirate, quelle che divennero più di 
tutte popolari ebbero vita nel silenzio del carcere e nel- 
l'amarezza delle disillusioni. 

Il dolore accompagnava la poesia, ma le rosee speranze 
della gioventù rinascevano colla liberazione e lo incuora- 
vano a rendere note, fra mille stenti e pericoli, quelle poe- 
tiche melodie che tanti ascosi ammonimenti richiamavano 
agli intelletti annebbiati dal pregiudizio, dallo scandalo e 
dalla paura. 

Aiutati dalla musica del Concone e dalla propria, i suoi 
facili ritornelli, le sue sagaci rime cominciarono a correre 
sulle labbra d^l popolo e diffondersi per le città, per le 
ville, per le officme, in serenate, in cene famigliari, can- 
tate da molti che non ne conoscevano certo l'Autore; il 
quale scriveva per il popolo e non ambiva altra gloria 
che quella di penetrare in esso e farsi alla lunga compren- 
dere con uno scambio simpatico d'idee comuni, d'impres- 
sioni ed affezionati trasporti. 

Brofferio seppe a sua volta comprendere le vere passioni 
del popolo, seppe rendergli facile l'astrusa filosona della 
Ragione pura e parlare di patria e di libertà senza farsi 
scorgere troppo, quando era delitto pronunciare tali nomi; 
seppe nobilitare colla delicatezza dell'espressione i facili 
amori (i), e col sorriso sulle labbra consigliare onestà, 
giustizia, eguaglianza fra le classi sociali. Tra le difficoltà 
che egli affrontò e quelle che avevano da superare il Giusti 
e il Èéranger intercede un abisso. Le miti leggi Leopol- 
dine governavano la Toscana, la cui aristocrazia medesima 
fatta di professori, d'impiegati, di piccoli possidenti, colta 
e gentile per lunga tradizione, mal si arrendeva alle repres- 
sioni feroci della libera parola dove la pena di morte e la 
tortura erano da lungo tempo abolite. La stessa e più au- 
dace vena di graziosa maldicenza, di spiritoso sarcasmo, 
di salaci eleganze fluiva nella società eletta di Parigi e 
delle principali città Francesi, dove la Santa Allean^a^ 
Metternich, Tallejrrand e Bentinck avevano ricondotto il 
Borbonico Conte a* Artois col nome di Luigi XVIII stu- 
dioso delle Satire d' Orazio, educato da fanciullo con tutto 
il codazzo di nobili antichi e nuovi nelle dorate sale aperte 



(I) V. Noia a pag. 35. 



XXIX — 

alle assemblee massoniche degli illumiaati e degli eaci- 
clopedisti, e dove fu prudenza far dimenticare le prime 
proscrizioni Sillane e reprimere il desiderio di un glorioso 
imperatore col regime parlamentare della Carta Costitu- 
zionale. 

Ma si leggano i Ricordi dì Massimo cPA^eglio, leggasi 
la vita di Cesare Balbo^ compilata dal Ricotti colle carte 
di lui, dopo aver riletta V autobiografia di Vittorio Alfieri, 
e sì vedrà come rara fosse in Piemonte la nobiltà istruita 
e tollerante, che, traendo seco l'imitatrice borghesia e il 
popolino, sapesse porgere ai cultori di lettere e di poesia 
popolare benevolo ascolto. Il turbine della Rivoluzione 
era passato sopra il sistema Feudale, ferreo, dinastico, senza 
scomporre più della superficie. Erano tuttavia possibili nel 
bel mezzo di Torino, di Asti, di Alessandria, di Genova 
i soprusi che Angelo BrofFerio narra sofferti dal Chimico 
Borsarelli e dal Serra spodestato e pacifico presidente 
della Repubblica Genovese, da professori, da artisti insigni, 
senza che al di là delle loro famiglie paresse irritata effi- 
cacemente la pubblica opinione. 

Carlo Alberto medesimo si trovò titubante nel suo av- 
vento al trono e s'arretrò dinnanzi a quelPuniveisale con- 
senso di tenebrore intellettuale. Onde coraggiosissime ap- 
pariscono in tale ambiente, su tutte le altre, le canzoni 
di Angelo BrofFerio, della cui genesi diceva egli stesso in 
una vecchia e quasi sincrona prefazione alla ristampa del 
« Messaggero », le velate parole che dimostrano il suo 
intendimento generoso « Un caso felice sopravenne ad 
(( interrompere la mia carriera. I rivolgimenti di Francia 
« ebbero un'eco in Italia, ed io fui ritenuto in carcere 
« sei mesi. La poesia, amabile compagna della mia gio- 
(( vinezza, fu ancora una volta la consolatrice delle mie 
« sventure. Già prima io aveva posto mente che all' Italia 
« mancava un poeta popolare che parlasse a tutti con fa- 
(( migliarità di fratello e con dignità dì cittadino. Mi ac- 
« cinsi alla prova e ingannai il dolore della prigionia 
« componendo alcune Canzoni Piemontesi, alle quali con- 
(( fidava le mie tristezze, i miei conforti, le mie speranze ».... 

Come sono diventato Giornalista^ è il titolo della pre- 
fazione avanti accennata: e l'umorismo di quella narra- 
zione mette conto che se ne dia un rapido cenno. 

Unica Gazzetta in Piemonte, oltre la Ufficiale, era U An- 
notatore Piemontese. Vi si pubblicavano recensioni^ di 
mutuo incensamento e novelle da far che si dormisse 
in piedi. I Boucheron^ i Peyron, i Cibrario ne facevano le 
spese. Come vincere i sospetti della Censura? come con- 



— XXX 



trapporvi la crìtica vivace e sagace, come una specie di 
Frusta Letteraria, V unica forma passabile di libera discus- 
sione? BrofTerio tanto fece e provò, che ebbe trovato un 
posticino a' suoi articoli furbeschi fra le notizie del bac- 
calà e del tonno arrivati in dogana che pubblicava un 
bollettino commerciale di certo Gabetti venutogli tra mani 
al Caffè Barone, quello che tuttora frequentano Pai- 
berti e Villa in sul canto delle vie Garibaldi e Bel- 
lezia. — La novità di quella polemica di straforo fece 
chiasso, fu tollerata dai barbassori medesimi finché videro 
uno ad uno lanciata l'ultima pietra nel proprio giardino. 
Allora tutti gli si voltarono contro per atterrare il gior- 
nale pettegolo che li aveva man mano tutti quanti tar- 
tassati. Ma intanto il Messaggero Torinese era fondato e 
viveva di gagliarda vita. Cadevano invece i giornali nuovi 
di cui egli aveva favorito il nascimento e che gli si erano 
rivoltati per morderlo alle calcagna. Una tal quale libertà 
di stampa sottto quel velo letterario passava anche in Pie- 
monte mentre la reazione imperversava. Di pari passo col 
Messaggero, Brofferio pubblicava le Scene Elleniche, co- 
raggiosa esposizione in lingua fiorita e forma poetica sul 
gusto del (Jhateubriand, che s' accosta al poema con fondo 
rigorosamente storico: fogli volanti che e^li gettava fuori 
ogni giorno colla manifestazione dell'intimo concetto li- 
berale che P animava. Esaltando il coraggio dei nuovi 
Elleni in lotta col fanatico Islamita, egli poteva impune- 
mente ravvivare nei frementi cuori degli Italiani l'aspira- 
zione compressa all'indipendenza Nazionale. Ogni qualvolta 
la Grecia moderna scosse di poi quell'abborrito giogo, fu- 
rono in Italia ricercate e rilette l'omai rare Scene Elle- 
niche del nostro A. in quella spendida edizione che ne 
fece illustrata il Fontana, editore principale di Alessandro 
Manzoni. Esse rispondono veramente, colle loro mirifiche 
descrizioni di paesi, di costumi, di caratteri e di avveni- 
menti grandiosi e commoventi, al bisogno di idealità ec- 
citabile anche in tempi di affarismo e di negazione, come 
si vide ultimamente all'accorrere di Ricciotti Garibaldi 
coi suoi volontari da Roma e alla morte del deputato 
Romano Andrea Fratti nelle trincee di Domoicos, mentre 
dalla invasa Tessaglia fuggivano le regolari milizie ag- 
guerrite del principe Giorgio innanzi al Turco invasore. 

Dell'attività giornalistica di Brofferio restano ancora 
ì segni nella « Galleria Contemporanea » nella raccolta 
delle illustrate « Tradis[ioni Italiane » da lui diretta 
e collaborata da De Boni, Celesia, DalPOngaro, Ciam- 
polini, (autore della presa di Suli), Vincenzo Revere ed 



— XXXI — 



altri valenti fautori di agitazione liberale. Ai nostri giorni 
dopo il ^48 « // Diritto ». « La Voce della Libertà ». i< La 
Voce nel Deserto » rispondevano con serrata facondia di 
argomentazioni agli assalti del moderato li Risorgimento n ^ 
della clericale Unità Cattolica^ della diplomatica Opinione 
diretta da Achille Dina^ e della stessa GaT:{etta del Po- 
polo fondata dal Govean^ dal Borella e dal potente Dot- 
terò, — Chi amasse conoscere in modo preciso l'opinione 
di Angelo Brofiferio tra i differenti partiti politici che si 
contendevano il campo nel decennio che decorre dal 1849 
al 1859 rilegga il suo dramma dal titolo il « Tartufo 
Politico)). È la storia sarcastica, appassionata delle con- 
giure dei congressi ammantati di scienza, infarciti d'in- 
trigo e di spionaggio, poi dello effimero risorgimento co- 
stituzionale nei diversi Stati dMtalia seguito dal ritorno 
dello straniero e da feroci repressioni ed esigli, e delle 
speranze ultime cadute in Parigi il 2 Dicembre 185 1, dove 
Manin e Gioberti erano spirati e dove il protagonista 
Giulio Ademarij in cui P Autore ama sovente impersonarsi, 
muore col petto squarciato dalla mitraglia napoleonica per 
la causa universale della conculcata libertà. — Giulio Ade- 
mari interrogato dal mazziniano Paolo Fulvi: « Come? 
sareste voi cangiato? risponde: No: ma tre anni di carcere 
mi hanno insegnato grandi cose: Io sono stato e sono e 
sarò sempre repubblicano: ma non presumo di fondare 
una repubblica dove sono appena gli elementi di una co- 
stituzionale monarchia; e se io lo presumessi, volendo far 
forza alle fiacche menti e alle tiepide convinzioni, man- 
derei tutto sossopra, e per affrettare troppo l'avvenire com- 
metterei il sacrilegio di ricondurre il passato ». 

Pubblicata la Storia del Piemonte, riunì ed accrebbe 
il suo Can:[oniere popolare ; e pochi anni dopo imprese 
la narrazione della propria vita, intitolandola « / miei 
tempi » (i). Queste pagine veramente sincere sono lo sfogo 
dell' animo, sono i fogli volanti che lo storico scrive di 
getto ad ogni fatto, ad ogni discorso degno di nota e svol- 
gono l'ultimo ed agitato pensiero dell'uomo politico. Qui 
ritrovi tutto Brofferio. Le ultime righe sono ancora un 
saluto alla libertà, un' Invocazione all'arte che gli preoc- 
cuparono tutta la vita. 

(i) Questo lavoro incominciato nel 1851 dalla Tip. Eredi Botta, dopo 
il II voi. corse rischio di restar tronco. Ma gli amici di Brofferio co- 
stituirono uua società con azioni di L. 40: e cosi ne venne stampato 
il seguito dal 18) i al 61 presso la Tip. G. Biancardi, continuato poi 
dal 63 al 6 |. dall* editore Maur. Guigoni di Milano. 



— XXXII — 

Per ultima fatica si accinse, invitato da re Vittorio 
Emanuele 11.^ a comporre una « Storia del Parlamento 
Italiano » (i). 

Il re gli diceva; « Voi la scriverete con tutta libertà 
e verità »: né Brofferio poteva accettare P invito se non a 
queste condizioni. 

La morte gli troncava la penna, e l'opera non fu 
condotta fino al termine prefisso dall'Autore. 

4: * 

Ma Brofferio era nato anzitutto colle doti delP Oratore. 
— A divenirlo perfetto si esercitò indefessamente dalla 
prima giovinezza, collo studio della lingua e dello stile 
senza fronzoli, senza inversioni, ma senza volgarità. Parlava 
in pubblico all'improvviso colla stessa fluidità d'immagini 
colla quale scriveva. Nella Curia seppe conservarsi puro 
dall' abitudine delle cavillose minuzie di erudizione, da 
quelle frasi barbare che sembrano involgere ed irretire i 
legulei senza lasciare che se ne svestano in ogni altra oc- 
casione. — Venti anni di arringo nel fóro gli schiusero i 
diffìcili segreti per cui la parola può essere disciplinata a 
tutte le più disparate necessità della discussione parlamen- 
tare; mentre gli studi letterari mantenevano in lui quel 
culto della forma che è condizione indispensabile per con- 
centrare P attenzione degli uditori più intelligenti. 

Si tratta della causa della liberta ? non ne dubitate, ci 
si farà sentire ; eccolo : ei sorge ascoltiamolo. 

L' aspetto è simpatico : la fisionomia, che te lo po- 
trebbe far prendere in iscambio di Guerra^ni, ha tratti 
forti, salienti, è aperta; la fronte spaziosa; lo sguai'do senza 
schermo d'occhiali pieno di foco e d'intelligenza, lampeg- 
giante. Alta la persona e ben proporzionata; la voce lim- 
pida, varia, sonora, si piega dalle gamme più profonde alle 
più acute senza uno sforzo; il gesto largo e rattenuto a 
volta a volta seguendo i moti dell'animo e la cadenza 
misurata e incalzante della voce stessa e le mutazioni della 
passione impresse alla fisionomia. Onde fu paragonato al 
suo amico e compagno di politiche opinioni Gustavo Mo- 
dena^ maestro nelP arte del dire, come l' Istrione Rudio fu 
ad Ortensio e a Cicerone, 

Ma in ciò non era tutta la prestanza dell' Oratore. Che 
un avversario cercasse di rimbeccarlo: avrebbe incontrato 



(I) Milano, £. Belsini ed N. Battezzati, 1865-69; 6 voi. in 8® gr. 
presso di pubblicas. L. 300. 




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XXXllI — 



unUmprevista energia di risposte. L' uomo ragionatore e 
calcolatore, studioso della giusta misura, si rivolgeva contro 
l'assalitore tempestandolo di appropriati sarcasmi. Egli non 
leggeva mai; profferiva a memoria, o all'improvviso le 
sue arrringhe, e con tanta felicità, che se altri sfuggisse di 
proposito o per disciplina di partito alla commozione e 
alla persuasione, non poteva però evitare i ben assestati 
rimproveri e la potenza dell'ironiche immagini, l'abilità 
dei confronti chiamati con acconcie evocazioni storiche, 
con voce vibrante, con gesto cosi efficace, da riscuotere, 
per ciò solo, l'applauso dei più ritrosi avversari. 

La sua forma oratoria è pura, corretta, e sempre im- 
prontata d'una squisitezza letteraria, che troppo spesso 
manca nelle politiche assemblee. È lo scrittore che veglia 
costantemente sull'oratore. Ma tutto questo risultato era 
frutto interamente dell'arte? No: ma si veramente della 
coscienza. Un cittadino quand'è convinto di ciò che af- 
ferma o nega, foss'egli lontano dal conoscere i lenocinii 
per cui la parola può divenire un'arma potente, riusci- 
rebbe nondimeno a scuotere la persuasione dei più inge- 
gnosi avversari in una facile vittoria di causa sballata. 

In tutta la vita politica e privata del Castelnovese 
che segui alla pubblicazione dei suo Canzoniere, come 
in nessuna delle sue canzoni non si trova un detto od 
un'azione da cui si possa arguire ch'egli avrebbe venduta 
la sua coscienza di cittadino e di poeta civile pur di tro- 
vare chi glie l'avesse comprata. Non un tratto di ambi- 
zione, non uno di bassa invidia. Quantunque abbia can- 
tato come Gius. Giusti gli evviva a Becero Bellino in 
maschera di cavaliere « C/r' a P é reidi, ch^ a P é fier — 
CP é dur^ sor Cavajer! », non sarebbe sfu^ito neppur 
egli al peso delle decorazioni, purché avesse dimostrato di 
ricredersi dalle opinioni giovanili. — Né davanti al con- 
siglio di guerra né poi, rinnegò la giurata fede all'ami- 
cizia ed alla causa aella libertà e dell' elevazione popolare 
a cuij discendendo dall' altezza dell' arte per parlare ai 
poveri di istruzione e d'educazione liberale in lingua po- 
vera, egli con perfezione sinora insuperata avviò la lirica 
Piemontese. 

Torino, il Luglio del 1902. 

L. De -Mauri. 



VORME PER LA PRONUNCIA 

del Dialetto Piemoatese secondo P ortografìa moderna, se- 
guita per la prima volta in questa Edizione. 



/'', htt suono quasi muUf, simile a quello dell* e in j'e (io) francese. — 
JSi, (il) in priDCipio di verso benché non porti segno speciale 
pronunciasi come se fosse scritto //. (Cosi si è stabilito per 
necessità tipograBca). 

/f hn suofto stretto^ come nella voce ital. péra. 

^, ha suono largo^ come nella voce ital. èrba, 

ij\ si pronunciano come un solo i alquanto allungato, come nell' ital. 
sentii, 

àf ha suono corrispondente a quello dell' u toscano e del dittongo ou 
francese. 

u, ha suofto stretto, come V u francese e lombardo. 

Ti, ha valore faucale. (Questo suono somiglia alquanto a quello dell' 7/ 
nasale dei francesi). 

eUf dittongo, si pronuncia come in francese. 

/n ogni altro caso la scrittura è fonetica, cioè si legge come sta 
scritta. 



CANZONI DEL V PERIODO 



e Né '1 perìcòl né 4 malheur 
A l' àu mai cambiarne '1 coeur » . 



— 2 — 

Sul sente dia gratitudine 
La calunnia t'as tróvà^ 
D'ia pè'rsón la solitudine 
A t^an fina conturba; 
A són vnute a stiltè '1 cheur 
Su la paja del malbeur: 
Statne sol, ecc. 

Pr' evitè certi cócómer (i) 
Ch'a s^argaucio e ch'as dan d'tón, (2) 
Che con d'anime d'can pómer 
A fan decere da león, 
Che con d' teste da trós d'eòi 
A van drit e a fan j'eroi, 
Statne sol, ecc. 

Queich dólcèssa, queich delissia 
D' volte a spónta fra '1 dolor; 
T'as un cheur per Pamicissia 
E pr' i palpiti dPamór; 
T'as un'anima tempra 
Al martel dl'aversità: 
Statne sòl, ecc. 

Ch'a s'esercita l'invidia 
Dsòra i làur a sparge '1 fel, (3) 
Ch'a sorrida la perfidia 
Con la man dsòra '1 còtel, 
Ch'a sacrifica l'òrgheui 
Fieni a pare e pare a fieni, 
Statne sòl, ecc. 

Che Luis Flìp fassa la spòla. 
Che Leopoldo a fassa '1 fol, 
Che ans la Vistola Nicola 
Vers la Sena a slónga '1 col, 
Che sul Reno e sul Tesin 
A brontola Franceschin, 
Statne sòl, ecc. 

T'as prò vist le glorie umane 
Dal fnestròn d'j catafus, (4) 
A l'è temp ch'i t'alòntaiie, 
E ch'i t' ride da un pèrtus. 
Dèsmentià, ma indipendent, 



(1) cócómer ^ persone vane. (3) dsóra, sopra gli allori. 

(2) ^ argaucio^ che s'impancano. { (4) ccUafus^ carceri. 



— 3 — 

Fier e liber e cóntent, 
Statne sol, ecc. 



Dopo il rilascio dal carcere^ 
i/' settembre 1831. 



^ 



CRUDEL DESTIN 



Destìn becco-fòtù 
T^as propi famla grisa 
A scìodme patanù (i) 
Sót n^erbo al méis dia bisa. (2) 
Da già ch^a t^è vnù '1 tich 
D'sèmneme dsór un brich, 
Perchè crudel destin 
Nen feme un ravanin? 

J'avia già da pcitin 
Na pròvisión d' mal d^ pansa 
Ora pr^un verb latin, 
Or pr^una cóncòrdansa; 
Ventava minca tan (3) 
Difendale '1 fabrian; 
Perchè ecc. 

Dop avei fait in Ast 
L' òlóch ant^ un còlege 
Peu dvù buteme ^1 bast 
Per quater cóje d'Lege; 
Peu dvù mastiè i limón 
Con Fabro e con Tobón (4); 
Perchè ecc. 



(i) a schiudermi nudo. 

(2) bisay freddo; d'inverno. 

(3) occorreva di quando in quando sfuggire Je sculacciate del maestro. 

(4) Fabro e Toboni professori dì diritto. 



— 4 — 

Peu fait d can dughin (i) 
Su le piana dia blèssa, 
Ma pr'un fótù basin, 
Pr^una fótua carèssa 
La mort m'avia già 'n brass, 
E '1 Diau s' lustrava '1 pnass; (2) 
Pèirchè ecc. 

Lassandole sbaluché (3) 
Dal lantè'rnón dia gloria 
Di e neuit j'eu sul pape 
Frustarne la sicoria; 
E Teu peni vist un lum 
Sens^euli, e sporch d^fum; 
Perchè ecc. 

Con intenssiòn d' cambiò 
Atòr, cómedia e scena, 
Són stait a rubate (4) 
Su PArno e su la Sena; 
Ma da per tut j'eu vdù 
D'gianfòtre e d'foi fótù; 
Perchè ecc. 

Sentiendme peni già stanch 
D^martleme in vers la gnuca (5) 
I són batume i fianch 
In prosa per la pruca; (6) 
Són piarne la legai 
Parei d'un servissial; 
Perchè ecc. 

Al pover j'eu fait de 
So camp e sóa filerà, 
Peu fait surti pi d'tre 



(1) Ho fatto come il cagnolino che si lascia menare al guinzaglio 
dalle signore galanti e corre sulle loro pedate. Non si potevano esprì- 
mere con più schietta e delicata eleganza le conseguenze degli abusi 
di gioventù. — Cfr, il poema latino dì Fracastoro; La Medicina delle 
passioni di Descuret; e tutto il Canto V del poema di Lucrezio, at- 
tinto alle pure fonti del vero sistema d'Epicuro. 

(2) il diavolo si lucidava la coda, cioè sì leccava già i baffi. 

(3) shaluchéy abbagliare. 

(4) ruòat/, girovagare. 

(5) g^'i^ca, la testa; e qui il cervello. 

(6) Anticamente, fìn dal Sec. XVI, i legali, come ora in Inghil- 
terra, si coprivano il capo d* una inanellata parrucca. 



— 5 

Ch'a Pero 'n capdnera; (i) 
Ma j^eit fasend surti 
I són intraje mi; 
Perchè ecc. 

Sperand ant un moment 
Finì sta vita croja, (2) 
Paspeto santament 
La visita dèi boja 
Ch'am véna a libere 
Con un bón causs dare; 
Perchè ecc. 

Pi tost che deurvme J'eui 
La man dia Pròvidensa 
Pódia ben strasse 'n feui 
Dal liber dPesistensa. 
El mònd stasijlo nen 
Con un fabioch d'men? 
Perchè ecc. 



Nelle carceri correzionali 
IO aprile 1831. 



J- 



MIA ANIMA i^) 



Povra amia, povra compagna (3) 
Dj me crussi, di me aneui, 
Guarda li t'ses ant la bagna (4) 
Fina al col, fin dsòra j^eui; 



(a) Mia anima. Noti il Lettore Tamara filosofia diffusa in questa 
canzone : essa fu gettata in carta in un terribile momento di sconforto, 
che trapela da ogni verso e si comunica all'animo nostro. 

(1) capotterà^ carcere. 

(2) croja, grama, maledetta. (In Dante, Inf. 30: < Col pugno gli 
percosse Pepa croia > ). 

(3) amia^ amica. 

(4) òagnOi nei pasticci, fastidi. 




Guarda li, venta a la fin (i) 
Rangiè i cònt con èl destin: 
Sensa afTan, senza paura 
Slarga j'ale e vaine pural 

Fa córage, o povra amia, 
Laste nen pie dal magón 
Pr'una corda, pr'una gria, (2) 
Pr^un po' d^paja anf un canton. 
Sót la pórpora aj n'è d^cói 
Cli^a stan pegg che sót ai frój; (3) 
Sensa afifan, ecc. 

Cosa vallo chMt tratène 
Fra le nebie d' còsta vai 
A cómbate con le pèiie 
A fé 1 ben per ciieuje ^1 mal? 
Cosa vallo sgambitè 
Sensa gnanca un Strass d^ perchè? 
Sensa aSan, ecc. 

Con Pamór't'ses ambarcate 
E ^1 timón i t^as pè'rdù, 
A la gloria i t'ses fidate, 
E r invidia a Pa córù; 
Sóspirand la libertà 
Le cadèiie i t^as trova; 
Sensa affan, ecc. 

Dnans l'Eterno quand i t' vade 
A infórmélo d'] fait to, 
S'a t'ciamrà s' t' fasie d* balade, 
Bassa j'eui, dis nen che d'no; 
S'a t' ciamrà s' fere sturdi, 
Strens le spale e dis che' d'si: 
Sensa affan, ecc. 

Dis, sót vós, che a Pamicissia 
Da bón fieul i f as chè'rdù; 
Dis che d'j'omni la giustissia 
T'as trop vist, trop cónossù; 
Ch' it f ses fate mai lustre 
Da gnun papa e da gnun re: 
Sensa affan, ecc. 



(i) venia, bisogna. 

(3) per la fune del boia, o per l'inferriata del carcere. 

(3) /^^Ji catenacci. 



7 — 

Dis ch'i t'as mai fait vendétta 
Centra d'eoi ch'a t' vòrio pers, 
Che cantand queich cansònètta, 
Che sfógandte con queich vers; 
Dis ch'i t'as mai avù cheur 
D' vèdde un autr ant'èl malheur: 
Sensa affan, ecc. 

I lo seu, t'ses ancor gnanca 
D'tòa carriera a la metà, 
Ma i seu dcò ch'i t^ses già stanca (i) 
D' vèdte tant perseguita, 
Lassme, lassme póse j'oss: 
Sòt un sales, ant un foss: 
Sensa alfan, ecc. 

Nelle carceri correzionali 
15 aprile 1831 



ME VESTI 



Cómpagn die mie vicende, 
Me car vestì, t'iò sas. 
Che un di t'as fame spende 
Quatordes lire al ras: 
It'ses d'un bel pann fin, 
Tajà da Cólòmbin: (2) 
E adess me car vèsti, 
Perchè deme '1 bóndì? 

T' sas eh' a t'a mai tòcate 
La man d'un servitór. 
Mi sol t'eu sempre Ivate 
La pò ver con amor. 
In Òamera, in Senat 
I t'eu difeis dai rat: 
E adess, ecc. 



(i) dcóy anco, anche. , (2) sarto famoso di Torino. 



— 8 — 

Quand j'era prim-anarì^ (i) 
Tróvandme al sicut eU 
J'eu fait tròte ij scartari 
£ 1 drìt die geni al ghet; 
Ma ti t'ses gnanca sta 
Na volta al Mónt d' Pietà : 
E adess, ecc. 

I t' sas che Rosalia 
Quand am sautava 1 splin 
P(fr nen cb'j'aodeissa via 
At piava pr' ij faudia. 
I t' sas che mioca poch 
T'ij na lassave un toch: 
E adess, ecc. 

Quand Pestro vnisia dime 
D' ciadleje una canssòn (2) 
Peu trova sóens le rime 
Plucand i to bótón. 
Un di per drissé un verss 
I t'eu butà a l'inverss: 
E adess, ecc. 

Se dnans a ti a passava 
Queich paraman broda, (3) 
T' sas ben eh' a t'nMmpórtava 
Còm dèi capuss d'un fra: 
Per d' plache, e per d' bindei (4) 
T'as mai fait gnun ciadei : (5) 
E adess, ecc, 

Astu smentià ch'j' avóma 
Viaggia sempre indivis? 
T'eu fate slònghè a Róma 
T'eu fait scursè a Paris. 
I t'as avù un tacón 
Da tutte le nassiòn: 
E adess, ecc. 

T'elo passa d' memoria 

Che un di zichin-zichèt (6) 



(1) matricolino; iscrìtto al primo anno dell'università. 

(2) ciadleje^ foggiai^gli. 

(3) qualche gallone ricamato; grande personaggio. 

(4) per croci e nastri. 

(5) non ti sei mai agitato. 

(6) Zichin-aichèt, su due piedi. 



-9 — 

Per fete ónór e gloria 
T'an piate pr' èl cólet? 
Mi són rèsta d' stuch, 
Ti t'è cascate '1 pluch: 
E adess, ecc. 

Ahi la fortuna rea 
An dev nen separé; 
Sent... a 'fé lì P Ebrea (i) 
Ch'at ven a còmode. 
Fin tant chM pórtreu j^oss 
I favreu sempre addoss: 
I veni, me car vèsti, 
I veni muri con ti! 



Nelle carceri correzionali 
13 aprile 1831. 



J^ 



MIA ENTRADA 



Se a Natal iv treuve sensa 
Un pèrtus da tramudè 
Prest ricóre a Sóa Eccellensa, 
Per ch^as degna d'feve liè; (2) 
Chiel av treuva ant un moment 
Un superò apartament: 
Gnun al mònd pi fortuna 
Che ^ mortai cn^a Pè ampactà. (3) 

Pè an entrand chi s'da la péna 
D^feve subit j^ónór d^cà; 
Chi v'armuscia, chi v' armèna, 
Chi v^arbuta 'n sa e 'n là. 



(i) È nota l'abilità delle donne Ebree nel rammendare le stoffe; ed 
era ebreo Fautore dell'antico e raro libro intitolato e La Barcello" 
notnia » , che insegna l' arte di restaurare le stoffe, i ricami ed i pizzi, 
esercitata sin dal secolo XV su larga scala nella città di Barcellona. 

(2) liéy legare. 

(3) ampactà,, messo in carcere. 



— IO — 

Cost av pia ciav e ciavin, 

Còl av scróla '1 sacócin: 

Gnund al mònd ecc. 

Ève seugn? a j'è ant la stanssa 
D'bóna paja per durmì. 
Ève aptìt? an abóndanssa 
A j'è d'acqua e d'f>an mufì. 
Ève '1 fot? ay fan padrón 
DParsenal d'j bósarón; 
Gnun al mònd ecc. 

Li s'a pieuv un è a la sòsta, (i) 
Li s'a fioca un s' bagna nen, 
Li eh' a còsta lo eh' a còsta 
Porte a fnestre a sarò ben: 
Pr' occupesse un cónta i fròi 
Pr' amusesse un s' grata i gnòi : 
Gnun al mònd ecc, 

Gnun Vicari ch'av molesta (2) 
Con d' scarpiatòle d' edit, 
Gnun av sita, gnun v'arresta, 
Gnun a ven a esige '1 fit; 
Gnun av ciama la pensiòn, 
Gnun av fa l'esecussiòn : 
Gnun al mònd ecc. 

Che piasi quand im desvio 
Vèdme li da para al let (3) 
Dòi colar eh' a servino 
D' cròvatin a Lafayet; (4) 
Vèdme d' corda an t'un cantòn 
Per fé ònòr ai macaròn; 
Gnun al mònd ecc. 

D' guarnisòn sòt a la fnestra 
A j' è un'oca e dòi cròvass: 
Tuti ansem a fam n'orchestra 
Ch'à l'è propi, propi un spass. 



(i) sòsta, ripaio. 

(2) Vicario, era il Sindaco di Torino prima dello Statuto di Carlo 
Alberto. Provvedeva con editti all' Annona, ossia al vettovagliamento 
della città ed al buon ordine di essa. U ultimo Vicario fu il conte 
Benso di Cavour, padre di Camillo Cavour, lo statista celebre. 

(3) da para, presso. 

(4) Lafayet, V. nota alla Canzone « Set éCagòst-ì^, 



— II — 

Che Rossini! che Mozar! 
Che Donzelli! che Ghebar! (i) 
Gnun al mònd ecc. 

Minca tan dare d'na gria (2) 
As presenta sul péfrtus 
Un ratass che a Pària smia 
LMspetór d'j catafus; (3) 
Sóridend sót ai barbis 
Am fa: ciavo, nostr^amis: 
Gnun al mónd ecc. 

Vers la fin dia smana santa 
Tuti a fan queich' badalicH. (4) 
L^AUeluja còst a canta, 
Còl a intona '1 non est hic: 
E mi a risigh d^j pólmón 
Braio ^1 gloria dal cròton; 
Gnun al mònd ecc. 

Aristotele a sè'rcava 
El bònheur ant la virtù, 
Cincinato ant na biarava, (5) 
E Timòn sòt a un sambù: 
Ma gnun d'iòr a Pa capì 
Che an pè'rsòn a sta ^1 piasi: 
Gnun al mònd ecc. 

Maciavel ch^a Pera un drito (6) 
Pr èl còlet s^è fasse pie; 
Galileo, tut àut che pito, (7) 
S^è dco chiel fasse gròpè, 
E con Socrate an pèrson 
Fasia pratica Platon: 
Gnun al mònd ecc. 

Im lusingo eh' Sòa Eccellenssa, 
Ch' à P è cotia còm èl bur, (8) 
A Pavrà la còmpiasenssa 
D'anciòdeme fra quatr mur; 
Eccellenssa, i sareu brav. 



(i) Ghebar t, musico dì camera e della Cappella Regia di Torino. 
Donzelli, celebre tenore del Regio Teatro. 



(3) gria, inferriata. 

(3) caiaftis, carceri. 

(4) badalick, baldoria. 

(5) biarava, barbabietola. 



(6) drito, destro, furbo. 

(7) P*^Oi tacchino, sciocco. 

(8) cotia, tenera, ironicamente. 



— 14 — 

Su Particól die finansse 
Am pias d'esse modera, 
E i lassreu che d' sóe sòstansse 
Godo i sudit la metà. 
Ma che gnun am véna a schè (i) 
Con die liste e d'j budgé: 
Senssa tanti computista 
Seu fé mi '/ budgé e la lista. 

Per die legi ij na^ faròma 
Quand a n' smla dòveine fé; 
S'an dan tort ij cambijróma, 
S'an cònveno as lasran sté. 
Rusa d' pi o rusa d' men, 
Tutti i codici a van ben; 
Ch' a sio d'Franssa, eh' a sio d' Spagna, 
A Pé tutt Pistessa bagna. 

Lasse pura ch'ai na sia 
D' preive, d' cerich, d' mònie e d' fra ; (2) 
Le baboie d' sacristia (3) 
Sót al trono a fan la nià. 
Con d' caserme e d' mònèsté, 
Con d' gesuita e d' canonie 
I bòn suddit a dan fina 
L' oss dèi col e '1 fil dia schina. 

Alto lai... ma che diau élo 
Sto ciadel, sto rabadan? (4) 
I me sudit as ri belo, 
E am comando d'fóte '1 can>... 
Bóndì barba: se a fé '1 ré 
A Pé tant un croj mèste, (5) 
Sì j'é '1 scetro, si j'é '1 manto, 
Bona neuit: j^'abdico e 'v pianto. 

Am rincress, o Carolina, 
Mach per ti d' pi nen regné. 
Mach per goi d' vèdte regina (6) 



(i) sché^ seccare, annoiare. — Budgè (fr. budjet), conto preventivo, 
bilancio, lista civile. 

(2) móniet monache. 

(3) baòoief scarafaggi, blatte nere. 

(4) che mai sono questi rumori? 

(5) Croj, maledetto, gramo. (V. Nota 2,* alla Canzone « Crudel 
Destin », pag. 5. 

(6) goì^ gioia, piacere. 



— 15 — 

J' era fier d^ èsse mi ré. 
Ma da già eh' Ioli a iìniss, 
Pi gnun troni pr' èl cupiss; 
A VA mei chM t'm propóne 
Un basin che sent coróne. 



Nelle carceri correzionali 
20 aprile 1831. 



^ 



I BURATIN («) 



Còsta vita fala braca 
Oh che farsa da Arlichin! (i) 
L'univers oh che baraca! 
E nói sòma i buratinl 

Cól campión ampastà d' boria 
Pr' un piumass, e pr' un grilò, (2) 
Che rusià dai verm dia gloria 
A fa d'jomni un fricando, 
Che seguend la strà dPónór 
A travaja pr' èl sótrór 
Fin che '1 diau a lo sgarbela... (3) 
Cól e Pè Por incine la.,. 
Còsta vita ecc. 



{a) U Autore fu ispirato a questa canzone dal continuo ed ameno 
spettacolo infantile che offrivano a' suoi tempi i burattinai fissi del 
cGrerolamo», del «Giandóia», delle e Marionette » , nei teatrini popo- 
lari; e più spesso sulle pubbliche piazze di Torino i burattinai ambu- 
lanti. Anche Antonio Muratori, il grande storico, ^nelle sue lettere 
narra come di tali spettacoli facesse volentieri, uscendo di biblioteca, 
il suo svago, coti diano. — La polizia ad ogni satira sagace arrestava il 
burattinaio. 

(i) Variante cantata dal popolo: Ve na farsa da Arlichin! — 
V univers l* è na baraca — ecc. 

(2) griló, sono le spalline colle frangie di canutìglie d' oro o d' argento. 

(3) sgarbela, lo porti via. 



— i6 — 

A la Colt còl eh' a s'rabela (i) 
Con d'incbin e d' còmpliment, 
Sempre prònt a cambié vela 
Tost eh' a cambia 'n poch 1 vent; 
Che umil, timid, angnimlì (2) 
Dnans al trono a fa '1 mufi, (3) 
Sót ai Dorti a fa '1 gradasso.. 
Cól a rè '1 famós Pajasso. 
Còsta vita ecc. 

Còl eh' a glossa, còl eh' a critica 
Con un'aria magistrale 
Ch'a fa '1 Brougham m politica, 
Ch'a fa 1 Seneca in mòral. 
Che da sòt ai porti d' Pò 
A l'Olanda a pia l'Esco, 
Ai Spagneui la Catalogna... 
Còl a l'è '1 Dottor cP Bologna. (4) 
Còsta vita ecc. 

Còl ch'a suda e ch'a s'amassa 
Pr'ingrassè '1 pòtent e '1 rich, 
Che sul pat a lo strapassa 
E a lo ten còm un bòrich: 
Che per nen ch'a scròia '1 bast (3) 
Minea tant a tòca '1 tast^ 
O dèi boja o dèi demoni... 
Còl a l'è '1 pover Gironi. 
Còsta vita ecc. 

Per Turin còl ch'a sbanata (6) 
Archincà su l'ultìm gust, 
Mes sòtrà 'nt una cròvata, 
Mes tòrcia tra mes a un bust. 
Con un'aria d'subrichèt, 
Con un cheur da ravanèt, 
Con na testa faita a vindo... (7) 
Còl a P è mònsù Florindo. 
Còsta vita ecc. 



(i) s'rabélay si trascina. 

(2) angrumltj raggomitolato, curvo. 

(3) fa l'umile. 

(4) il Dottor Balanzone, maschera Bolognese. 

(5) scróla^ scuota. 

(6) sbanaiat si ciondola. 

(7) vindOf bindolo. 



— 17 — 

Carolina cóla rusa 

Ch^ a m^à fait gire ^1 cupiss, (i) 
Còla grinta ch^a s^ amusa 
A f è ^ balsam d'j pastiss. 
Che, leggera pi che '1 vent, 
As dà Paria d' sentiiment 
D^ un^ Erminia e d' una Laura... 
Cóla a Pè tota Rosaura. 
Còsta vita ecc. 

Còl eh' a tójra, cól eh' a briga ^^2) 
Pr' un impiegh, pr* una pension, 
Dispóstissim a fé liga 
Con Mercurio e con Plutón; 
Ch' a Ve branda a la matin, (3) 
Ch'a mesdì Pe giacòbin, 
Curt d' man, long d' bèrtavela (4) 
Cól a Pè Pamis Brighe la. 

Còsta vita ecc. 

* 

Ma dare da la tendina 
Còl eh' a la '1 buratinè, 
Gnun a sciaira, gnun a 'ndvina 
Perchè an fassa recite, 
E nói, povri buvatass, (5) 
Nói an tòca d' fé '1 pajass 
Con d' gambade, d' smorfie e d' sgari, 
Fin eh' la mort cala '1 sipari. 
Còsta vita ecc. 



IO seU emòre 1831, 



(1) che mi ha fatto gùar la testa. 

(2) tójra, che s'agita. 

(3) branda si chiamavano i banditi del Piemonte raccolti in esercito 
nel 1799 dagli Austro Russi per darvi la caccia ai repubblicani. 

(4) òertavelHj lingua. 

(5) buvatass y pupattoli, bambocci. 




— i8 — 



EL LIBER DEL MONO («) 



Cosa vnive a rómpme i tapari (i) 
Con d' bei test e d' bei precèt? 
Per d^sentensse filosofiche 
Fina Orcorte a n' a d' vasèt. (2) 
Sui barbis d' Platon e d^ Seneca (3) 
Giù da sì i'eu sempre vdù 
Sgambitè dsór na gran sotòla 
Na gran rassa d^ foi-fótù. 

Chi pi savi che Aristotile? 
Pi eloquent che Cicerón? 
Ma lòdand le rave e i brocoli 
A mangiavo ànie e capón. (4) 
A fasio Timón e Diògene 
I fìlosof patanù, (5) 
Ma tra ^1 cinich e ^1 misantropo 
Pera ^1 porch e ^1 fol-fótù. 

Slarghè pur tute le pagine 
D^ cól gran liber mal ciadlà (6) 
Che ansala terra e che ans^P oceano 
Domne Dei a la stampa: 
Pi lo guarde, pi lo medite, 
Pi lo volte ^n su e ^n giù, 
Pi v' acorse d' èsse d^racole, 
Pi v^cónosse d^ foi-fótù. 



{a) Potrebbe servire dì largo commento a questa canzone il lavoro 
celebre e saggio di Max Nordau « Le Menzogne Convenzionali » . — 
Il e Libro del Mondo » fu già immagine Dantesca: « Ciò che per 
P Universo si squaderna » (paradiso, e. 33, t. 85). Ma qui è il Mondo 
compreso come Società civile. 

(i) Capperi. — Romper le scatole; seccarmi. 

(2) Orcorte^ famoso cavadenti Torinese. 

(3) baròisy baffi. 

(4) ànief anitre. 

(5) paUmiii nudi* 

(6) mal eiadldf mal composto. 



— ^9 — 

Da una part P vè'dde d^ nuvole 
D' pciti popól, d' pciti re, 
Ch'as ciapulo, eh' a smanichilo, (i) 
E saveissne almanch perchè! 
£1 furor as ciama gloria, 
El delit as dis virtù, 
E Pónòr a pianta fabrica 
Da bindei pr^ i foi-fótù. (2) 

Con un'aria diplomatica 
Guardè coi dèi portafeui 
Con la sàussa dia politica 
A fé 1 balsam d'ogni ambreui. 
L'onestà, la fede pubblica 
L'an venduje al leramiù, (3) 
E a distilo '1 ben dia patria 
Al lambich d'j foi-fótù. 

Gran maestri d'serimonie, 
Gran ^cudè, gran ciambérlan, 
Coi dia eros eh' a smia n'etcetera, 
Coi dia ciav sul fabrian, (4) 
Gent eh'mangrio la polpa e '1 scheletro 
D' Padre Eterno bel-e-crù, 
Gent eh' a vivo, angrasso e prospero 
Dèi sudòr d'j foi-fótù. 

Con la bóeta die fandonie (5) 
Ch' a smaltisso ai pé d' l' autar 
Coi dia stola, coi dia mitria 
Fan dèi trono i paracar: 
Per dói sold lór a santifico 
Fina i corni d' Belzebù, 
E a na fan una reliquia 
Ch'a bèrlico i foi-fótù. (6) 



(1) ciapulOy sì fanno a pezzi. 

(2) bindei., decorazioni. 

(3) feramiti, ferravecchi. 

(4) La divisa dei Maggiordomi. In fondo alle falde di dietro por- 
tavano ricamate due chiavi, segno della loro carica. 

(5) òóetai scatola, (fr. Boite), — Allude ai reliquiarìi d'ogni sorta; 
e morde i Fra Cipolla moderni che, come l'antico del Boccaccio, nella 
celebre novella, vendono per autentiche le penne cadute dall' ali del- 
l' Arcangelo Gabriello. 

(6) birlicoy leccano. 



— 20 — 



Con la toga fódrà d' pròroghe, (i) 
Con la pruca angavgnà crtest, 
Guardè là j'eroi dèi codice, 
P Alessandri dèi Digest: 
Con èl pèis d'Ulpian e d' Bortolo (2) 
Lór a vendo al g^os e al mnù; 
E a smaltisso la ^iustissia 
Tant al rub ai foi-fótù. (3) 

Guardè là sucrand le pillole 
Con èl sugh d'queicli bel discòrs 
Coi eh' a móstro '1 pnass dia pecora (4) 
Per stèrmè le grinfe dPórs: (5) 
Che pr'un titól, pr'una carica 
A farlo Perbo fòrchù. 
Che con d'pleuje da Temistocli (6) 
A són sciume d' foi-fótù. 

A la mort o povri bipedi, 
Vói eh' i marcie e grand^ e pcit 
Su le pere dij chilometri (7) 
Guardè si lo eh' a j'è scrit: 
(( Da Turin a Filadelfia, 
« D'ant PEgit ant èl Perù, 
« Cóst bel mónd a Pè un seraglio 
« D' ciarlatan e d'foi-fótù. 

Nelle carceri correzionali 
22 aprile 1831. 



(i) pròroghe^ rìnvii d'udienza, coi quali s'ingrossano di spese e di 
onorari le parcelle degli avvocati. — Angangnà^ intricata di massime 
testuali formalistiche, non di veri e profondi argomenti. 

(2) autori classici antichi di trattati di giurisprudenza. 

(3) rub^ misura di peso antica del Piemonte. 

(4) pnas^ coda (da pennacchio). 

(5) stirmét nascondere. 

(6) pleuie, pelli, e qui: con sembianze. 

(7) Pietre migliarì delle strade. Bellissima immagine degli anni, dei 
decenni, dei secoli, lungo i quali si svolge la vita dell' Umanità, e la 
Storia appare manifesta dai documenti sempre a un dipresso e in so- 
stanza eguale nelle varie Epoche, svolta fra simulazioni convenzionali. 



— 21 — 



ME C A N («) 



Tè, Melampo, tè ven sì, 
Pia, divid me toch d'pan, 
A cóst mònd j^è mach pi ti 
Ch' a^m soleva, o pover can! 
La memoria d^ tóa pietà 
Dapèrtut a'm seguitrà, 
Pover can, fin tant eh' i scampo: 
Tè ven sì, ven sì, Melampo! 

Cól ridicól animai, 

Ch'as rabéla su dói pé, (i) 
Crè'dlo pà d'esse immórtal, 
E dia terra d'esse '1 re? 
Per bontà, pr'amór, pr'ingegn 
Se dia pórpora un fuss degn 
Pt sarie ti re sul campo: 
Tè ven sì, ven sì, Melampo ! 

Sót j'auspissi dèi dolor 
Dal moment ch'j eu slarga j'eui, 
Peu vdù j'omni tuit sót sor 
Per viltà, pr'odio, pr'órgheui. 
Ti t' ses bón e t' ses nen vii, 
Ti t'cónosse nen le stil 
D'j'órgògliòs eh' a lécco e a rampo 
Tè ven sì, ven sì, Melampo! 

Sul matin d'mia gioventù 
I són sempre stait própens 
A pensè che la virtù 
Fuss na cosa con queich sens 
La virtù? bela espressióni 
Fina i Prinsi sui cantón 
Pr'i'so sudit a la stampo: 
Tè ven sì, ven sì, Melampo! 



{a) Sparsa di melanconia, questa canzone indica il disinganno delle 
cose sociali ed il ritorno alle semplici consolazioni dell* uomo solitario, 
bisognoso d' assistenza che mal può ritrovare, nel suo pessimismo, se 
non forse nell' amicizia di un misero cane. 

(i) rabéla, si trascina. 



— 22 — 

Dèi paìs fra j'Alp e 1 mar 
Peu sogna la redenssiòn; 
E i sòn si chM pa^o car 
Un quart d'ora d'illusión. 
Pelo d* Turch, j'elo d'Prussian, 
Pelo d'Fra, j'elo d'Alman, 
Pelo d' Russi eh' a s' acampo? 
Tè ven sì, ven si, Melampo! 

Gent eh' a san maeh vive seiav 
A' n diseóro d' libertà ; 
D'eit eón d' toghe, d' mitre o d'eiav (i) 
A'n pio '1 sang pr' umanità. 
Guai al merit vint e affliti 
D'un pótent dnans ai delit 
Ant la pàuta tuti as eampo: (2) 
Tè ven sì, ven sì, Melampo! 

Povra bestia, tè ven sì. 
Pia, divid me toch d'pan: 
A eòst mónd j'e maen pi ti 
Ch'am soleva, o pò ver ean! 
La memoria d'tòa pietà 
Dapèjrtut a'm seguitrà, 
Pover ean, fin tant eh'i seampo; 
Tè ven sì, ven sì, Melampo I 

Nelle carceri della cittadella 
20 giugno 1831. 



LA PRATICA LEGAL 



Dal dì eh'j'omni a Pan deeis (3) 
D'vive ansem da bón amis, 



(i) eit^ altri. 

(2) patita, fango. — Tutti si gettan nel fango. 

(3) V intonazione poetica è data dai versi sublimi di Foscolo nei Se- 
polcri; Dal di che nozze. Tribunali ed are — Dier alV umane belve 
esser pietose — Di sé stesse e d^ altri. Vedi anche la teorica del 
Rousseau nel Contratto Sociale e quelle più antiche di Platone e di 
Cicerone nei loro trattati delle Leggi. Indi scaturisce 1* amarezza della 
delusione che incontrano i venerati e sommi principii del diritto nella 
pratica applicazione. Questa diversità tra teoria e pratica è fonte d' umo- 
rismo alla poesia dell' Ariosto, del Cervantes, di Parini e di Angelo 
Brofferio. 



— ^3 — 

Che dia terra a toch a toch 
A són piasne tutti un poch, 
Da cóPóra, da còl di 
Tuti ansem a Pan capi 
Che per vive in amicissia 
A ventava fé giustissia. (i) 

" E li tuti unitament 

Són stampasse un President. 

Che per subit còmensè 

A fé ónòr a so mèste 

Lo eh' a j'era d'bón e d'bel 

S'è grinfasslo tut per chiel, 

Senssa gnanca un fìl d'malissia, 

Per nen àut eh' per fé giustissia. 

Tóira dsà, ciadéla dia, (2) 
El latin Pé mai cambia; 
Sempre '1 furb a Pà rasón 
A le spale del minción; 
Sempre '1 deból a Pà tort 
Quand as taca con A fort; 
A Pé insómma una delissia 
La balansa dia giustissia. 

Cól povr'om con des masnà 
Ch'à le stait per carità 
Scórtià viv da un mascalssón 
Con dóe righe d'transassión, 
Dop avello j'avocat 
Mnà da Erode e da Pilat, 
A j'e vnuje Piterissia, 
E la mort Pà fait giustissia. 

Cól famós bancarótié 
Ch'a smia fìeul del rè da dné 
Ch'a Pà fané già a Turin 
Pi eh' Bertoldo e Bertóldin, 
Prósperós, grass e rótónd 
Chiel s'ampipa d'tut èl mónd, 
E con d' cassia e d'rigólissia, 
Manda al licei la giustissia. 

Cól gravissim magistrat, 
Ch'a s'andeurm stand an senat, (3) 

(I) ventava^ occorreva. | (2) gira e rigira. 

(3) Senato dicevasi la Suprema Corte di Giustizia del regno di Sar- 
degna risiedente nei capoluoghi di principato (Piemonte -Torino), di 



— 24 — 

Che sóa pruca e so capei 
San èl codice pi d'chiel, 
Che secónd ara darmi, 
Dis che d^nò o dis che d^sì, 
Còl vicari dia pigrissia (i) 
L'è un òracól dia giustissia. 

Cól amabil senatór, 
Cusin prim con èl sótrór, 
Alleato d'tuti coi 
Ch'fan la corda e guerno i frói, (2) 




rhéSrpa 
A impichria fin la giustissia. 

Se un parent veul pieve 1 let 
Déilo subit e sté chiet; 
Se un amis av rómp un brass, 
Rin^rassielo, andevne a spass; 
Guai a cól ch'as fa butè 
Ant la tasca dij papèl 
Guai a cól eh' a s'ancaprissia 
D'vólei giusta la giustissia! 



Nelle carceri correzionali 
ly aprile 1831. 



Ducato ( Savoia -Chambéry), dì Contado (Nizza -Mare), di Marchesato 
( Monferrato - Casale ), ecc. Corrispondeva, in giurisdizione, alle odierne 
Corti d'Appello. Non v'era Corte di Cassazione. Vigevano le Regie 
Costituzioni emanate sotto re Carlo Emanuele III nel 1777, specie di 
codice civile, penale e commerciale e delle relative procedure, oltre le 
Regie Patenti ed i Regi Editti. Siedevano inoltre i Tribunali Ecclesia- 
stici e Militari. 

(1) il Vicario aveva giurisdizione amministrativa contenziosa. 

(2) frói, catenacci. 



M 



— 25 — 



LA PRIMA VOLTA («) 



Carolina a ditla ciaira, 

P són stófi d^ tribale, 

Tuti i dì t'vène pi maira 

E mi i' divento un pruss bure; (i) 

S'a Pè vera che dco ti 

P t'fricióle parèi d'mi, (2) 
Carolina, Carolina, 
Perchè fastu la mutiiia? 

Per ti sóla it sas eh' i' vivo. 
Ti f respire per mi sòl, 
Perchè dònque fómme i givo (3) 
Cóntempland la luna e'I sòl? 
Con tóa piatola d' virtù 



(a) Questa graziosissima canzone, quella che segue « D Indóman » 
e « Za Carafina ròta » riproducono un amore popolare. Un naso 
troppo schizzinoso potrebbe arricciarsi, ma, credo, a torto, poiché nessuno 
può essere poeta vero, se non a condizione di essere fedele interprete 
delle cose che vede. Orazio è sempre vivo, sempre moderno, perchè è 
minuto osservatore e registratore d'impressioni reali nelle sue Odi, 
negli Epodi nei Sermoni e nelle Epistole. 

Carolina è una figura reale e simbolica ad un tempo: è il tipo 
caratteristico della Sartina Torinese, e rappresenta la democrazia in 
lotta colla Monarchia costituzionale, quel tira-molla di insidie e di ri- 
bellioni che caratterizza in Francia, dopo la Rivoluzione del Luglio 
1830, il movimento politico ed economico delle classi dirigenti e della 
borghesia liberale verso la libertà ed il progresso civile, avversati dalla 
Aristocrazia e dalla finanza conservatrice nei parlamenti e nella stampa 
quotidiana. BrofFerio scriveva questi versi nella cittadella di Torino, 
ove P avevano ridotto tirannia di tempi e desiderio di libertà. Questa 
a lui costava il carcere e la sicurezza di una terribile condanna; ma 
il cuore di lui non si corrompeva, e nemmeno l'immaginazione del 
poeta non si piegava colle angoscie del carcere e colla paura della 
morte. — Confrontisi la quasi contemporanea del Giusti: « Nina ri- 
solviti , Non far V austera ». — L* assalto alla Bellezza non più in- 
genua e la resa a discrezione fu il tema inesauribile dei Canzonieri 
dalla età più remota. Un' innocente malizia è il condimento dell' amore, 
e da quel contrasto tra 1' amore e la continenza scatta la scintilla ge- 
niale dei popoli civili. 

(i) pera del burro, che maturando si raggrinza. 

(2) friciòle^ àrdi al pari di me. | (3) givoy sciocco. 



— 26 — 

T'm fas sempre guardò 'n su; 
Carolina, ecc. 

Elo d^ volte eh' a t' amusa 
V&lme fónde a poch a poch? 
T'ses na grinta, t'ses na rusa, 
T'ses me tèrdes da taroch. (i) 
Con dMj ma, dMj se, dMj peui 
It m'anfnóje sent ambreui; 
Carolina, ecc. 

Pt vè'dras che una carèssa. 
Un basin eh' a ven dal cheur, 

L'an un gust, una dòlcèssa 

Aut che crema a la mille fleur ! 
Aut che sucher I aut che ameP I 
Che gius d'reuse spèrmù an cieli (2) 
Carolina, ecc. 

P seu prò ch'tòa maman granda, 
Ch'a combat con '1 sótrór. 
Al Pa sempre con sóa landa 
Ch'a veul nen tifasse Pamór 
A veul nen I.... sastu perché ?.... 
Ciamlo al can dèi giardiné. 
Carolina, ecc. 

T'sas che '1 temp a va per posta, 
Con d' cavai eh' a pòssa '1 vent, 
E ti a smia t'io fasse a posta 
A sgairè i pi bei moment. (3) 
Cosa n'ómne a fé i e — o:=co (4) 
Fra '1 mi sì e fra '1 ti no ? 
Carolina, ecc. 

Scòta, scòta una parola 

Pi da vsin... ven si, tem nen : 
Sent, ven sì, fa nen la fola; 
Sent,... ambrassme, ambrassme ben ! 
T' basse j'eui.... i't volte an là.... 
T'vèiie smorta.... at manca '1 fià,... 
Carolina I Carolina I... 
Ades t' ride ?... uh birichina ! 

Nelle carceri della cittadella 
I luglio 1831. 

(1) Il 13 da Tarocchi è la figura della Morte. 

(2) giiis^ succo. I (3) gairé^ sprecare. 

(4) e — o==co, metodo errato e lungo di compitazione usato anti- 
camente dai maestri per insegnare a leggere. 



- 27 - 



LMNDÓMAN («) 



Carolina, elo nen vera 

Gh'a va a P anima un basin, 
Cóm Parriv dia primavera, 
Cóm P ariétta dia matin ? 
Aine tort a dì ch^ Pamór 
L^è '1 sòris dèi creator? 

Carolina, Carolina, 

Fastu ancóra la muti ria ? 

Moralista, sécca mióle. 
Cól gesuita folfótù. 
Che dP amor a na dis d^ cóle 
Da fé rie fina le gru, 
Elo nen un lasagnón 
D^ambalsamè con d^ gius d' póvrón? (i) 
Carolina, ecc. 

Che i sóvran la guerra as fasso 
Queich provincia pr^ acquistò: 
Mi sM 't vèddo e s'i ^t ambrasso 
Tut èl mónd a P è tut me. 
Mach la spónda d^tò sofà 
A vai tut èl Canada. 
Carolina, ecc. 

T^ses pi dócia, t^ses pi bela 
Che un pcit prus, che un pcit pómin. 
Che un bótòn quand a s^ désbéla 
D'una reusa o d'un giusmin. 



(a) Celebre e fra le più popolari del Canzoniere. Notisi l'eloquenza 
incuriosa della 3.* strofe che serve di appiccagnolo all'ultima e di 
passaporto air imprudente maledizione contro i troni ed i re che in- 
neggia in razzo finale. Per un processato di lesa maestà, chiuso nel 
Torrazzo dove languì e mori dopo venti anni di prigionia, Pietro Gian- 
none, r Autore della Storia Civile del Regno di Napoli, consolando 
quella clausura eterna con una pedestre versione delle Odi d' Orazio 
lasciata all' Archivio di Stato in Torino, quest* anacreontica del giovine 
BroSerio era un beli' atto di malizia e di coraggio. 

(I) sugo di peperoni chi lo distilla? Testa senza sugo, zimbello di 
colli torti. 



— 28 — 

Tóa vósìna am fa Peffet 
D'una fiuta ant un bóschet. 
Carolina, ecc. 

D'mè lumin t*ses la {)arpeila, (i) 
T' ses èl palpit d' me cneur, 
D'mie speransse t'ses la steila, 
I t'ses rangel d'me bónheur. 
I daria pr'un to sòris 
L'univers e '1 paradis. 
Carolina, ecc. 

Sent che strepit, sent che allarme, 

Che ciadel, che rabadan; 

Tuli i popól són in arme, 

Tuti i pnnsi a fóto 1 can. 

Lassa pur che troni e re 

Vado a fesse bòsarè, 
Ti t'saras o Carolina, 
Sempre in trono e mia regina. 

Nelle carceri della cittadella 
2 luglio 183 1. 



EL POVER ESILIA («) 



Dal ciabot eh' a m'à vdù nasse, (2) 
Dop vint ani i sòn lòntan. 



{a) Chi è che leggendo questa canzone non si sente le lagrime spuntar 
sugli occhi, commosso da melanconico e pietoso senso di tristezza? Ba- 
sterebbero questi pochi versi per rivelare il genio poetico di Brofferio. 
Queste espressioni piene d'angoscia rassegnata, questi accenti di dolore 
straziano l'anima e fanno di questo breve canto uno dei più fortunati 
saggi di poesia che su argomento si conosciuto sia mai sgorgato dal 
cuore di alcun poeta. — Confrontisi Clarina e altre di Berchet. 

Scritta a competizione colla celebre improvvisatrice napoletana Taddei 
che diceva all'Autore essere impossibile strapparle una lacrima col no- 
stro gergo, tutti dubitavano della prova, e la prova fu superata (disse 
lo stesso Brofferio ne' Miei te?npi), col far oscillare le corde più deli- 
li) di mia pupilla sei la palpebra. | (2) ciahot^ casetta. 



— 29 — 

E a s'è ancóra nen placasse 

La vendetta dMj sóvran. 

I guadagno con sudór 

L'esistenza dèi dolor: 
Vói ch'i sente la pietà, 
Console 'n pò vr' esilia 1 

Seguita da le sventure, 
Terre e mar j'eu traversa; 
Ma i me camp, le mie pianure 
Peu mai pi, mai pi trova! 
Sót le tende, sui brulot (i) 
I sognava me ciabot: 
Vói ch'i sente ecc. 

Quand i guardo '1 sòl ch'as leva 
A smia tórbid, a smia scur (2); 
Fina l'aria smia pi greva, 
Fina '1 ciel smia meno azur; 
Smio le piante, smio le fior 
Senssa feuje e senssa odor: 
Vói ch'i sente, ecc. 

Atórnià da mia famia, 
Dai me amis, dai me parent, 
J'è mai staje un ch'andeis via 
Da mia porta mal cóntent. 
E mi pover, e mi afflit, 
Aine un branc da tnime drit? 
Vói ch'i sente, ecc. 



cate dell'anima, levandosi al disopra della volgarità delle frasi e della 
scurrilità dei concetti. 

Paver esilia, una vittima della tirannia dei principi, è un buon pa- 
triota che paga colla più terrìbile delle condanne un desiderio di 
libertà, un nobile tentativo: ed il poeta ne compone per lui la più 
delicata delle sue poesie. In essa non sorrìde il giovane spensierato, 
Bon prorompe in liberi accenti T ardito rivoluzionario, non ragiona collo 
sconforto della cadente età il disilluso filosofo ; no : è il canto del poeta, 
è l'inno della sventura, è il sublime lamento del dolore! 

(i) Bruloti nome francese dell' antica marineria. Gli EUeni fecero 
largo uso di questo istrumento di distruzione contro l' armata d' Ibrahim 
pascià viceré d' Egitto nella rivoluzione del 1821. Botzari, l'eroe d'Idra 
lanciava la sua vecchia barca carica di materie incendiarie nel cuor 
della notte sotto i mastodontici bastimenti a vela, e dato fuoco alla 
mìccia se ne allontanava su agile saettia di rimorchio, lasciando all'in- 
cendio il compimento dell' opera sua. Si consulti il libro e Scene RI- 
leniche » dello stesso Brofìferio. 

(2) smia^ sembra. 



— 30 — 

Quand sul Po s'inalberava 
La bandiera trìcólór, 
Dóv la patria m'invitava 
J' eu segui la vós di' ònór, 
Né '1 pericól, né '1 malheur 
A Pan mai cambiarne '1 ctieur: 
Vói ch'i sente, ecc. 

Oh 1 se almanch fra tante péne, 
Fra d' magón così crudei, (i) 
I vdeis ròte le cadéfie 
Dij me amis, dij me fra tei! 
Cara Italia I i 1' eu mach pi 
D'vót e d' lacrime per tìl 
Vói ch'i sente, ecc. 

J'eu dóvù chi té me pare (2), 
Ch'a l'è mort del gran sagrin; 
Le pè'iisóne mie pi care 
J'eu mai pi vèdumie vsin; 
Né mia fómna, né j me fieui (3) 
A pódran saréme j'euil 
Vói ch'i sente, ecc. 



25 marzo 1831. 



LA CARAFINA ROTA («) 



Scusme, scusme. Carolina, 
S'i l'eu ròt tóa carafina: 
I són stait un po' dsadeuit, 
Ma cos veusto? a l'era neuit, 
I vdia nen dóv' i m' andava, 
I vdia nen cos'i m'tòjravaj 
I m'ambato ant un armari, 
Tóco un mobil da spèssiari. 



(a) Vedasi la Nota in calce alla canzone « La prima volta ». E si 
consulti pure nelle Poesie del Guadagnoli « La rottura della boccetta » . 
(i) MagÙHy rammarico, crepacuore. 
(2) chité^ abbandonare. | (3) fómna^ moglie. 



— 31 — 

Senssa acorsme im sento vni 

Queicos d^ fluid sót ai di 

E la carafina.... crach 1 

Vist non vist Pè andaita a bsach (i). 

A Pè vera j'eu fait mal, 
I són stait un animai, 
I lo seu, j'eu fait na sapa 
Ch'gnanca ^1 Vèsco, gnanca ^1 Papa, 
Gnanc san Bias. gnanc san Simon 
Am darlo Passolussiòn. 
Ma elo peui sto gran darmage (2) 
Da fé tant e tan tapa^e? 
Eia peui sta gran ingiuria 
Da mónte tant su la furia, 
Da invóchè Giove a dritura 
A trónè... pr^una rótura? 

Si t'aveissa rótt almanch 
El vasèt del ròss e ^1 bianch, 
SM t^aveiss manda ^n canela 
El sót cópa o la scudela, 
SM t^aveiss fait a fèrvaje (3) 
El servissi die batiaje, (4) 
SM t^aveissa fait a toch 
L'ampóliiia d'i] pacioch, 
La bociètta d' eau dPCologne, 
El flacón per tuti i bsogn, 
Là, pasienssa, li ai peui èsse 
Un queicos da sagnnésse. 
Ma perchè avei tant la fóta 
Pr'una carafina ròta, 
Pr' una cosa tant cómuna ^ 
Che per tut as na vèd una ? 

Pseu prò che tòa carafiiìa 
L^era bela, Pera fiiia, 
Ch^a pódia desse a la preuva 
Pr^una carafina neuva; 
Ma a la fin, tira, b&tira, 
Tóira, armuscia, fógna, gira, (5) 



(i) òsack, in frantumi. 

(2) darmage, danno (Fr. Dommage). 

(3) f^^^oj^% frantumi, bricciole. 

(4) batiaje^ confetti da battesimo. 

<5) /4r««» fruga. 



— 32 — 

Neuve o fruste, bele o brute, 
Carafine a lo són tute. 

Ma pasìenssal s'a Pè ròta 
Ti fàs nen da stene sóta; 
P són pa, ti t^lo sas ben, 
D^cói ch^a rompo e a pago nen; 
P veui pa eh' gnun as figura 
Ch'i f) giónte lo fatura (i); 
Per móstrete anssi ch'Pseu 
Fé le cose nen da gheu, 
ChM són solit a fé '1 fier 
E a traté da cavajer. 
Pt'mandreu dóman matin 
Una fìola, un amólin, 
O sM t'veule it peuss mandé 
Un magnifich tórtilié, (2J 
Che dòvrandlo con giudissi 
P t vedras che fior d' servissi ! 

A cóst mónd per certe cóje 
A Pé mei lassela bóje; 
Venta nen per vive an pas 
Fesse vnì la mósca al nas. 
Bela landa eh' a saria 
Se ogni fómna, se ogni fia 
An vórreiss mandé an Siberia 
Mach per rómpie queich miseria. 

A Turin j'é tante piatole 
Ch'as fan gói dirómpe le scatole, (3) 
Ch'ai rómprio per carità 
Fina al Tor d'palass d'sità; (4) 
E tut-un gnun ai dis niente 
Còm s'ai fussa una patente 
Da la gran canceleria 
D' rompe a tuti lo eh' a smia. 
Na cònosso tanti mi 
Ch'a fan niente tut èl dì, 



(i) giónte f che tu ci rimetta. 

(2) tórtilié, ampolline di vetro attorcigliato fabbricate a Murano e 
di cristallo di tal forma a Bacharach sul Reno. 

(3) cìC OS fan gói, che si studiano. 

(1) Sulla torre del Municipio di Torino un toro di bronzo ergevasi 
fino alla metà del sec. XVIII, còme narra Cibrario nella sua Storia di 
Torino, e come si scorge nelle vecchie stampe e guide della nostra città. 



— 33 -- 

Ch^ rompe i ciap a mes le Stat 
E ai dan d^crós ancor sul pat. 

Fin dai temp d^ Isach e Abram 
As parlava già d^rótam; 
Sara e Agar da lo chM' sento, 
As rómpio fra lór èl pento; 
Esaù fasend èl tuso 
A Giacob a rómpìa '1 muso; 
Coi d* Gomorra in bona prosa 
A rómpìo.... mi sài nen cosa; 
Senssa tante autre ròture 
Ch'a registro le scriture. 

Con tut lo ti t'as la fóta 
Pr^una carafiiia ròta? 
Per mach lo ti t' as córage 
D'feme tant e tant tapage? 
Guarda d^fòmne ai n^a j^è damila 
Ch'a scianchrìo niente la brila (i), 
Ch'a ciamrìo niente vendetta 
Mach per rómpie la bòciètta; 
E sul pat i scomètria 
Ch^aj n^è d^cóle ch^a 'f smijria (2) 
Tant candii e tanta mana 
Vè'dse a toch la damigiana. 

4 dicemòre 1831. 

LA CABANA(«) 



Dal paì's dia garabìa (^), 
Dóv^am tòca sgambitè, 



{a) Questa canzone ricorda l'altra bellissima del Calvo, « V Elogi 
dia vita, d^ campagna >. (Vedasi il Voi. Calvo^ poesie Piemontesi, 
^edizione centenaria^ Libreria Antiquaria Patristica, Via XX Settembre 
N. 87. Torino, 1901. Lire i ). Ma la Capanna del Brofferio non è un 
semplice nido di pace e di filosofia; è la fortezza simbolica in cui il 
grande partito liberale unitario d* Italia si rannicchia, si raccoglie, per 
lanciarsi compatto alla Redenzione nazionale. 

(1) che non si adirerebbero. 

(2) còle^ quelle: che vi son di quelle a cui sembrerebbe ecc. 

(3) Garabia, intrigo, è parola del gergo furbesco. 



— 34 — 

A va sóens mia fantasia 
Tóa cabaha a visite; 
Sóens at ved sol e sòlet 
Con tóa cana e to trincet 
Contemplane! la storia umana 
D'an s'ia porta d'tóa cabana. 

Dal diadema al tabè'rnacól 
Sul sente dia riflessión 
T^ passe a' rvista '1 gran spetacòl 
Die pótensse e die nassión; 
T'vèdde i secól a sj>asgiè 
Dsóra i scheletro d'i re, 
E 't góverne a la Spartana 
Ant è'I regno d'tóa cabana. 

P Alessandri, j'Artasersi 
I Cromwel, i Tamerlan 
Vaine d' volte Poss d'un persi 
O la smens d'un tulipan? 
Cosa n' elo d' i Scipión, 
D'i Pompei, d'i Cicerón?.... 
Mèi che l'Aquila Romana 
L'è un rosgneul su tóa cabana. 

Coi pcitin ch'as ciamo grandi 
Ciambèrlan, mastri e scudè 
Pr' un córdón són tuti an andi (i) 
Dnans al trono a fé '1 mnisè (2): 
Ti t'das nen pr'i so bindlin (3) 
Una feuja d'rosmarin; 
Gran zartiera e gran cólafia 
Vaine l'ombra d'tóa cabana? 

D'un Stuard l'ombra funesta (4) 
Ai Monarca a fa frisson; 
D'un Bórbón a tómb la testa (5) 
Dsóra '1 palch dia Cónvenssión. 
Spóntla mach la libertà 
Su d' coróne sangónà ? 
La republica sovrana 
Ti t'Ia treuve ant tóa cabana. 



(1) son tutti in moto. 

(2) mnisé, il raccoglitore di immondizie. 

(3) òindlt'n, nastri, decorazioni. 

(4). Carlo I Stuart lasciò la testa sul palco (1649) per sentenza del 
Langs Parlament d'Inghilterra. 

(5) tómòf cade, rotola. La testa di Luigi XVI Borbone. 



— 35 — 

Su la front al Santo Padre 
La gran mitra a P è un gran peis : 
Sòt le tende d' mila squadre , 

Fransesch Prim seugna i Franseis(i) : 
Don Miguel a P è ant j^ ambreuj (2), 
Ferdinand sarà nen j'euj (3), 
Luis Flip V a la tersana, 
E ti tMeurme ant tòa cabana. 

Povra Italia! a t^an spartite 
Tuta a fette còm un mlón; 
I to fieni a t^àn tradite 
Pr^avarissia e pr'ambissiòn. 
Chi la lanssa, chi ^1 bèrsach 
Veul d' n^ Alman o d' un Cósach ; 
Ti t' as V anima italiana 
E t^sóspire ant tòa cabana. 

Pien d' speranssa e pien d^ córage 
Navigand fra j^aquilòn, 
Són stait lì per fé naufrage 
Su la barca die illusión. 
Stanch d^cómbate con la sort, 
Stanch dia vita, e stanch dia mort, 
Dame man per ch'im rantana (4) 
Fra '1 silenzio d^tòa cabana. 



20 maggio 1832. 



(i) Francesco I imperatore d'Austria, di cui Giusti: « Dies trac è 
morto Cecco » ecc. 

(2) Don Miguel Reggente del Portogallo (1828) abbatte la Costitu- 
zione e vi usurpa il titolo di re. La regina Donna Maria Gloria fuggi 
nel Brasile. Il fratello di Don Miguel, Don Fedro d' Alcantara sbar- 
cato ad Oporto il 7 luglio 1832 coi suoi partigiani, liberò Lisbona dal 
Tiranno il 2 settembre 1833, e restituì il trono alla figlia sua, della 
dinastìa di Braganza. Donna Maria vi promulga la costituzione nel 1836. 

(31 Ferdinando II Borbone, o re Bomba, di Napoli, e anche Ferdi- 
nando VII re di Spagna, che nel 1830 chiamò la figlia Isabella a 
succedergli sul trono. 

(4) rantana^ mi nasconda. 



^ 



36- 



SET D^ AGOST (-) 



Amis, fòma córace (i), 
Fè'rtómse ben le man (2); 
I Russi a sòn già ^n viage, 
A j'è già lì j^Alman. 
Pè già Frimon ch^a scroia (3) 
Sacocie e sacocin: 

Evviva msè Nicola! 

Evviva Franceschin I 

An mes a bona scorta 
I nostri subrichèt (4) 
Trótran vers fora deporta 
An gloria d^Lafayèt (5); 
Faran la cabriola 
Stòrsend èl cróvatin (6) ; 
Evviva ecc. 



{a) Le giornate d'agosto 1830, successive alla rivoluzione del luglio, 
segnarono uno dei maggiori tradimenti che la monarchia liberale di 
Luigi Filippo d* Orléans, sorta sulle rovine della monarchia reazionaria 
di Carlo X in Francia, abbia commesso per insegnamento ai popoli 
smaniosi di libertà e d' indipendenza : non fidarsi delle promesse altrui. 
L' Italia, il Belgio, la Spagna e la Polonia si mossero allora come deste 
da una sola scintilla comunicata dalle barricate di Parigi. Ma in Italia 
i Tedeschi vigilavano sotto Francesco I; in Polonia i Russi sotto* lo 
Czar Nicola I. Luigi Filippo col suo ministro Guizot dopo avere pro- 
messo aiuto di navi e di esercito in segreto ai capi del moto Mazzi- 
niano proclamò il Diritto del non intervento e ci lasciò sgoz2»re. 

(i) fóma, facciamo. | (2) fè'rtómse ^ freghiamoci. 

(3) Cominciata la repressione in Modena coli* arresto di Ciro Me- 
notti (5 febbraio 1831) segui l'invasione. Nei moti di Romagna il 
maresciallo Frimont a capo d' un esercito Austriaco occupò V Emilia e 
Bologna, dandola in mano agli Svizzeri del Papa, quando Gregorio XVI 
insanguinò Romagna, fattosi scure del pastorale di Pietro (i 831- 1846). 
Ma del loro intervento gli Austriaci fecero pagare le spese ai poveri 
municipii, e sui beni confiscati alle famiglie degli esuli e dei suppliziati. 

(4) Suòrichèty francesismo = fritelloni ; liberali di moda, agghindati, 
azzimati e schizzinosi, come studentini e giovani eleganti. 

(5) Lafayt^te, generale famoso della Rivoluzione Francese ed ame- 
ricana, era tornato l' idolo dei Costituzionali di Francia dopo il lungo 
esigilo sofferto sotto il Terrore e sotto Bonaparte. 

(6) Costoro saranno impiccati dai Tedeschi. 



— 37 — 

• 

Coi sgnóri d'PAlleanssa (i) 
SÒQ nostri bón amis, 
A porto la creanssa 
Dipinta sul barbis; 
Són fait con d' pasta frola 
Farei dij biscótin: 
Evviva ecc. 

Fruste tant la sicoria 
A P è da patalòch ; 
Chi sa nen già a memoria 
Tartaifen e sourouch? (2) 
Na virgola d' nissola (3) 
Val pi che un rub d^ latin: 
Evviva ecc. 

Per coi ch^ veulo de d^ crussi 
Per eòi eh' fan sauté '1 fòt 
As porto apress i Russi 
W ónguent eh' as ciama knout (4) 
A Pa na virtù drola 
Per mandò via '1 splin (5): 
Evviva ecc. 

Coi tabaleuri d^Franssa^ (6) 
Coi Soult, coi Casimir (7), 
Scusandsse dèi mal d'panssa 
A peulo andè fé 'n gir. 
Vólend fé la macola (8) 
A Pan pè'rdù pòncin: 
Evviva ecc. 

Con la ciarlatanada 
Dia non-intervenssión 



(i) La Santa Alleanza del trattato di Vienna, 1815. 

(2) Der teufely diavolo; Zurucky indietro, motti volgari e interie- 
zioni tedesche. Celebre è il motto della sentinella Suruch ti, e mur, 
a chi dicevale di non poter dare più indietro a causa di un muro. 

(3) Il tedesco caporale portava la verga di nocciolo. Vedansi le Ot- 
tave In S, Ambrogio del Giusti che li descrìve si bene: e Colla sua 
brava mazza di nocciolo — Duro, piantato lì come un piolo t. 

(4) knout, staffile. 

(5) spleen^ malattia cosi detta dagli Inglesi, o ipocondrìa, malinconia. 

(6) tabaleuri, sciocchi. 

(7) Maresciallo Soult, bonapartista; Casimiro Perier, giornalista, de- 
putato e Ministro costituzionale. 

(8) Volendo nel gioco a carte detto bazzica pigliare tutti gli onori, 
ha perduto la carta migliore, poncino, asso da cuorì, o da fiorì, che si 
può adattare liberamente a qualunque uso, e vincere tutto, se bene usato. 



-38- 



L'an dait una panada 
A la Còstitussion ; 
Peui Pan mandala a scola 
Sul Mincio e sul Tesin: 
Evviva ecc. 

Coi d' Parma e coi d' Romagna 
Che al pòm a Pan mòrdù, 
Sòn già tuti ant'la bagna, 
Fan già Perbo fòrchù; 
Già ^1 diau na fa na gioia (i) 
A ónór del drit divin: 
Evviva ecc. 

Vòleisse de d^antende 
Che nói sòma Italian, 
A Pè tut un eh' pretende 
Che y oche e sòn fasan ; 
Che un eòi Pè na pòngóla (2), 
Che un ciap a P è un tupin (3) : 
Evviva ecc. 

A j'è ben prò an Polonia 
Él sang un poch avisch (4) 
E as da per serimonia 
Dia pala a sòr Diebisch (5) ; 
Ma un'ònsa d'tira mola 
Butrà d' acqua anf èl vin : 
Evviva ecc. 

Sòr Flip chiel as n' ampipa 
D'i) Russi e d'ij Pòlach 
S'a peul salve la tripa, 
Chiel sarà Parmanacn; 
Vòlend giughè d'bricola (6) 
A Pà fali casin: 
Evviva ecc. 



(i) il diavolo ne fa già una fiammata. 

(2) cót, cavolo ; pongala^ fungo campestre, spugnòla. 

(3) che un coccio è una pentola. | (4) avisch^ acceso. 

(5) Generale Governatore dei Russi a Varsavia; gli si dà della pala, 
lo si caccia. È la rivoluzione cantata dal poeta eroe Adamo Michievicz, 
che mori esule a Zurigo. Gli eserciti della risorta repubblica Polacca 
prima di essere schiacciati dalla preponderante Russia videro spesso 
le terga dei Cosacchi, giovandosi delle fitte selve e delle paludi che 
ne arrestavano la corsa. 

(6) Volendo far saltare il birillo suo colla stecca, non toccò il birillo 
di mezzo detto casino^ nel giuoco omonimo al bigliardo. 



— 39 

El nas da la porterà 
A fica Tallieran (i), 
Ch^a sa tire la pera 
E peui stèrmè la man. 
Lant a fa la spola (2), 
Bignón s' lustra ^1 códin: 
Evviva ecc. 

Per la pastisseria 
A j'è mònsù Guizò: 
Mauguin s'fa vnì la pvia (3). 
Berryè fa ^1 e — o = co : 
Mole fa la subiola, 
Dupin fa l'Arlichin: 
Evviva ecc. 

I Tartari e i Gesuita, 
Marmon e Metternich 
A dan già Pac^uavita 
A nom del Quint Enrich. 
Viva la spa e la stola 



La pruca e ^1 bicóchin (4): 
Evviva ecc. 



I marzo 1831. 



(1) Talltyrand^ ministro dì Napoleone I, e poi ambasciatore di 
Luigi Filippo a Vienna, famoso diplomaticoi che disse la parola »- 
sere ìffuenUUa per nascondere il pensiero, 

(2) Lafttie, banchiere di Parigi, che alla Rivoluzione contribuì con 
un milione delle sue sostanze. Seguono ì nomi degli uomini politici di 
Francia in quel tempo. Marmont è uno dei marescialli traditori di 
Napoleone I. Di Metternich^ ministro d'Austria: tatti ne conoscono 
r astuzia crudele. Il Quinto Enrico era il pretendente del trono di 
Francia usurpato da Luigi Filippo al ramo legittimo dei Borboni. Mori 
in esigilo, e con lui si estinse il partito detto Legittimista dalla bianca 
bandiera tempestata di fiordalisi. 

(3) p^i<i% pepita alla lingua. 

(4) Bicóchin^ berettino, o papalina dei preti. 



u^ 



— 40 — 



LA RASÓN 



Ti ch'it ses d'una triaca (i) 
La pi fina ch'ai sia 'n ciel; 
Ti ch'i t'as pianta baraca 
Ant le miòle d'me sèrvel; 
Ti ch'it porte 'n man èl ciair (2) 
Per ch'i vada ncn al sgair, (3) 
Patalòca d'na rasón, 
T'vale nen un més bòtón. 

T'ses divina, t'ses eterna, 
T'ses d'un balsamo immòrtal, 
E t'èm fas, fótua lanterna, 
Fé d'sproposit da cavai! 
S'a t'a date Domne Dei 
Carta bianca mach parei, 
Patalòca ecc. 

Perchè féme cóm le sotole (4) 
Gire d' sa e gire d' là 
Per die còje, per die frotole, 
Per die dmóre da masnà? (5) 
Perchè feme minca tan (6) 
Pie San Giaco pr' un Alman ? 
Patalòca ecc. 

Strava^anse, bisarìe, 
Fòlairà, cóntradissiòn, 
Baliverne, sturdiarìe 
E i caprissi bòsaron 
Elo nen per causa d' ti 
Gh'am rabélo tut èl dì? (7) 
Patalòca ecc. 



(1) Triaca^ antico rimedio (Beipiaxoe, sostanze distruttive), miscuglio 
dei medicastri. Qui sostanza cerebrale. — L' Autore fa benevolmente 
la satira della propria Ragione fantasiosa, sentimentale. 

(2) ciair^ lume. 

(3) al sgair^ alla malóra. Parola disusata; sgairé, sciupare. 

(4) trottole. 

(5) dmórcy giocattoli da bambini. 

(6) di quando in quando farmi sbagliare. 

(7) rabélo^ trascinano qua e là. 



— 41 

Che diau astu per la scufìa 
Quaiid im sento vnì ^1 gatij (i) 
D' sospirò pr^una bèrnufia (2) 
Gh^ a P è nen eh' aa gabia d' grii V 
Bela gloria, bel ónòr 
N'avòcat fé '1 fant da fióri (3) 
Patalòca ecc. 

Eia nen na drola istoria 
Cól aveime ancaminà 
Pr'un po' d'fum ch'as ciama gloria 
Sul sente dij dèspiantà? 
Le grumele t'avie pers (4) 
Quand t'às dime: scriv an versi 
Patalòca ecc. 

Pelo d'sens, j'elo d'giudissi 

Per queich ciancia da masnói (5) 
A màndeme ai esercissi 
Con i padri tira-fròi? (6) 
S'am butavo al col un lass 
Luis Flip erlo pi grass? 
Patalòca ecc. 

Ti ch'it ses còla ch'am regola, 
Ch'am fa agì, ch'ara fa pensè, 
T'ses tant sumia, tant petegola. 
Così mal t'sas to mèste? 
A fan fate Pintelet 
Con èl mane del piòlet: (7) 
Patalòca ecc. 

Ma se ti t' ses na fabioca 
Ajne mi da baie l'òrs? 
Quand la mort sònrà la cioca (8) 
P avreu prònt un bòn ricòrs. 
Padre Eterno, i direu a còl 
Ch'as amusa a gatiè ^1 Sòl, (9) 

Còsta gofa d' na rasòn 

A vai nen un mes bòtón. 

14 ottobre 1831. 

(I) g<Uij\ prurìto. I (2) bèrnufia^ civetta, capricciosa. 

(3) Carta che nel gioco cabalistico delle carte rappresenta lo spasi- 
mante pazzerellone. 

(4) avevi perso il giudizio; {grumele^ semi delle zucche). 

(5) masnói, fanciuUone. 

(6) tira-fròi, tira catenacci, carcerieri. 

(7) pioiet^ scure piccola da falegname. 

(8) cioca, campana (fr. Cloche), \ (9) gatte', solleticare. 



— 42 — 



SOR BARON 



A sta ^1 baron d^Onéa (i) 
Per là ^n t' un caste! frust; 
So pare a ven da Enea, 
Sòa mare a ven da August. 
A porta na medaja 
Con neuv decòrassión; 
Tireve ^n là gheusaja (2), 
Fé largo a sòr Baron. 

A Pè fait a balota, 
Ròtond e gross e grass, 
A deurm cóm na marmota, 
A mangia cóm un tass. 
A marcia, a soffia, a baja 
Con n^aria d' prótessiòn ; 
Tireve ecc. 

Pèrsone ch'as nMn tendo 
A dio eh' a Pà d'talent, 
Pè fin d'eòi eh' a pretendo 
Ch'à sa Bertoldo a ment (3); 



(i) Sotto il finto nome di Barone d'Oneglia (non esiste alcuna fa- 
miglia Nobile con questo titolo), Brofferio intendeva mettere in cari- 
catura il Conte D, Vittorio Sallier De La Tour, Generale di Cavalleria 
nelle R. Armate, Ministro e l.® Segretario di Stato per gli affari 
Esteri, Soyraintendente delie Poste e Cavaliere dell' Ordine dell'An- 
nunziata. Fu a Novara nel 2 1 per la repressione dei moti di queir anno, 
e Governatore di Torino. 

Ma, prescindendo dai fatti personali, osserviamo che il tipo del no- 
bilastro prepotente, ignorante, intrigante, che ai tempi del poeta bazzicava 
sotto gli etemi portici del Caffè Fiorio a Piazza Castello in Torino, è 
qui ritratto maestrevolmente. Vi mancano solo i satelliti e gli astri 
minori del fido corteggio, scozzoni e sensali di cavalli, tenitori di gioco 
et similia a fargli corte. 

(2) gheusaja^ plebaglia. 

(3) Il libro popolare delle furberìe dell'astuto Bertoldo, che suggerì 
a vani belli ingegni, quali furono i due Zanotti, il Barui&ldi, il Zam- 
pierì, l' Amadesì, Flaminio Scarselli ecc. di trame un poema giocoso 
in 20 canti, editi dal Dalla Volpe di Bologna nel 1736, ed adomi 
di figure inventate da GHuseppe Maria Crespi detto lo Spagnuolo, ed 
intagliate alla pittoresca sul gusto di Salvator Rosa. 



— 43 — 

Ch'a medita e travaja 
Per distillè i póvrón (i): 
Tireve ecc. 

A cónto tuti quanti 
Ch^à Pà difeis 1 Ré, 
Ma j' autri andasio avanti 
E chiel stasia dare; 
Pè'rdend una bataja 
L'à vint una pensiòn (2); 
Tireve ecc. 

Quand a Pè necessari 
A sa móstresse uman; 
As dis che al segretari 
A P a tócà la man ; 
As degna a la marmaja, 
D' parie per distrassión; 
Tireve ecc. 

Queich volta a dà ^n s^j'órie 
Con tón da prepótent, 
Ma chiel fa Io per rie, 
Lo fa pr'amusament; 
Chiel sa che a la plebaja 
Un sgiaf a Pè un bonbon; 
Tireve ecc. 

Con chiel guai ancalésse (3) 
Parie d' certi sònaj. 
Ch^a veulo gòvernesse 
Con d' camere e d'giórnai: 
A santa, a pista, a braja (4) 
Con d'fòtre e d'bósaron; 
Tireve ecc. 

Al cafè Fiorio as conta (5) 
Ch's'ai fussa d^sèrvei mat, 



(i) V. Nota alla canzone precedente < Ij Indomati », a pag. 27. 

(2) Allude al mal vezzo dei governi di partito che ad ogni costo 
salvano i generali inetti. Così ai nostri tempi il Generale Oreste Ba- 
rattieri, che si mal diresse la battaglia di Abba Gariina nell' Eritrea, 
da volgerla in vera strage e rotta di Italiani, fu ammesso a farsi liqui- 
dare una lauta pensione. L' Inghilterra stessa ha pensionato il Mare- 
sciallo Roberts e molti altri generali sconfìtti dai poveri Boeri del- 
l' Africa Australe. 

(3) ancalésse y osare a parlare di certi sonagli, cioè dei cosi detti 
mettimale, sobillatori come Mazzini, ecc. 

(4) braja^ da brauen^ sfidare (Tedesco) ; strilla con bestemmie. 

(5) Caffé storico, sotto i portici di Po, in Torino. 



Chiel ten la sela prónta (i) 
Per core a salve a Stat, 
A Pà na spa eh' a taja 
Le teste cóm i mlòn: 
Tireve ecc. 

Sót vós coi ch^a lo invidio 
A dio eh' a Pè n' stivai, 
Ma ventlo esse un Ovidio (2) 
Per dventè General? 
Diploma, pruca e maja (3) 
Fan tut an conclusión, 
Tireve ecc. 



8 marzo 1831 



V 



I REGRET D' UN VEI SOLDÀ (^) 



Per marcie j'eu bsogn dia cana, 
A són bianch i me cavei, 
A Pè inutil chi m'ingana, 
I m' acorso ch'i són vei. 



{a) Per ridestare ì sopiti spinti paurosi delle continue repressioni 
nelle famiglie piemontesi, BrofFerìo richiama alla mente le glorie Na- 
poleoniche, introducendo a parlare un veterano dei tanti che rimane- 
vano ancora a testificarle in Piemonte. — Cosi Giacomo Leopardi 
debole e rattrappito, diciannovenne, invocava V armi nella celebre Can- 
zone a 11^ Italia: « Combatierò, procomÒerò sol io: — Dammi del 
che sia foco — Agli Italici petti il sangue mio > : e ricordava gli 
Italiani estinti nelle steppe Rutene per altra gente. Ma BrofFerio si 
appaga dell* eroismo comunque dimostrato dagli Italiani. 

(i) tiene il cavallo insellato, come dicono i militari di cavalleria e 
i capitani d' alto grado. 

(2) ventlo, occorre forse? 

(3) Maglia, allude alla duttilità e pieghevolezza delle calze dì maglia 
che fanno risalto ai polpacci dei cortigiani in culottes o calzoni corti; 
ed anche alla servilità di costoro; oppure alle maglie delle ballerine 
eh' essi introducono nelle alcove dei principi. 



- 45 — 

I sòn debol, i són stane, 
I peus nen resme sui fìanch: 
E dóvraine vèdde ancheui 
Sensa mi batsse i me fìeui? 

I són stait a pi d'sent guerre, 
Peu rpóssà pi d^sent nemis 
Peu occupa diverse terre, 
Peu pèrcors varii paYs; 
Ma da vsin e da lòntan 
I són stait sempre Italiani 
E dóvraine ecc. 

Dèi Piemònt quand la pianura 
A esultava d' libertà 
Su la Bormida e la Stura 
Peu córù, j'eu trionfa (i); 
A Montneuit, a Mondovì 
Peu vist P Austria impallidi 
E dóvraine ecc. 

Dèsfidand i vent e j^ónde, 
Cómbatend la terra e ^1 mar 
D'Aboukir j*eu vist le spónde 
E le coste d^Trafalgar: 
Peu del Cairo su le tór 
Vist a splende i tre cólór: 
E dóvraine ecc. 

Raccógliend le forsse stanche 
Sót la lanssa d'un stendard 
Fra le nebie e le valanche 
Peu cala dal San Bernard; 
A Marengh, a Gastiglión 
Peu spasgià dnans al canon: 
E dóvraine ecc. 

A Valenssa, a Taragóna 
Peu acampà dsóra i bastión; 
Su le rive d' Barcelona 
P eu vist umil Wellington ; 
Peu dU' Italia scrit èl nom 
A Madrid su j' arch del Dom : 
E dóvraine ecc. 

A Tilsitt, a Essling, a Jena 
Peu marcia dsóra i Prussian, 



(I) Battaglia di Marengo. 



-46- 

Peu marcia tre volte a Vienà 
Dsóra j^ aquile d'j'Alman; 
Peu del Nord vist i confin 
Da la sima del Kremlin: 
E dóvraine ecc. 

I m'accosto alPultim'óra 
E la mort am stend la man, 
Ma spirand im sento ancóra 
Bate '1 cheur d'un Italian. 
A Pè degn d'vive sciav 
Còl eh' sa nen muri da brav: 
Ahi podraine, sarand j'eui, 
Vedde liber i me fieui? 



20 marno 1831. 



>^ 



L' EDUCASSION («) 



Eccellensal.... Al Cónt Fracassa 
A disia Padre Mufi, 

Sor Cóntin a Pè d'sòa rassa ^ 

Cóm la grana a Pè die spi; ^ 

Un lo sciaira fin al scur (i) 
Che ant le véne a Pà un sang pur: 

O che genio! o che talenti 

O che testa sorprendenti 

Ant quatr'ani sót mia scola 
A se fasse tant istrut, 

(a) Si confronti la Satira di Vittorio A/fieri sullo stesso soggetto e 
il Giorno del Parini. — Qui il maestro abate cortigiano parla adu- 
lando il tronfio padre del Contino, e senza volerlo fa la satira pun- J 
gente dei costumi nobiliari in fatto di educazione. Ricordinsi per la 
verità dell' ultime pennellate di questa machietta le busse toccate al 
pedagogo delli stessi fratelli Leopardi ( Epistolario ), ed a quello dei fra- 
telli D* Azeglio nella passeggiata di Revigliasco ( Ricordi di Mass, » 
ly Azeglio). L'ultima parola dell'ultima strofe è uno schianto che 
tradisce il poeta e strappa il velo all' ironìa. 

(I) sciaira, vede. 



~ 47 — 

Che stampa su d' pasta frola 
L'alfabet lo cuca tut (i). 
Dal a-b fina al i-I 
A computa già da chiel (2): 
O che genio! ecc. 

Dop tut lo venta cónosse^ 
Venta vèdde cóm'a scriv; 
A fa d' bare così grosse 
Ch^a smio cane d' lavati v. 
Prinsipiandlo dal qui es 
A sa r Pater già pi d^mes: 
O che genio! ecc. 

Un ai ved già una arròganssa, 
Un órgheui ch^a Pè tut so; 
D^ carta pista a Pà una lanssa 
Ch^a smia cóla d^Barnabò; 
Con un sciop caria d'iuin (3) 
Chiel conquista mes Turin: 
O che genio! ecc. 

Mach un po' eh' un lo contraria, 
Ch' un lo gatia mach un poch (4), 
Carta e liber tut an aria, 
Piume righe tut a toch. 
Guai ch'i) dia eh' Ioli a va riial! 
Chiel am tira '1 caramal: 
O che genio! ecc. 

Per bùtélo an penitenssa 
Quand a fa queich pcit erór 
I stafilo an soa presenssa (5) 
Giacólin fieul dèi fatór. 
Chiel sentiendlo eh' a: sgariss, 
Pover cheur, as divertissi 
O che genio! ^cc, 

Quand a taca queich gabela. 
Quand as vèd fé queich dispet. 



(1) cticat se lo mangia. — Per gioco si fanno di tali confetti che 
ora si chiamano^ pick nick, 

(2) cioè non arriva nei sillabare oltre la metà dell' alfabeto, che 
mangia tutto. 

(3) luin^ lupini. 

(4) g<iti<ii solletichi. 

(5) Uso medioevale e feudale. I compagni di gioco del nobile alunno 
si chiamavano perciò in francese souffre douleur. 



-48- 

A Pà ^n toch d^na b€rtavela ^i) 
Ch^gnanca ^1 Diau lo fa sté cniet. 
Ai còmpagn ch'as ireuvo lì 
A dà d'càuss eh' a Pò 'n piasi: 
O che genio! ecc. 

Quand a Pà peui veuja d'iie 
A Pè amabil cóm un pruss, 
D' volte am ciapa per J'órie, 
DWolte am sarà 'n mes a Puss. 
Ogni dóe parole an su 
Am dis: Preive porch-fòtù: 
O che genio! ecc. 

Grand eh' a sia ventrà peui sente 
Che ciadel, che rabaaan (2) ; 
An sacocia la patente 
A Pà già d'gran ciambè'rlan, 
D'gran véneur, e d'gran córdon (3) 
D'gran maestro e ... d'gran cójòn. 
O che genio! ecc. 

Ntlle carceri cort ezionalì^ io maggio 1831, 



SOR GAVAJER («) 



D'i) vachè da P assemblea 
Mac jer seira dèfsnicià, (4) 



(a) É la satira dei Cavalieri di merito, plebei di orìgine, creati dai 
principi tra gli Archeologi e Storiografi cortigiani. Tale poteva dirsi 
il Boucheron epigrafista e latinista di Carlo Felice, come poi il Conte 
Cibrario insignito di tutti gli Ordini cavallereschi d* Europa, che rifece 
1* albero genealogico dei Sabaudi, facendolo derivare da Vitichindo re 
dei Sassoni, onde fosse più antico di quello degli Aleramici. Ma la 
satira di Brofferio non era allusione personale ; lasciava intatta la solida 
riputazione di quei dotti latinisti e cercatori di archivi, .pur mettendo 
in vista V esagerata importanza data a quelle ricerche, quando tornava 
a detrimento del progresso civile e della libertà. È pur nota la manìa 
archeologica del Cavaliere di S. Quintino, che essendo direttore del 
Museo Egizio di Torino vi si chiudeva per alterarne le epigrafi, im- 
piastrarne di gesso e di tinte uniformi le statue rotte ed i mosaici 
disfatti, sotto specie di restaurarli. 

(r) berta^éla^ ciancia, scilinguagnolo. | (2) quali rumori attorno a sé. 

(3) Veneur, cacciatore del re; cor dòn, Cordone dell* ordine di S. Mau- 
rizio; maestro^ sottinteso di scuderia. | (4) desnicid, uscito. 



— 49 — 

Elo chicl ch'am dis cerea (i) 
Con cóParia d'mustafà? 
Chiel? ma chiel? ma propi chiel? 
O pótenssa d'un bindell (2) 

Ch'a Pè reidi, eh' a Pè fier (3), 

Ch'a Pè dur sòr Cavajer! 

Vói ch'i) tene a la gualdrapa 
ly Fransesch Prim o d' Enrich Quart, * 
Osservelo com ai scapa 
L' illustrissim da ogni part; 
Mach a vèdlo un lo cred già 
Cusin prim dèi re da spà: 
Ch'a Pè reidi, ecc. 

Lampadari die Eccellense, 
Cavai d' marmo d'ij scalón (4), 
Dal sirop die riverense 
A dèfstilla le pensión. 
Sor Marches... oh devotissimi 
Sòr Barón... oh profóndissimi 
Ch'a Pè reidi, ecc. 

Dia repubblica d'j giàri (5), 
Dia politica d'ij mlón, 
Con Pajut d'un vei armari 
Chiel a sa dal con al rón (6); 
Carlo Magno chiel a sa 
Ch'a durmia con j'eui sarà: 
Ch'a l'è reidi, ecc. 

Con d'medaje sporche d'ruso, 
Con die pére mal sótrà 
Chiel av fabrica sul muso 



(i) cerea, addio; saluto proprio del Piemonte. 

(2) bindel, nastro, decorazione. | (3) retdif duro (fr. roide). 

(4) Cavallo di marmo era detto per {Antonomasia in Torino l'unica 
statua equestre che vi 'esistesse nel 1830, ed è tuttora visibile in un 
sottoscala del Palazzo Reale, rozza e barocca figura di Re Carlo Ema- 
nuele II. ( V. Cibrario, Storia di Torino ; e Gamba, V arte in Piemonte ). 
Seguitò ad essere così chiamato per distinguerlo dalla statua equestre di 
Emanuele Filiberto, opera singolare del Marocchetti, in Piazza S. Carlo. 

(5) S^^** ^^P^* ^^ IcggAiio e confrontino i Paralipomeni di Leopardi 
alia Batracomiomachia, 

(6) Dall'Alfa all' Omèga; modo proverbiale d'ignota derivazione. 
Forse dall' ingenua definizione d' un Libro Corale o d' un manoscritto 
medioevale cominciante colla prima sillaba miniata^Gon faciente parte 
della prima parola, e ron sarebbe messo per la rima. 



— 50 — 

D^ antenati a cavagna. 
Chiel a guerna i marenghin 
Ant la pruca d^Arduin: 
Ch^a Pè reìdi, ecc. 

Dal cupiss fina al preterìt, 
Dai tirant fina al zabò, 
Tapisselo d^crós del merit, 
Dapertut a j'è '1 e — o = co; (i) 
Deine d'titól, deine ben, 
Pi eh' Bertoldo i 16 fé nen; 
Ch'a Pè reidi, ecc. 

7 ottobre 1831. 



ÈL TRATATO («) 



Guarda si, mia Carolina 
Per nen ch'j abio a ciacòtè, (2) 
Mi V presento an bèrgamina 
Un Tratato da signè 
P prefstròma giuramènt 
D'ósservelo eternament, 
Secónd Puso die Pótensse, * 
Fin eh' a j'è le cónveniensse. 

Venta in primis eh' i protesta 
D'ricónosste per sòvran. 
Mi 't butreu '1 diadema an testa, 
P t dareu mi '1 scetro an man, 
Pt próvreu con d'bón latin 
Che to drit l'è drit divin, 
O est à dire eh' a ven d' natura 
Da l'amor, fin tant eh' a dura. 



(a) Altra anacreontica che serve di pretesto a beffare resperimento 
della Monarchia borghese e liberale inaugurata in Francia nel 1830 con 
nuova ipocrisia e tradimento di sinceri liberali come Ciro Menotti, spe- 
ranti nell'aiuto di Francia. 

(1) cioè l'ignorante che appena sa compitare. V. nota a pag. 26. 

(2) ciacót/, a far litigi. 



51 — 

Ma Pè ^iust che in ricómpenssa 
Ti t'rinónssie al dispótism 
Perchè adess la certa scienssa (i) 
A patiss i reumatism. 
T'acetras dunque una charte 
Senssa articól decimauart, 
Tant per nen che a ruso d^Franssa 
Pt pie '1 plot con n'órdinanssa. (2) 

Ptpódras a to caprissi 
. Fé la guerra e te la pas, 
Ma i pódreu fé n'armistissi 
Quand i chèrda eh' a sia '1 cas. 
I veni dco nen esse priv 
lyquaich poter esecutiv, 
Perchè auand manch im Paspeto 
Ti t'pódrie buteme 1 veto (3). 

Quant a d'grassie i t'avras niente 
Mai da ói)ónme, gnanca un fil, 
Ma ti subit la patente, 
E mi subit A sigil. 
P t'avras però rasòn 
DVfeme a temp queich riflessión, 
E ócórend a Vexequatur 
I butróma un suspendatur, 

S'it faras dia resistenssa 
Dèi mouvement quandM sareu 
Pr'arangiè la diferenssa (4.) 
Is tenròma al juste-milieu, 

([) formula che precedeva sempre gli antichi decreti. 

(2) pie *l plotf darsela a gambe, come fece Carlo Decimo per la 
famosa Ordinanza restrittiva della libertà di stampa e di riunione 
consatrate dalla Carta Costituzionale, Luglio 1830. Questi versi e altri 
appresso sono intarsiati come un di più, mentre lo scherzo del trattato 
amoroso serve di pretesto a quel contrabbando politico. 

(3) È la clausola della Costituzione monarchica votata dall' Assemblea 
Legislativa del 1790 per lasciare a Luigi XVI un'ombra di sovranità 
assoluta, resa inutile, in pratica, dall'onnipotente opinione popolare. 
Allora si diceva Luigi XVI il roi Veto, perchè impediva con quella 
formola ogni deliberazione liberale. — Patente^ decreto. 

(4) Quando sarò per aggiustare la differenza nata dall'agitazione po- 
polare, ci atterremo alla giusta metà. Questa era la teoria dei moderati 
del C<mstitutionel, di Guizot e di Thiers, di Luigi Filippo detto anche 
Jtiste milieu per befia, o il re borghese. — Centro è il partito di 
tutti i ministeri. — Si confronti nel Giusti la canzone Una Tirata 
contro Luigi Filippo* 



— 52 — 

Lvà eh' a sio le òsservassiòn 
Ant èl sens d'Op|>ósissión, 
Pt vèdras che subit j' entro 
Ant èl sens eh' a tend al Centro. 

Spedi eh'j abio le faeende 
Premuróse d'gabinet, 
Gnun d'nói dói dovrà pretende 
Dirómpe a Pantr i ravanet, 
Ch'ai sia pat e eóndissión 
D'una Non Intervenssion, 
Ch'is daróma peni la péna 
D'appliehè quand an eónvèha. 

A ventrà eh'to regno a sia 
Tra '1 sòvran e '1 patriot; 
Una speeie d'mónarehia 
Prónta sempre a fé '1 fagot. 
Luis Flip l'avómne nen 
Proclama Roi Citqyen? 
Ebben, ti t'saras Regina 
Patriota e sitadina. 

Gran esercit, gran armade 
I t'avras ai to cómand, 
D'sóspir, d' lagrime, d'óciade, 
E d'busie d'in quand an quand. 
Mi j'avreu per tut regal 
Una Guardia Nassional, 
Con na cifra in bródaria 
Ch'a dirà: — Filosofia, 

Se '1 tratato a l'è confórme 
A tóa bòna volontà, 
Da un Nódar seeónd le fórme 
A dev esse autentica. 
Seriv... l'aboss ecco a l'è cóst. 
Carolina ai dói d'Agóst... (i) 
Brava.,. Adess i lo mandróma 
Sanssióné dal Papa a Róma. 



In cittadella^ 3 luglio 1831. 



(i) Due cP Agosto^ data della canicola e del sollione, propria^ delle 
passioni ardenti. — Sanzione del papa perchè la monarchia borghese 
in filosofia e clericale ad un tempo. 



m 



— 53 — 



L' ULTIMATUM («) 



Carolina, i' lo savia 
Che con tut to giurament 
Nostr tratato a nnirìa 
Pr^ambrójeme '1 drit die gent. 
Con die rinfne e dMj sótman (i) 
Da fé sgiaj a Tallieran, (2) 
Per d^amel t'm das d^ triaca, 
E ^1 tratato a va d'baracal 

I t'as sempre a fé dilaniente 
Senssa sug, senssa perché: 
Minca tant am tóca d' sente 
Ch'it ses stófia d' comande; 
Che d^to regno as fa nen cas, 
Ch^a Pé une Royautè bourgeoise, 
Ch'a Pé un trono da Brighela, 
Ch'vist non vist a va ^n canela. (3) 

It mMnfilse mila cóje 
Per pódei brusé T pajón (4); 

(a) Seguita la metaforica allusione al regno Costituzionale di Luigi 
Filippo fondato sugli interessi di banca che aveva per massima: enri' 
chissez vous, che aveva risuscitato la promessa di Enrico IV nel suo 
avvento al trono, primo dei Borboni, à chacun de mes sujets un 
poulet à la dimancàe, e che proclamava il principio del tion inter- 
vento in ogni questione di potenze straniere e quello della Paix à 
tout prix. Ottime regole di governo, se la diplomazia dei Tailierand, 
dei Périgord, dei Sébastian, dei Pérìer, dei Guizot, dei Thiers, e la 
propria avarizia del re (che rese la più ricca dell' Europa la jpio- 
pria famiglia reale), la promessa data e poi mancata di aiuto ai Po- 
lacchi, ai Greci e agli Italiani (slealtà non sempre necessaria), non 
avessero reso contennendo quel governo. Era una tattica di quello per 
tenere a bada i repubblicani e i comunisti, afiBacciatisi allora con S. Si- 
mon, Fourìer, Blanqui, Barber alla tribuna della stampa, offiire le pro- 
prie dimissioni e l' appello al popolo, come fece poi Luigi Napoleone. 

(1) rinfne^ sottigliezze, cavilli. 

(2) sgiai^ paura, invidia. — V. i.* Nota a pag. 39. 

(3) che da un momento all'altro va in bricciole, come la cannella 
pesta dal droghiere. 

(4) Dicesi di coloro che lasciano la camera senza pagare il fitto. — 
Allude all' abdicazione minacciata dal re borghese ai liberali. 



— 54 — 

T'ftene, f cabala f patòje, 

E f fas mai ud diasctmi d'bòn; 

V peus mai esse tran^uil 

ChM t'èm veuje passe 1 HI (i) 

E d'rusè venta cn'j imàgina 

Pr' ótai 1 visto an fònd la pàgina. 

L^auter di d'fé na pasgiada 
A Pà piarne un mes ^atijy 
E 'm són vist na bancada 
A la porta die Tuilleries: 
Peu trova 'n gran parapet 
A l'entrada AA bósche^ 
E un bastión, oh che spetacdl 1 
Propi li dnans al pinacól. 

Crèdte pà che d'tóa maneuvra 
I' cònossa nen èl fil; 
Peu dco mi passa ciadeuvra (2) 
Al burat d'mónsù Persil (3). 
P lo seuI t^vorrie bel bel 
Feme un gest da don Miguel (4), 
E con d' smorfie e d'bele frasi 
Ant la charte fìcheme un quasi (5)1 

Per Pónór dia monarchia 
E d'j'articól sótóscrit, 
P capisso chM dóvria 
Fé la guerra pr'ij me drit. 
P seu prò ch'i són un fol 
A nen tnime al protocol, 

(X) Bill, parola Inglese, legge d'indennità, perdono, sanatoria al 
Ministero per i suoi atti illegali. Ma il bill degli amanti è la pace 
suggellata da un bacio e da una carezza, ottenuti dall'Autore, fingendo 
di essere in collera. Quel visto in fondo alla pagina di una Bella, quasi 
fosse una Carta, è pieno di malizia. La metafora licenadosetta seguita 
nel parapetto, ecc. 

(3) ciadeuvra, esperimento, la prova, (da che/'d* oeuvre), il saggio che 
davano un tempo gli operai della loro abilità, prima di diventare capi 
d' arte. 

(3) Il burratto di Persil è la diplomazia. Fu questi un poco noto 
ministro di Luigi Filippo, dal nome in Francese assai ridicolo equiva- 
lente a preMzemolo, erba volgare di cucina. 

(4) Don Miguel, usurpatore del trono di Donna Maria da Gloria. 
(V. Nota alla Canzone La Cabana, a pag. 33). 

(5) Charte, è la famosa Carta statutaria della Monarchia borghese, 
stiracchiata secondo le voglie del governo con delle condizioni e delle 
eccezioni ad ogni pie sospintOr.. 



-^ 



— 55 — 

Ma i' veui nen da n'autra banda 
Perde '1 Belgio e peui P Olanda (i). 

No, p€r^ tort chMt abìe fame 
Pveui nen eh' a sia mai dit 
Ch'j'eu manda P Europa in fìame 
Cóm un Fox o cóm un Pit (2). 
E da già eh' per desse ardriss 
Flip a Londra a eònferiss, 
Ven la, ven^ j'avreu passienssa 
D'fè deo mi na eónferenssa. 

Capo primo: — P fareu finta 
D'nen acorsme d' certi ambreuj: 
Quand it veuje fé la grinta 
It prométto d' sarè un euj. 
P lassreu 'n pò pi, 'n pò men 
Ch'it na seguite a fé a tren, 
Ma d'mantnime i veui eh'it bade 
Le mie grande e peite intrade. 

P fareu pi nen le glose (3) 
Pr'un souris a eòst e a cól, 
Ma tratandse d' eerte cose, 
Veui póssedie mach mi sòl, 
Guai a til t'sas ch'i sòn nen 
Un faseul San Simonien (4); 
Pi tèstas che un dottrinari 
Am piass d'esse proprietari. 



(i) Qui la frase licenziosa toma alle trattative della Santa Alleanza 
risolte poi nel trattato di Londra colla creazione dei due stati minu- 
scoli, sciolto l'antico regno dei Paesi Bassi, formatosi nel 18 15 dallo 
smembramento della Francia e per comodo della gelos§ Inghilterra. 
Cosi ridotto il 30 Novembre 1830, quando sali al trono del Belgio, 
dopo una breve rivoluzione e cacciata degli Olandesi, la dinastia dei 
Coburgo Gotha in Leopoldo I, re costituzionale. 

(2) Fox, oratore leader e capo dei Wighs o liberali inglesi, difen- 
sore dei diritti delle Colonie Americane. — Pitt famoso Oratore capo 
dei tories o Conservatori, nemico della libertà delle Colonie e della Ri- 
voluzione francese. 

(3) Glosse^ commenti crìtici, Parola del Diritto Romano, testo bizan- 
tino e medioevale (YXc5aoa). 

(4) i seguaci di Saint Simon, (il conte milionario che tutto il suo 
avere spendette in fondare il falansteriutn^ o case delle falangi co- 
muniste destinate all'utopia del lavoro e della vita in comune), furono 
i predecessori dell' odierno Marxismo, Quelli pretesero abolire la pro- 
prietà di tutte le cose anche mobiliari: questi si limitano alla colletti- 
vità della terra e degli strumenti di produzione e lavoro. 



-56- 

Le tendensse dia natura 
Già ch'as peulo nen cambiè, 
Tira drit, contìnua pura 
A pròmiftte, a lusinghe: 
Pr'un sóvran tant a van ben 
Ch'a prometta e attenda nen. 
Ma con mi quand i fimpegne J 

Sméntìa subit che ti t' rc^ne. t 

Per Varsavia e j Stat dèi Papa 
I fareu pi gnun fracass, 
Ma con pat che nen m'antràpa (i) 
Quand i calo ai Paì's Bass. 
Ant Pintern d'an set an eut 
Quaich rivolta, quaich émeute (2) 
La, it la passo... ma cerea 
Si t^em bloche la Vandea (3). 

DP Ultimatum i capitól 
Les, appreuva e sótóscriv, 
Ma rinet che pf ogni tìtól 
A saran defìnitiv. 
Ven nen fora dop tut so 
Con die An verse, con d*y Esco (4), 
Con queich rinfna eh' a significa 
L'adesión o la ratifica. 

S'it faras pi nen la càmola (5) 
A me impiegh i m'adatreu. 
Ma s'it serche dirómpe Pamela (6), 
Sasto peni lo ch'i fareu? 
Da San Roch ai sta Rósin (7) 



(i) anirdpa, nulla intoppi. | (2) émeuU^ tumulto. 

(3) La Vandea, provincia della Francia Occidentale, capitale Vannes, 
celebre nido dei reazionari sotto la RÌToiuzione del 93 e sotto Bona- 
parte. Poi anche sotto Luigi Filippo avvenne la famosa rivolta degli 
Chouans o villani mangiatori di cavoli {choux)^ capitanati dall'Amaz- 
zone Duchessa di Berry, figlia di Carlo X. 

(4) Anversa^ città delle Fiandre, celebre per commercio, per Uni- 
versità di Studi e Musei, situata sul fiume Scheld^ in francese Escaut, 
che alla foce si dilata e forma come un bacino di carenaggio attissimo 
alla fabbricazione delle navi. Essendo al confine tra V Olanda e il 
Belgio, diede luogo a lunga controversia risolta colla convenzione di 
Londra, accennata sotto la Canzone precedente. 

(5) cdmólot tarlo. { (6) dmola^ ampolla. 

(7) San Roccoj chiesa della vecchia Torino, particolarmente onorata 
dagli appestati. 



zJLz 

Ch'a Ve bela, e ch'am fa dcin: 
Sciavo! m'sganfo d^ans tóa lista (i), 
Im ribelo, e m' fas Resista (2). 



In cittadella^ luglio 1831, 



^^9^^ 



L'IMPIEGATO («) 



A Pan dime, o Carolina 
Che da ^uindes o vìnt di 
A le cariche as destina 
Coi eh' a paro e piaso a ti. 
Mi ch'i Peu pr'esse promoss 
Digrossi titól, d'merit gross, 
Im na vèfio in cónseguenssa 
Dnans a ti con riverenssa. 



(a) Questa satira feriva certi indiYidui che il popolo ben conosceva e 
mostrava a dito nel 1831. L' Autore sempre molestato dalla polizia e 
dalla Censura letteraria, e, come avvocato, alle prese tuttodì con uffìzi 
municipali e governativi, potè studiare de visu la mala pianta della 
burocrazia che adugia ancora tutta Italia. Vittorio Bersezio tende allo 
stesso fine della presente satira colla sua celebre commedia « Le mi' 
serie di m&nsù Travet », mostrando le ingiustizie di trattamento im- 
poste ai buoni e semplici lavoratori dello Stato in confronto colle par- 
zialità concesse agli ipocriti ignoranti e adulatori fannulloni, le punizioni 
e promozioni riserbate ad arbitrio di mogli vane e civette di mariti 
ciechi e compiacenti, e la nobiltà del lavoro industriale a preferenza 
della soggezione disciplinare sotto ì* Organico ed il Protocollo. Dalla 
quale preferenza verrà la formazione del carattere fiero e libero e la 
prosperità economica della Nazione. 

(1) im sganfo^ mi cancello. 

(2) Rosista, nome di fazione immaginaria. — Ognuno può vedere 
come anche questa Allegorìa politica, sotto parvenze licenziosette e 
futili, sia ben sostenuta sino alla fine e risponda allo scopo nobilissimo 
di smascherare nn' ipocrisia di più nella mente del Lettore liberale 
contemporaneo all' Autore. La caduta della monarchia nata nel luglio 
1830, morta il 24 febbraio 1848, dopo tre giornate di guerra civile, 
doveva dare perfetta ragione al poeta, che mal si fondano sugli spergiuri 
e sulle mene diplomatiche i Groverni che dai nobili ideali ebber principio. 



Applicato anfun uf&ssi 
Dal set-sent e óttant'e tre, 
P rendia già d'gran servissi 
Fin d'allora al Stat e al Re; 

V rasciava i auinternèt, (i) 

V fertava i tabouret, (2) 

E a la pruca d'sóa Eccellenssa 
I fasia la riverenssa. 

Quand i fulmini dia Franssa 
Dsóra i troni a són casca, 
Sót a l'erbe di' Eguaglianssa 
A la sòsta i m'sòn butà (3). 
J'eu scrivù sót al scrivan 
Ch'a seri via sòt a Jourdan, (4) 
E al piumas d' Indipendenssa 
I fasia la riverenssa. 

Die nassiòn fra le tempeste. 
Dal Danubi sangònà, 
Quand che l'aquila a dòe teste 
Sul Tesin a l'è torna, 
I guernava j'ubiadin (5) 
Pr' Alessandro e Franceschin, 
E dd knout a l'elòquenssa (6) 
I fasia la riverenssa. 

Coróna per man d'ia gloria 
Da la sima dèi Sempión 
Sót al case dia vitoria 



(1) Raschiare, invece di correggere le parole sui registri e sugli atti 
pubblici fu sempre vezzo dell' impiegato, tanto che cancelliere e can- 
cellare hanno una radice comune. Pericoloso esercizio, che la Ragie, 
neria moderna sostituì con metodi più complicati di bilanci. 

(2) fSrtaua^ strofinava, spolverava. 

(3) sòsta^ riparo, ombra. 

(4) Vedansi a questo proposito le satire di Edoardo Calvo contem- 
poraneo al Maresciallo Jourdan^ quello di Madame Sans Gène, Egli 
era dei più vecchi compagni di Bonaparte; illustratosi nella prima cam- 
pagna d* Italia, fu colui che ne raccolse subito la mercede, essendo 
stato governatore di Torino mentre vigeva la Repubblica dei tre Carli, 
Botta, Bossi e Giulio, sotto il nome di Subalpina. L' Indipendenza vi 
era ridotta a semplice mostra, cioè al Pennacchio del cappello da gene- 
rale che il Grovematore, indi prefetto, vi portava altìssimo e in forma 
di triangolo verticale, come quello dei nostri carabinieri. 

(5) ubiadin^ piccole ostie da suggellare la carta d'uffizio, allora in uso. 

(6) Knouty staffile dei Russi e dei Tedeschi. 



— 59 — 

Caland giù Napóleón, 

Pavis, j'órdin, ì decret 

I cusìa del S6t-Prefet, 

E dèi Maire a la presenssa (i) 

I fasia la riverenssa. 
Quand la stella d'Bònaparte 
A Leipsich P è tramonta (2) 
Vist non vlst j^eu cambia carte, 
E ^1 cancel j^eu tramudà. 
I parlava con órròr 
Del tiran, dPusurpator; 
E a Pusciè dia certa scienssa (3) 

I fasia la riverenssa. 

Ristora le antiche legi 

Sòt J^auspissi d^ Metternicli, 
Pantichissim privilegi, 
I cònvent e i feudi antìch, 
Con la póver e ^1 tópè. 
Braje corte e baròlè, (4) 
Del breviari a Pinfluenssa 
I fasia la riverenssa. 

Carolina! lo ch*i spero 
Con Pajut d'tóa pròtessiòn 
A Pè d'esse al ministero 
Nomina cap dMivisión, 
Dop avei stanca d'inchin 
Fina '1 Monte e '1 Valentin, (5) 
L'è giust eh' j' antri an ricómpenssa 
Passo a mi la riverenssa. 



II dicembre 1831. 



(i) maire, cosi chiamavasi il Capo del Comune, o Sindaco, sotto il 
dominio napoleonico. 

(2) Battaglia di Lipzia combattuta alli 16- 18-19 ottobre 18 13, detta 
battaglia delle Nazioni ribellatesi contro V usurpatore. 

(3) V. Nota I.*, a pag. 51. 

(4) barò le, parte superiore della calza, che la fibbia o la legatura 
della cortabraca (culotte) abbraccia, sotto il ginocchio. — P&ver, pol- 
vere di cipria. — Tópé (fr. toupet), nodo di cappelli sulla nuca, legato 
da ricco nastro o terminante in treccia e codino. 

(5) Il Monte dei Cappuccini ed il Castello del Valentino in Torino. 




-6o- 



L' IMPOSTURA («) 



La vrìtà eòi eh' a Pan esalta 
L'ero propi d' sublimi tupin; 
Se cóst móad a Paveisso studia 
Scassa tanti test grech e latin, 
L'avrio vist che tut marcia, tut dura 
In virtù dia beata impostura. 

Fra Verdun, còl eh' a vend un sold l'un 
I sirin, j'abitin d'San Fransèsch, 
Predicand astinense e digiun 
A ven largh, a ven ròss, a ven frèsch; 
Con la panssa ch'ai tira, ch'ai tsura (i) 
In virtù dia beata impostura. 

Col mari cosi ben arpatà (2) 
Da fé invidia d'Rodan al pentnin, (3) 
Tut felice d'sòa casta metà 
A la ciama so pruss, so cardlin. 
A Pambalsma, a na fa d'cónfìtura 
In virtù dia beata impostura. 

Còl erede stanch d'vèdde a scrussi (4) 
Un vei barba sten su dal ran^ot, 
Pr'ajutelo a fa core, e fa vni 
Un dòtòr con gialapa e decot, 
E '1 sòtròr a 16 buta'n vi tura, 
In virtù dia beata impostura. 

Còl tutor ant un nen dventà sgnòr 
Segui tand èl vangeli mòdern. 



(a) Confronta la IV Ode del Par ini e V Impostura ». Anche Lud. 
Ariosto ne fece un quadro stupendo in quell'ottava che incomincia: 
« Avea piaceuol viso^ abito onesto » . Molière ha poi dato al tipo del- 
l' impostore un'impronta indelebile nella sua commedia « Tartufo », 
tipo già impresso nella « Mandragora » del Macchiavelli e nel « Can- 
delaio » di Giordano BrunOy commedie molto lette e tradotte in Fran- 
cia durante il predominio della lingua Italiana sulla fine del cinquecento. 

(1) tsura, stringe, colla pancia tonda. 

(2) arpatà, rifatto, rimpannucciato. 

(3) Rodan, parrucchiere famoso. — Parla d' un marito che chiude gli 
occhi sulle profìcue infedeltà della moglie. 

(4) scrussi^ scricchiolare, trascinar la vita pieno di acciacchi. 



— 6i 

Con dèe righe an favor del confsór 
A mincióna bèrgnif e V infern, 
E drit drit a va' n ciel per procura 
In virtù dia beata impostura. 

Sòr Marches, cól famós prepótent 
Dèsciódù da la greuja d'Neron, (i) 
Tuti ai treuvo die carré d'talent, 
Ai pieuv dsóra córdón e pensión, 
A lo stampo ministr a dntura 
In virtù dia beata impostura. 

Còl pedante, cól secca minción, 
Oratór^ professor e dótór, 
Che shdand e bón sens e rasón 
A fa d' prose, a fa d'vers traditór, 
In Arcadia lo meno an pastura, 
In virtù dia beata impostura. 

Còl filosof, cól bón fol-fótù, 
Ch'a dis ch'j'omni son tuti fratei, 
Ch'a confida ant Paint dia virtù, 
Che dèi merit a inchina i bindei (2). 
A va a taula an s'ie giajre dia Stura.... (3) 
O beata, o beata impostura. 



COST MOND VEI («) 



L'autra neuit i són sógname 
Che ant la nav dP Eternità 



(a) Questa canzone esprime la varietà delle opinioni in corso al tempo 
in cui fu scritta, diffuse specialmente dalla stampa quotidiana e dagli 
opuscoli che venivano di Francia in Piemonte con molti stentile di 
contrabbando. U pessimismo che ne traspira è del buon genere umo- 
ristico e serve di pretesto ad insinuare ì* idea della necessità d* un 
buon cambiamento generale aò imis fundamentisy che era 1' opinione 
costante dell' Autore. 

(i) greuja^ guscio, Figlio di Nerone. 

(2) Non felice espressione per significare che il vero filosofo s' in- 
china soltanto al vero merito. Questo non ha bisogno di essere distinto 
con nastri e croci, per essere riconosciuto! 

(3) gi^f^^t ghiaie. — Stura ^ torrente nel territorio di Torino. = 
Muore di fame. 



— 62 — 

Padre Eterno Pavia fame 
Gran Cónsiè dia Trinità; 
Aranbandme a Domne Dei, (i) 
Dand n'òciada a còst mónd vei, 
Miserere, j'eu sciama, 
Costa bocia a va rangià. 

Dit e fait: al ciair dia luna, (2) 
In virtù d'un me decret, 
L'univers ecco as raduna 
Su la piassa d'Cavóret. (3) 
Bianch e neir e basanà Qf.) 
Tuti j'omni a són mucia, 
E a la fin... oh che piasi 1 
Cóst mónd vei 16 rangio mi. 

Preordinò j'afè dia terra 
Su, cos'elo eh' a fa al cas?... 
Un a dis: ai va la guerra; 
N'aut sógiuns: aj va la pas. 
Ch'i sio Asiatich.... no African.... 
No Europei. .. no American.... 

Oh che góil oh che piasi! (^) 

Cóst mónd vei lo rangio mi. 

Un a veul la primavera, 
N'aut desidera Pinvern, 
N'aut Pautun, e n'autr a spera 
Un istà eh' a dura etern; 
Un a veul ch'j'abio '1 nas drit, 
N'aut sgnacà, n'aut gross, n'aut pclt.... (6) 

Oh che gói oh che piasi! 

Cóst mónd vei lo rangio mi. 

Un Franseis con die gasètte 
Vèul istrue fina i bèrsach, (7) 
Un Gesuita a veul permétte 
D'iése appéna Parmanach, 
I Sóvran veulo mnestré. 
Le nassión veulo gnun Re: 

Oh che gói! oh che piasi! 

Cóst mónd vei lo rangio mi. 

(i) aranàandme, appressandomi, attaccandomi a Domine Dio. — Con- 
fronta in ital. il vocab. arrembaggio, 

(2) ciair^ lume, chiarore. 

(3) Cavoretto, ameno paesello sulla collina Torinese. 

(4) basandf di color della basana, giallo. 

(5) gài* gioia. 

(6) sgftacdf schiacciato. | (7) bèrsac^ zaino. 



Cóst a veul le bèrte rosse, (i) 
Cól a ten per i baròlé; 
Pun a crio: viva le cosse! (2) 
Pautri: viva i pruss bure! (3) 
Viva n Czar! viva n Califf! (4) 
Viva i Sant! Viva Bèrgnifif! (5) 
Oh che gói! oh che piasi 
Cóst mónd vei lo rangio mi. 

Metternich per msura publica (6) 
Tui èl mónd veul butè sót; 
Lafayet veul la republica, 
Nesselrod a veul èl knót; (7) 
Kergolè ten pr'ij Bórbón, 
Tallieran pr'èl gius dMóblón: (8) 

Oh che gòi! oh che piasi! 

Cóst mónd vei lo rangio mi. 

Ant P America a s'anrabio 
Per sóstni ch^i sòma uguai; 
In Italia as veul eh' a Pabio 
Mach la crésta i cardinai: (9) 
I mari a s'veulo fé fra, 
I fra veulo esse maria: 

Oh che gói! oh che piasi! 

Cóst mónd vei lo rangio mi. 

Chi veul Giors e chi veul Toni, 
Chi n Talmuld, chi PAlcoran, (io) 
Chi Calvin, chi San Gironi, 
Chi la pruca e chi '1 turban. 



(1) berte, berretti. 

(2) cosse, zucche, ignoranti. 

(3) pruss, pere. 

(4) Califfo, cosi chiamato in Persia il Sovrano dei credenti seguaci 
di Ali. Tant' egli come lo Czar sono sovrani spirituali e temporali ad 
un tempo. 

(5) Bergnif, il diavolo. 

(6) Metternich, celebre ministro dell* Austria. — Lafayette, V. nota 
5.*, a pag. 36. — Nesselrode, ministro di Prussia. — Kergoley, rap- 
presentante deir Inghilterra. — Talleyrand, V. nota x.*, ;a pag. 39. 

(7) Knót, staffile. 

(8) dòhlòn, propende per i doppioni; la celebre Doppia di Spagna. 

(9) La sola papalina ed il cappello rosso, di color repubblicano, dei 
Cardinali sono unicamente tollerati in Italia; non il berretto frigio. 

(io) Talmud è, dopo la bibbia, il libro delle tradizioni sacre e dei riti 
aggiunti presso gli Ebrei. 



"iir 

Padre Etemo I dilo vói 
Cóm gavesse d'còst patòi? 

Alleluia! cóst mónd vei 

A starà sempre pareil (i) 

IO maggio 1832, 



A VA NEN BEN («> 



S'a m*à dait la Próvidenssa 
Un sach d' vissi, un rub dMifet, 
Su Particól dia decenssa 
Gnun al mónd peul dime un et; 
M'venlo d* volte '1 schiribiss 
lybutè^an rima queich pastiss? 

Cinto 1... i'seu ch^a va nen ben: (2) 

P fass fìnta d' sa vei nen. 

Veddne d' volte a fé Poracól 
Queich sòr Cont, quaicb sòr Marches, 
lycói ch'ha rompo i tabernacól 
Pi che an Fransa Carlo des? 
Se quaich un am dis: perché (3) 
Fé una ghulia d'un brande? 

Cinto I cinto 1.... a va nen ben: 

Fóma finta d'savei nen. 



(a) Questa canzone punge certi caratteri troppo timorosi di dire il 
vero ( anche quando il dirlo è cosa necessaria ) per tema di conturbarsi 
per un momento la quieta ma inutile loro esistenza. Nel tempo stesso 
è una rapida strigliata ai più scandalosi figuri della Società predomi- 
nante in Torino al tempo del poeta. Coloro a cui veniva in mano que- 
sta canzone avrebbero allora potuto pronunziare certi nomi e raccon- 
tare certi aneddoti piccanti, che 1' età passata e il vortice delle faccende 
seppellì in provvidenziale oblio. 

(i) Sarà sempre uguale. 

(2) ciùto! zitto! si sottintende: io rispondo. 

(3) fare una guglia di un campanile con un alare da camino, cioè 
innalzare al goyemo una persona mediocrissima. 



-65- 

Cól mufi eh' un Pavria dalo 

AlPincant pr'un mes dói-dnè. (i) 
Còl che ades a Pan crealo 
Cap d'azienda e fìnanssiè. 
Cóm diau elo eh' a Pè vnu 
Gross e grass e pacióflù? (2) 
Cinto I cinto!... ecc. 

Còl mari d'còla Contèssa 
Per gófade pórtentós, 
Cól eh' a marcia con fierè'ssa 
Caria d'eorn e caria d'eros, 
Per eos'elo eh' un lo dev 
Benedì parei dia frev? 
Ciutol cinto!.... ecc. 

Cól salam che an s'ia figura 
A Pavia '1 bórich scolpì^ 
Cól che adess a va 'n vitura 
In virtù d'ij so singh dì, (3) 
Chi alo daje ant un moment 
Tanto spìrit, tant talent? 
Ciuto! cinto!... ecc. 

Cóla tòta scrupolósa^ 
Surtìa fora dal ritir, 
Ch'a vèn grossa, prosperósa 
E eh' a va pi nen al gir : (4) 
Perchè devia fé slarghé 
So faudal e so córse?... 
Ciuto! cinto!.... ecc. 

Còla strega, cól' arpìa 
Catarósa e bavósa 
Che dl'an sés gnun a pòdìa 
Accusela d' crudeltà, (5) 
Perchè adess fala d'móral 



(1) per un mezzo quattrino. 

(2) pacióflù, paffuto, colla pappagorgia. • 

(3) per aver fatto il ladro. 

(4) che non si vede più al passeggio sotto i classici portici di piazza 
Castello e di via Po, ovvero al giro delle carrozze intorno ai viali di 
Piazza d' Armi. 

(5) Quando era giovane era generosa.... con tutti. — DV an sés, 
usasi per indicare un tempo assai remoto; frase derivante dalla data 
dell' assedio e liberazione di Torino per opera d' Eugenio di Savoia 
e di Pietro Micca, (1706). 

5 



66 



Fina al gat e al papagal? 
Ciutol ciutol.... ecc. 

Perchè arrivile per staffétta 
Ij stipendi ai foi-fòtù? 
P^frchè deurmne an sia sòffietta 
El talent e la virtù? 
Pòrche '1 merit vaio al ghet? 
Perchè '1 diau 's butlo '1 ròchet? (i) 
Ciutol ciuto!.... ecc. 



3 ftbbraio 1833, 




SOA ECCELLENSSA (*) 



LMstcs di che le mie nosse 
Con Gigin j'eu celebra, (2) 
N' Eccellenssa d^ còle grosse 
D'visiteme a s'è degna: 
A mia fòmna sans facon (3) 
A la óffert sóa prótessión: 
Che favóri che cómpiasenssa I 
Che bontà d'un Eccellenssa I 

Chiel a ven a pie d'mie neuve 
Fina dóe, tre volte al dì, 
E s' a fiòca o s' buta a pieuve 



(<z) La presente satira colpiva più direttamente gli alti dignitari dello 
Stato appartenenti ali* aristocrazia cui si dava tìtolo d' Eccellenza a tutto 
pasto. — L'imbecille protetto dall'Eccellenza in questione appartiene 
alla borghesia laureata. Nella carriera degli impieghi essa poteva anche 
pervenire al segretariato in qualche lontanissima legazione, dove il lavoro 
d' ufficio si scaricava dal nobile ambasciatore sugli scrivani di bassa 
origine. Di tale impiego abbiamo un esempio nello stesso G. G. Rousseau, 
il quale sebbene plebeo e Ginevrino, andò segretario del console di 
Francia a Venezia. 

(i) Il diavolo si mette il Sanrocchino o rocchetto. — Camice che 
un di era di sacco per modestia ed ora è tutto pizzi in punto di Ve- 
nezia e di Malines. — Alludo ai costumi rilassati del clero. 

(2) Gigin, Teresina. | (3) fòmna, moglie. 



-67- 

Chiel s'tratèn giugand con mi: 
Con un aria famigliar 
Quand am treuva am dis: — me cari 
Che favóri ecc. 

Con mia fòmna, a va peni dita, 
A Pè pien damila attenssión; 
Sóens a P opera a la invita, 
E ant la logia ai dà ij bón-bón; 
Sòens a va con chila a spass, 
Ai dà fina sóens '1 brass: 
Che favóri ecc. 

Chiel s^accors quand a m'anneuja. (i) 
D^blinblanè per la sita, 
E s^a ved ch^j'abia nen veuia 
Dop disnè d'surtì d'an ca, 
Chiel a m'ofifr so tilburt 
Per ch'i vada un pò per lì: 
Che favóri ecc. 

Quand Pan fame andè an Galissia (2) 
Segretari d'Legassión, 
A mia fómna pr'amicissia 
Chiel fasia cónversassiòn : 
Al P à fina mnà con chiel 
A fé Pasqua ant so Castel: 
Che favóri ecc. 

Me Carlin ancor 'n fassa 

A P è tut, tut so ritrat : 

Chiel lo seulia, chiel lo pnassa, (3) 

Chiel s' na fa n' afe d' Stat ; 

A lo fa baie sui gnói, 

A lo ciama so marói: (4) 
Che favóri ecc. 
Chiel am trata senssa gena 

Cóm n'amis, cóm un fratel. 

Ma queichun lo buta 'n scena 

Cóm s'a fussa un barivel; (5) 



(1) quando sono stanco di gironzare. La voce blììtblanè^ riproduce 
il fare scioperato e cascante degli oziosi mantenuti. — Tilòury^ vettura 
all' inglese. 

(2) Gallizia, provincia della Polonia. Notisi il fortuito incontro di 
questo nome colla parte di marito becco contento e ringalluzzito. 

(3) <^g^i ^o liscia e lo pulisce. 

(4) maròi^ marmocchio. | (5) barivel^ biricchino. 



— 68 — 



Da queichun Fseu ch'as dis 
Ch'am fa j'armc d'Stupinis. (i) 
Che favóri che cómpiasenssa I 
Che bontà d'un Eccellenssal 



2 febbraio iSji* 



^ 



LA BARCHETTA («) 



Guarda che bianca luna, 
Guarda che ciel seren; 
Duna, mia cara, duna, (2) 
Ven, Carolina, ven. 
Una tranquila ariétta 
Sent'a consóla '1 cheur: 
Ven, ven su la barchetta 
DI' amor e dèi bóneur. 

I gent da le spónde 
Al mar a fan la strà, 



(a) É del genere Barcarola: una breve successione di quadri mari- 
nareschi: la calma del viaggio che finisce in tempesta sopra il lungo 
corso del fiume, e simula pure con sottil velo d'allegoria la fragilità 
dell' amore e della vita felice. La sua vaghezza stilistica è nella bre- 
vità delle proposizioni, del verso, perfino delle parole scelte fra quelle 
che presentano meno quegli urti di consonanti cosi frequenti nel nostro 
dialetto. Ne consegue una snellezza, una rapidità d' imagini singolare. 
— La Marchionni, famosa attrice, a cui tanti omaggi offersero i poeti 
della prima metà del secolo XIX dilettavasi nel ricordare e recitare 
agli amici che convenivano in casa sua le canzoni di BrofFerio. Un giorno 
facendo essa gustare questa poesia a Nota ed al Giordani, il Nota 
esclamava: « Oh! chi avrebbe mai creduto che si potessero scrivere 
cosi bei versi in Piemontese, ed esprimere cosi gentili affetti e cosi ga- 
gliardi pensieri? » e ne aveva ragione. — Vedasi la Vita che precede 
questo volume. 

(1) che mi fa portar le corna. Sulla cupola della villa Reale di Stu^ 
pinigif antico luogo di cacce presso Torino, si aderge un elegante cervo 
di bronzo dorato. Di qui il proverbio « faf le arme di Stupinigi » , 
o far portar le corna. 

(2) dutta^ lesta, lesta. 



-69- 

La terra, i vent e j'ónde 
Per nói a smio crea; 
Nóssgnor am lo permétta, 
Me ciel a Pè to cheur: 
A voga la barchetta 
DPamór e dèi bóneur. 

A veulo amor eh' a sia 
Na splua sè'mnà dal vent; (i) 
Cred pà: Pè una busia: 
Vógóma alegrament. 
Guarda cólP isólètta !... 
Andómie, o me bel cheur ? 
A vira la barchetta (2) 
DPamór e dèi bóneur. 

L'ultima steila a svela 
Che l'alba a veul spénte, 
Ma cól mai cambiè véla 
Cómenssa a fé bajé; (3) 
Na pcita nuvoletta 
A ven a turbe '1 cheur: 
A bautia la barchetta (4) 
DPamór e dèi bóneur. 

L'Orient smia pi nen candi, 
El ciel pi nen azur; 
I turbin a pio Pandi, (5) 
Lóntan a l'è già scur; 
As leva la marétta 
Un sent a rójé '1 cheur; 
A dagna la barchetta (6) 
DPamór e dèi bóneur. 

Tempesta sót e dsóra, 
Trón, losna, losna e trón. (7) 
El rem a va'n malóra 
Bóndì véla e timón: 
A casca la fusétta, (8) 
A bat pi nen '1 cheur.... 
Bón viage a la barchetta 
DPamór e dèi bóneur. 



2 giugno 1833. 



(1) splua, favilla. 

(2) a vira, gira. 

(3) bajé, sbadigliare. 

(4) biiutia, dondola. 



(5) il vento comincia a soffiare. 

(6) dagna, fa acqua. 

(7) tuoni, lampi, lampi e tuoni. 

(8) fusetia, il fulmine. 



%C%C 



- 70 — 



LA N O N A ^«) 



Pr'educhè sóa pcìta fi a 
A la scola dia virtù 
Ai contava nona Cia (i) 
Sóe produsse d' gioventù. 
— lina volta and and a spass 
Da le partM'San Benevass, (2) 
Clementin m'a dame ant Peui... 

— E peui Nona? e peui? e peni? 

— Ai teatri, a le spasciade 
Im lo vdia sempre d'acant, 
Ps parlavo con d'òciade 
Ps capio quasi pr'incant, 
Psfrósavo d'i] bietin, 
Psghiciavo d'i] basin 

Da le fnestre e dai pógieui . . . 

— E peui Nona? e peui? e peui? 

— Un bel dì eh' j' era fèrmame 
Giù dia vigna ant èl bòschèt, 
Ira lo vèddo fra le rame 
Comparì zichin zichèt. (3) 

Ai me pé chiel s'è butà, 

D'princisbech mi són rèsta (4) 

Fra '1 piasi, la péna, e'I sbeui... (5) 

— È peui Nona? e peui? e peui? 

{a) La canzone presente trova la sua figliazione dalle anteriori L* im- 
piegato, L* Impostura e Sóa Eccellenza, Ferisce jina società corrotta 
anche nella venerabile vecchiaia, ali* ombra dei rilassati costumi. Be'- 
ranger ne ha pure fatto argomento d* una fra le sue prime e più sa- 
laci canzoni « Ma Grande Mère * . Ricordisi anche la celebre e Mamfna 
Compiacente » del Giusti: tutte pitture di costumi, in cui la poetica 
vena da schietta allegria derivando, lascia tuttavia pensare alla riforma 
dei pubblici costumi per mezzo della libertà e di una bene intesa edu- 
cazione della donna. 

(i) nonna Lucia. 

(2) regione ai piedi della collina Torinese, a valle del fiume, nel Borgo 
Po, detta dei Santi Bino ed Evasio. — Una commedia dello Zoppis 
è pure intitolata < El Sindic d* S. Benevas » . 

(3) V. nota a pag. 8. 

(4) princisbèechy oro falso. Rimasi di stucco. 

(5) sbeui, spavento. 



— 7' — 

- Disperà chiel a dritura 
Bele lì s'vória masse; 

Mi che i mort am fan paura 
Peu pensa d^felo scampò: 
Che mcantesim! che trasporti... 
Ma a còst mónd per mala sort 
Tal un smèna e tal un cheui . . . 

— E peni Nona? e peni? e peui? 

■ Ant cól mentre la proposta 

A Pan fame d'papà grand; 

Mi j'eu daje per risposta 

Un bel no tut an piórand. (i) 

Ma costretta dai parent 

Peu dóvumne finalment 

Cambiò daita, e volte feui... (2) 

— E peui Nona? e peui? e peui? 

- L'à bsógnà quasi rabléme (3) 
Dnans al Paroco d'San Gioan; (4) 
E al moment chM dvia cógiéme (5) 
Che fònfòn, che sgiaj, che afanl (6) 
Ma la sort m^a favorì 

Dandme un bón, ma bòn mari 
Ch^a cònssia né gran, né leni... (7) 

— E peui Nona, e peui? e peui? 

- A Pà fait grand amicissia 
BePe chiel con Clementin; 
As fasia chiel na delissia 

D' sempre vè'ddèmlo da vsin; 
E a j'e nen andaje ampess 
Che Nóssgnór a j^a cóncess 
D'veddse pare d'un bel fieul... 
Brava Nona ! . . . oh che faseul ! 



14 febbraio 1834. 



(i) plorando piangendo. 

(2) Cambiar modo ed opinione. 

(3) rabléme^ trascinarmi. 

(4) Duomo di Torino. 

(5) cògiémcs andar a Ietto. 

(6) quale paura, che spavento, che affanno. 

(7) che non distingueva il grano dal loglio, la donna dalla pulzella, 
in questa demi-vierge. 



^^W^ 



— 72 — 



ME ATT D' FEDE («) 



Operi manuum tuarum porrige dexteram, (i) 

Job. Gap. xiv. 

Ant A méis eh' a j'è la brina (2) 
Ch'a da'l sbrat ai passarot, 
Su la punta d^na colina 
I sòn nà cóm un còssot; (3) 
Vói ch'i m'éve d&ciódù 
Grand e gros e fol-fótù, 
Ai me crussi^ ai me patòi 
Domne Dei penseje vóil 

Pr' averti ch^abio avertime 
D' torse '1 col parei die gru, 
I són sempre divertirne 
A fe'l Diau fin ch'j'eu pódù; 
Vói chM m'eve ant èl cupiss (4) 
Fait la nià d'ij schiribiss 
Quand im vfidde a fè'l farfói 
Domne Dei penseje vóil 

Per sentì ch^j'abia a discòre 
D'San Luis e d'Sant Enrì, (5) 

(a) Invocazione originale a Dio creatore. — Il Poeta piacevolmente 
gli fa ricordare e lo rende responsabile di tutte le conseguenze d'averlo 
fatto nascere vivace, franco e col cervello dato a ogni sorta di ghiri- 
bizzi, incapace di torcere il collo e di curvare la schiera a tempo e 
luogo, libero pensatore e liberale ad ogni costo. L' autore svolge in 
questa canzone l'argomento principale di Voltaire contro la predesti- 
nazione e contro il peccato originale, che escludono il libero arbitrio e 
il dolo del peccatore, dimostrando implicitamente, senza farsi scorgere, 
che tutto dipende in questo mondo, ed anche 1* uomo per conseguenza, 
da cause determinanti, a cui soltanto si possono portare modifìcazioni 
e correzioni indirizzando al bene, coli' esercizio continuo dell' intelli- 
genza, della rimessione dei sentimenti più delicati e generosi, le passioni 
umane. 

(1) A me, opera delle tue mani, porgi (oh Dio) la tua destra. 

(2) òrinat gelo. | (3) cóssot, zucchetto. 

(4) cupist nella nuca, nel capo. 

(5) San Luigi Gonzaga, tanto casto che non osava guardare in viso 
la propria madre. 



A Pan sempre fame core 
Pi le fómne che i mari; 
Vói chM m'eve pè'r maleur 
D' pasta frola fait èl cheur, 
Quand Pamór a fa Pmasnói 
Domne Dei penseje vóil 

I fas tut una salada 
Rabin, Lama e Cardinai; (i) 
I vad sempre a la spasgiada 
E a la predica i vaa mai: 
Vói eh' un peul nen ambrójè 
Con dilavato e à^munda me, 
SMm fas nen vnì'l lait ai gnói (2) 
Domne Dei penseje vóil 

Durviend fabrica die ariétte 
Sul Parnaso Piemónteis, 
Pruche, stole e bajónètte 
Peu psà tut a Pistess peis; (3) 
Vói chM m'eve regala 
Una piuma trop tempra 
Al gius d' corda, alPeuli d'frói (4) 
Domne Dei penseje vói! 

Sui barbis dP artiglieria 
Ch'a fa scola d'Drit Divin, (5) 
Quaich fabioch a veul ch'i sia 
Una scuma d'giacóbin; 
Vói che al mónd j'eve crea 
Prima d'tut la libertà, 
Se mi d' volte i fussa d'eòi 
Domne Dei penseje vói! 

Cól gran dì eh' l'eterna trómba 
Dnans al giudice immórtal 
Am ciamrà dal sèn dia tómba 
A compare ant la gran vai; 

(i) Rabbino, sacerdote degli Ebrei. — Lama, il gran sacerdote di 
Budda neiralto Indostan o Tibet. 

(2) Se non istò lunghe ore in chiesa genuflesso. 

(3) P^^i pesato. ■ 

(4) if^^^i succo; — fróii catenacci del carcere. Ricorda il pericolo a cui 
fu esposto per 1* accusa d' alto tradimento punibile di pena capitale. 

(5) A dispetto dei cannoni puntati in cittadella contro ogni possibile 
ribellione, e dal governo despotico usati ad incutere timore e preparare 
gli animi alla venerazione della Monarchia fondata sul diritto divino, 
o Grazia di Dio. 



— 74 — 

Vói chi m'éve fabricà 
Con la macchina d'ij pcà, 
A Bergnif, fé nen èl poi, (i) 
Domne Dei penseje vói! 



4 gettnaio 1832. 



ii^ 



LE SPIRIT FÒLET («> 



Vói ch'iv ciame fierament 
Spirit creus del mil e eut sent, 
Teste incredule ch'i ne^he 
Ch'a j'è d' spirit, eh' a )'è d' streghe, 
Piève guarda dai giughet 

Ch'a fa n fólet, 

Ch'a fa a fólet. 



(a) Alla Sor eie re del MieheUt si può attingere ampiamente la leg- 
genda dei gliomi o folletti dalle due origini mitiche delle religioni pa- 
gana e cristiana. — Il folletto o spirito folletto appariva in forma di 
fuoco fatuo e fiammella vagante dai boschi e dalla paludi, dal carnaio 
pestilenziate del sagrato, nelle scure vie, dintorno ai fossati delle città 
murate e dei castelli medioevali: appariva lontano dalle fucine accese 
di notte in montagna e tra le miniere scavate nelle roccie disgregate 
con ardenti bracieri. Quella popolazione selvaggia di carbonai e di mi- 
natori amando godere di maggior libertà, lasciava volentieri crescere 
dintorno a sé la paurosa leggenda. Siccome poi abbondavano fra loro 
i rifugiati dalle persecuzioni baronali e abbaziali, gli empirici sanitari! 
riputati stregoni e maghi, una corrente favorevole a tutti i perseguitati 
si diffondeva nel popolo e confondeva facilmente i messaggeri segreti 
di quelle congreghe cogli spiriti benefici: spiegava ogni fenomeno col 
loro provvidenziale intervento. Intanto i signori, gli abati a cui premeva 
la conservazione dell' ordine e la tutela dei sacri canoni, attribuivano 
ad opera diabolica tutte le seduzioni che conturbavano le loro famiglie 
o i loro capitoli conventuali o in bene o in male : ogni malizia ed ogni 
scappatoia era merito del folletto. 

(i) Non fate, o Signore, il pidocchio, il parassita, il cortigiano al 
diavolo. Energica espressione che ricorda la satira del Calvo « U Ift" 
tendent e V Pòi ». 



— 75 — 

Sul matìn dia prima età, 
Flètte bele e d&gagià, 
Vói chM sente c&av davana 
Una frev ch^a smia tèrsana, 
A la larga dai pachet (i) 
Ch'a dà n fólet, 
Ch^a dà n fòlet. 

Vói ch'i^n feve vnì rusnent, 
Fómne al sugh dSl sentiment, 
Con die frasi elo ch'j'imagine 
Dene Troja e nen Cartagine? (2) 
D'un sóspir ài trabuchet 
A j'è a fólet, 
A j'è n fólet. 

Povre vidóel i lo seu ben 
Che a la neuit i deurme nen ; 
Povre vidóe! i ^m feve péna 
Con vost^aria da Madlèna. 
Tnive al recipe segret 

Ch^a dà a fólet, 

Ch^a dà a fólet. 

Buvatass dia castità 

Povri Preive, povri Fra, 
Quand f esamine quaich bela 
Dal pèrtus dia gratisela, (3) 
Prest un Pater che al ghicet (4) 

A )'è a fólet, 

A j'è a fólet. 

Vostre fómne a custodì (5) 
Vói chM sude, o bón mari, 
J'eve bel stópè d^filure, (6) 
Rute d'eriche e d'saradure: 
A la mira dèi luchet (7) 

A j'è '1 fólet, 

A j'è '1 fólet. 



(i) pachete regalucci d* amanti. 

(2) concederci solamente sguardi languidi, e nuli' altro ? — Le si- 
gnore romantiche del 1830 affettavano pallore, inappetenza e volgevano 
al cielo gli occhi per sentimentalismo. Tali le vediamo nelle stampe 
dell* epoca. Cosi uccellavano ai sòri: e ben se ne accorse Leopardi che 
descrive le loro arti VL!f\V Aspasia Bolognese. 

(3) dalla grata del confessionale. 

(4) ghicèt^ buco. I (5) fómne^ mogli. 

(6) filurty fessure : avete un bel chiudere fessure. 

(7) mira^ al luogo. 



-76- 

Vò! ch'i lècche pr^un bindel (i) 
li mòdión d'Piassa Castel, 
Vói ch*ÌY deurve na carriera 
D* vostre fontine ans la zartiera, 
Chi elo còl ch'av dà ij brevet?... 

A Pè n fòlet, 

A l'è a fòlel. 

Còla dvota separa 
Dal mari por nen fé pcà, 
Con so parroco as dispera 
Ch'ai ven streita la brassiera (2) 
Pr'un fiat mihi ant un còret (3) 

Con '1 tòlet, 

Con a fòlet. 

Vói chi seguite '1 carlevè 
Fra i batyian e fra i chassé (4) 
D'una bela spartitura 
(^uand l'amor a bat la msura 
Cól eh' a sona '1 flagiòlet (5) 

A l'è n fòlet, 

A rè '1 fòlet. 

Fie, ch'iv sente tòchè '1 cheur 
Dai sòspir d'un mirlifleur. 
Guaì s'i lasse eh' a v'ambarca^ 
Con die rime a la Petrarca: 
A la cóva dèi sònet (6) 
A i'è '1 fòlet, 
A i'è '1 fòlet. 

Armanach d' moralità, 
None fruste e sgangarà, 
A l'è inutil ch'i gabele (7) 
Con le gióvne e con le bele; 
Tnive al preive e al scaudalet: (8) 

Pi gnun fòlet, 

Pi gnun fòlet. 

5 marzo 1833. 

(1) òtndel, nastro, decorazione. 

(2) Brassieray specie di busto non più usato. 

(3) Córett camerino presso il coro neli' abside della chiesa, destinato 
per confessare i sordi. 

(4) Parole proprie ali* arte della danza. 

(5) fiagióUt /i\ ^ViMiOt (ir, JlagéoUt), \ (6) cóva^ coda. 

(7) Gabelt: è inutile che vi frammischiate. 

(8) Preive^ scaldaletto di legno avente forma quasi di un carretto. 
— Lo ScauiaUt è di rame. 



■ ^ 



— 77 — 



LA PROVIDENSA i«) 



A preteiid queich moralista • 

' Òhe quand Pom s*ved a rabel (i) 
Un gran merit a s'acquista 
A lasse eh' a fassa '1 ciel; 
O che '1 fòt lo mena a spass, (2) 
O che U Diau ai daga '1 brass, 
A Pè niente, un sa ch'ai pensa 
La gran madre Próvidensa. 

Mi ch'i sciairo le facende (3) 
D' còsta bocia còm'a van, (a) 
Im na lass nen de d'antende 
Dal latin dij ciarlatan. 
Còl ch'as treuva fra j'ambreui 
S'a sa nen fèrtesse j'eui, (5) 
A Pa bel spetè Pudiensa 
Dia gran madre Próvidensa. 

A la barba d'tuti quanti 
Coi eh' a fan '1 savi e '1 dot 
Quand la péndula va avanti, 
Quand la sfera marca 'n bot, 
S'a dis nen èl cusinè 
Ch'a Pè temp d'andè a disnè, 
A j'è un fòtre ant la dispensa 
Dia gran madre Próvidensa. 

Quand le siale a fan la cria, (6) 
Quand i camp sòn tuti sèch, 
J'eve bel avei la pvia, (7) 
Bel ciamè ch'av bagno '1 bèch; 



{a) Destinata a colpire di fronte il fatalismo sciocco della buona gcntCì 
che basti rimettersi nelle braccia della provvidenza per essere felici e 
tranquilli. Il poeta eccita il popolo a darsi attorno, a farsi furbo, ope- 
roso, intelligente, sollecito a trar profitto d* ogni spiraglio per aprirsi una 
via alla propria indipendenza, alla dignità nazionale grande e libera. Le 
nazioni fataliste Turchia e Spagna sono annoverate fra le più decadenti. 



(3) sciairo, vedo, 

(4) àocia, mondo. 



(1) a rabel, in malora. 

(2) fòt, dispiacere. 

(5) fregarsi gli occhi, cavarsi d' impiccio. 

(6) quando cantano le cicale. 

(7) /v/a, pipita, aver sete. — Croia, cantina. 



-7^- 

Se ant la crota j'eve nen 
D'via d' Madera o d'vln dèi Ren, 
J'è mach d'acqua ant la chèrdensa 
Dia gran madre Pròvìdensa. 

Se andasend a la spasgiada 
Av rubata un cóp adoss, (i) 
Se fasend na serenada 
Una stanga av rangia j'oss, 
S'j'eve un sòbber d'un dòtòr 
Parent prossim dèi sótrór, 
A v'am barca la sapiensa 
Dia gran madre Próvidensa. 

Se un bel di, còm a peul desse, 
Sensa dive né un né dói. 
La giustissia pr'amusesse 
Av ciapeiss an mes ai frój : (2) 
S'i v'aiute nen un poch 
Per bèrlich o per bèrloch, (3) 
A v'ampica la clemensa 
Dia gran madre Próvidensa. 

J'omni as giudico a la mira (4) 
Del bòton dèi bórgiachin, 
Fina '1 preive a veul sòa lira 
Per di vespr e matutin. 
E còm elo ch'j'eu da fé 
Quand im treuvo sensa dnè? 
S'i t'n'as gnun, at dis, fa sensa, 
La gran madre Próvidensa. 

Còl brav om ch'tuti a lodavo 
Pr'ij so nobil sentiment. 
Còl che tuti ai disio: bravo 1 
Oh I che genio I oh che talcnt . . . 
A P à fait èl saut mortai 
L'altra seira a Póspedal, 
E tut lo per Passistensa 
Dia gran madre Próvidensa. 

Còl panssón che dòi meìs prima 
L'era ant l'indice d'j'òlóch, (5) 
Ch'a Pavia né sens né rima, 
Còm 1 gius dij barbabóch, (6) 

(i) vi cade un tegolo sul capo. 1 (3) o in un modo o in un altro. 
(2) /rot\ catenacci. | (4) nel punto del taschino. 

(5) ólàc/i, allocco, stupido. 

(6) òaròaòócà, barba di becco, erba primaverile. 



- 79 — ■ 






Dop avello empì, caria 
D'eros, patente e d' dignità, 
A Pà falò un' Eccellensa 
La gran madre Próvidensa. 

Tè'mme nen, piève nen péna, 
Durmì pur, durmì tranquil 
Lasse pura ch'a'v sóstèna 
Cóla man ch'a'v rés pr'un fil; 
Le cadreghe vanne al ghet? 
El Scnat confiselo '1 let? (i) 
A j'è d'paja eh' a dispensa 
La gran madre Próvidensa. 

I maggio 1831. 



TRANT'ANI 



Carolina, abbia pasienssa. 
Sta matin sul fé del dì 
La pendula dPesistenssa 
Tranta cólp m'a fait sentì, 
Peu trant'anil i t'eu pèrdù, 

mia cara gioventù! 
lUusiòn, ómbra eh' a incanta. 

Bòna sejral i són ai tranta. 

Peu trant'anil d'mia campagna 

1 són dónque a la metà! 

Seugn d'amor, eastei an Spagna, (2) 
Cosa mai seve dventà? 
Color d'reusa del piasi, 
To pèrfum a Pé sparì; 
La rasón, lussiend, am eanta: (3) 
— Nostr'amis, i sòma ai tranta. 

Ti che d'j'Angel it ses fia, 
E sórela dèi malheur. 
Generósa poesia, 
Cara interprete d'me cheur, 

(i) Senati corte d'appello. V. Nota a pag. 23. 

(2) (fr. Chateaux en Espagne), disegni fantastici, illusioni. 

(3) La ragione tossisce come chi inghiottì un amaro boccone. 



— 8o — 

Sent... Cujaccio am cria dare: (i) 
— Buta Dante sul sóle, 
Fica Ariosto ans la sópanta:-' 
Bóndi rimel it ses ai tranta. 

Su la carta i navigava 
Un pò a Smirne, un pò a Nankin; 
Dnans la véla ch'am portava 
L^univers Pera un póntin. 
Pover bipede! perché 
Affanete a rubate? (2^ 
Dia smens d^ rógna ai n^è già tanta; (3) 
Fa Permita: it ses ai tranta. 

Ribelandme alP impostura, 
I sè'rcava, i serco ancor 
Sul gran liber dia natura 
Un pensè dèi Creator. (4) 
Cosa vastu lantè'rnand 
Sui perchè, sui cóm, sui quand? 
La vrità, che ingrata pianta! 
Lassla bóje: it ses ai tranta. (5) 

Da la pórpora sovrana 
Vdend la terra sófócà 
Peu chè'rdù chUa rassa umana 
Meriteiss la libertà; 
Peu chè'rdù dsà dal Mont Blan 
A la sèner dMj Roman: 
Pi gnun Fabii ch'am na pianta; (6) 
Omni, iv scìairo: i són ai tranta. 



(i) Cujaccioy autore classico di giurisprudenza. Mi dice: appigliati 
alla tua professione, lascia la poesia. 

(2) r ubate ^ andar ruzzoloni pel mondo col pensiero alle sventure umane. 

(3) Cosi Dante: e E lascia pur grattar dov' è la rogna! ». 

(4) La religione del poeta razionalista è lo studio intenso, incessante 
della Natura medesima. Questa religione propria di Lucrezio nell' anti- 
chità, trovò nel Fausto di Goethe il massimo degli svolgimenti dramma- 
tici del quale sia capace nel progresso immanente delle scienze positive. 

(5) lassla bóje^ lasciala correre. 

(6) Nobilissimi pensieri audacemente espressi. — Il monte Bianco 
sembra segnare il termine Nordico della latinità secondo il Primato di 
Vincenzo Gioberti^ privilegiata fonte di gloria agli Italiani. — Gli uo- 
mini sono essi degni della libertà? Ecco il problema del pessimista. 
La visione chiara del reale indusse più volte il poeta deluso a dirsi: 
no ! Ma vedemmo altrove che il gelido pessimismo di BrofFerio sì spezza, 
corno in tutte le menti equilibrate e nei corpi sani, al primo alito di 
libertà e di progresso. Le « Scene Elleniche » ed « / Miei tempi » 
informino. 



— 8i — 

Ma se ^1 temp veul ch^im separa 
Dai fantasmi dPillusión, 
Carolina, ti mia cara, 
Almanch ti t^ses mia dabòn: 
Veni... ma cosa? it basse j'euì, 
T^serche d'rinfne, t'fas d'ambreui, 
T^smie '1 ritrat dia smaiia santa?... 
Là, i tMntendo... i són ai tranta! 

34 dicembre 1833. 



LA P R U C A («) 



Cosa v^scheve mai le mióle 
Pr^ acquistò d' erudissiòn ? 
P ste propi fresch cóm d^póle 
Con vost Dante e vost Platon. 
Quand j'aveisse travóndù 
Fina Pòmba bel e cru (i) 
Mi v'dio nen na fanfaluca, 
Pavrè 'n fótre sensa pruca. 

Ève d^ volte ant la sicoria (2) 
Che sto mónd sia d^còi salam 



(a) Satira contro il formalismo imperante. — Andrea Chamisso, 
V umorìstico scrittore Berlinese, ha nel suo racconto fantastico e Schyamil 
e l^ ombra sua » svolta e rappresentata al vivo la massima che tutta 
o gran parte della vita pratica è una semplice apparenza. Chi si ap- 
parta da questa seconda natura umana è un non valore nella odierna 
società. — La leggenda biblica ha dato a Sansone la ricca zazzera, 
talismano di forza; la leggenda Fenicia, Ellenica, Etnisca ha sulle 
spalle dell'Ercole Melcarte gettata la pelle crinita del Leone Nemeo; 
la cura principale dell' uomo primitivo è la sua zazzera irta d' aghi 
crinali. — La curia e la magistratura Inglese serba ancora del vecchio 
costume eredato dai tempi di Carlo II e della regina Anna, le grandi 
parrucche inanellate; e cosi va camuffata la Camera dei Lords e l'alto 
Clero nelle grandi funzioni : ma le teste rotonde, i calvi Wighs furono 
e torneranno ad essere la salvezza della Vecchia Inghilterra. Ancora 
oggidì in Piemonte si chiamano parrucconi e codini i reazionari. 

(1) noto stampatore Torinese, protettore di letterati e iniziatore della 
coltura popolare mediante edizioni economiche. 

(2) stcoria^ testa. 

6 



— 82 — 

Cb'a travajo per la gloria 
Oest à'dire pr'murì d'fam? 
D*uQ impiegli un s'rendlo degn 
Con d'savièssa, con dMngegn? 
Lvevlo pura d'ant la gnuca, (i) 
Gnun impiegh sensa la pruca. 

Da p&r tut a's vèd la piòta (2) 
E dMj Papa e dMj Sovran, 
Da per tut pruca e calóta 
A son cap a'ij rabadan: 
Da per tut i ytdtè d'^uai 
D'batibeui e d'tanana) 
Qjuand a capita eh' a 'n truca 
La calota con la pruca. 

Cos sarijlo un senatór, 
Cos sarijlo un president 
S'un a feissa nen ònór 
Pi a la pruca che al talent? 
Cos sarijne in cónclusión 
Tanti cònt, tanti baron. 
Tanti prinssi e tanti duca 
Sensa bórsa e sensa pruca? (3) 

Pr*un prucón dcói deprima sfera 
Metastasio a le passa: 
Fina Alfieri a dio eh' a Pera 
Una pruca mal pentnà: 
E un pòdria quasi giure 
Che Sai Marcn e San Mate, 
Che San Giòvan e che San Luca 
A Pavio dco lór la pruca. 

Quand i vèdde un eccellenssa, 
Un mìnistr, un diplomat 
Che spasgiand a smia eh' a penssa 
Al cóngres eh' a tèno i rat, (4) 
Crèdve d' volte eh' a v'n'impón 
Pr'esse un Cesare, un Catón? 
A v'ancióca, a v'sbaluca 
Con nen aut che con la pruca. 



(i) gnuca^ testa. { (2) piota, lo zampino. 

(3) àórsa, borsa del denaro, ed anche quel cappio di nastro serico 
che serviva a riunire la zazzera sulla nuca, come si vede in qualche 
antico medaglione. 

(4) U congresso dei topi contro le rane è nella celebre parodia Ome- 
rica, e nei paralipomeni del Leopardi. 



-83- 

Una pruca reverenda 
A ravia Sant Agustin, 
E a Ve an del eh' a fa marenda 
Con i sant e i cherubin. 
Ma Boccaccio e Macchiavel, 
E Petrarca fina chiel 
A Pan tu ti '1 diau ch'ai pluca 
Perchè a Pero sensa pruca. (i) 

Com as buta an s'j'óstarie 
Una frasca e dói giambón, 
Vói buteve dsór j'órie 
Un tópè con dói marón. (2) 
Trabuch pi o trabuch men (3) 
A la testa un guarda nen 
Ch'a sia mlón o eh' a sia suca, 
Basta mach ch'ai sia la pruca. 

Nelle carceri corren, 3 giugno 1831. 



L'ARENGH («) 

OSSIA 

LA CÒNFESSIÓN GENERAL 



Bona neuit, me cari amis, 
Venta fé la cabriola; 



(a) Presso ali* udienza in cui doveva decidersi avanti il tribunale di 
guerra la sua sorte, (e trattavasi di fucila2done o di capestro se fosse 
condannato), il Poeta chiama a raccolta i suoi pensieri, le memorie 
della sua vita, come nel Comune Medioevale la campana delV Arengo 
dalla torre municipale radunava il Gran Consiglio. — L' esame di co- 
scienza umoristico che l' Autore fa intorno a sé stesso trova un ri- 
scontro nel tragico € Addio alla vita t del Girondino Andrea Chenier 
che la mannaia del Terrore attendeva; ed anche nella nobile Canzone 
« Alla Morte ^ del poeta Riminese Pandolfo Cotlenuccig^ grande uma- 
nista del sec. XIV, decapitato per ingiusta accusa addi 11 luglio 1504, 
per ordine di Gio. Sforza signore di Pesaro e Qual peregrin dal vago 
errore stanco ». 

(i) Boccaccio, Macchiavelli e Petrarca si disegnano tosati affatto se- 
condo 1' uso Fiorentino, come si scorge nei quadri a fresco di Griotto, 
Simon Memmi e Pisanello. 

(2) marón, lati della parrucca spioventi sulle tempia. 

(3) trabucco^ misura lineare piemontese antica. 



-84- 

A vai nen storse i barbis, 
Slunghè '1 muso e fé la spola: (i) 
La campana a m'avertiss 
Ch'a Pe temp ch'im daga ardriss. 

Dóni dóni dóni dóni 

A Pè temp chM parta. 

Giù dal col j^eu già un brusór 
Ch'am fa strense '1 porta eòa; 
Dare d' Puss j'è già '1 sótrór 
E la mort eh' a fa la róa; 
A j'è già padre Taluch, (2) 
Pé già '1 diau eh' a rissa '1 pluch. 
Doni dóni ecc. 

Ma da già ch'j'eu da parti, 
Póma nen le cose an pressa. 
Dòn Tal.ch elo pa lì? 
Spetè dòn jue ch'im confessa: 
Dis, Gaspr'n, fa nen '1 fol (3) 
Con tóa stringa antórn al col. 
Dóni dóni ecc. 

Manus tuae fecerunt me (4) 
D'carn e dross, d'nerv e d' pólpa, 
Dunque sMói a fan nen tré, (5; 
Domne Dei^ elo mia cólpa? 
Perchè féme un mangia pan 
Grand e gros e tulipan? 
Dóni dóni ecc. 

Cos na peusne s'dói bei euj (6) 
M'armusciavo le grumele? (7) 
SM voltava sóens '1 feui, (8) 
S'i cambiava sóens d'bele? 
Se Pamór fussa un delit, 
Fina '1 Papa saria scrit. 
Dóni dóni ecc. 

A Pé vera, i chè'rdia poch 
A P asperges e ai miraco: 



(1) far la spola, far chiacchere lunghe ed inutili. 

(2) frate che soleva accompagnare al supplizio i condannati alla forca. 

(3) Gasprin^ il boia del Piemonte. 

(4) Le tue mam mi hanno crettto, versetto del Salmo Davidico. 

(5) cioè se il mio carattere liberale e sincero non è modificabile. 

(6) i begli occhi della libertà. 

(7) mi facevan girar la testa? | (8) se ero volubile in amore? 



-85- 

I ridia dèi can d^San Rocti, 
I bvia nen al bót d'San Giaco, (i) 
Ma elo ^ust per tut lo -li 
Fesse gói d' vedine rusti? 
Dóni doni ecc. 

Tut Voltaire peu sfójatà, 
Tut Rousseau, tut Becaria, (2) 
E peu mai gnanca guarda 
Né Abacuch, né Geremia; 
Dói Profeti matador 
Ch'as intendo gnanca lór. 
Dóni dóni ecc. 

Ai mónsgnór e ai córtisan 
I són mai fame da ramba; (3) 
Quand i re Pan fótù '1 can, 
Peu au^uraie bòna gamba: 
Né ^1 diadema, ne ^1 pivial 
Fan n' Augusto d^un stivai. 
Dóni doni ecc. 

Si tróvreu, spasgiand là dsór, (4) 
Ney, Jouber^ D^ssaix, Massena, 
I direu che 1 tre cólór 
Tórno a fé paura a Viena ; 
Che i Prussian e che i Cosach 
Fico tóma berta an sach. (5) 
Dóni dóni ecc. 

Fait chM l'abia Pultim bai (6) 
Ant le man dia Próvidenssa, 
Mi veni nen savejne d'guai. 
Chi Vk da penseje ai penssa. 
DMventé, m'n^amporta poch. 
Un spinass o n'articioch. (7) 
Dóni dóni ecc. 



(1) se non bevevo al zucchino di San Giacomo? se non bevevo grosso? 

(2) Giulio Conte Beccaria Milanese, immortale giureconsulto, nel 1770 
autore del librìcdno e Dei Delitti e delle pene » che fu scintilla al- 
l' abolizione della pena di morte in Toscana e della tortura nell' Istru- 
zione dei Processi penali per tutto il mondo civile. 

(3) mi flon mai fatto vicino; mi sono mai attaccato ai loro panni. 

(4) lassù in cielo. 

(5) tórno, di nuovo. — Dopo la rivoluzione del luglio 1830 le spe- 
ranze della libertà dei popoli erano rinate dovunqiie. Il Congresso della 
Santa Alleanza concluso a Vienna nel 181 5 aveva sofferto nuovi strappi 
e altri se ne temevano. 

(6) Esalato l' ultimo respiro. | (7) articioch, carciofo. 



— 86 — 

S'as pódrà, d'ant còl paYs 
Giù da si fé na scapada, 
Con vói eit, me cari amis, 
I venreu fé la balada: 
Ma s'ai fuss peui gnun sente, 
Cari amis, vnime tróvè. 
Dóni don! ecc. 



Nelle carceri corre%ional% 27 maggio 1831. 



^ 



ÈL CHOLÉRA MORBUS («) 



Che diau astu, o Carolina, 
Da queich temp ant él cupiss, (i) 
Chi t^m volte tant d^ schina 
Quand i veni fé un pò '1 scaviss? 
Cosa? A t^an assicura 
Ch'a j^è '1 cholera per strà? 
Prest un triduo, una novèna. 
Per ch^a véna, per eh* a véna. 



(a) La legittimità del regno per graaia di Dio non conferiva più 
ai Sovrani il diritto di credersi eterni sul trono degli avi. bisognava 
governar coi prìncipi della Santa alleanza o cadere. Né i principi della 
Santa alleanza avevano ammorbato gli spiriti soltanto. I suoi batta- 
glioni avevano propagato fra noi il choUra, che poi nel 1835 toccò il 
perìodo più acuto, mietendo numerose vittime, ed imperversando con 
ispeciale violenza a Genova ed a Cuneo. Certo senza imitazione, ma 
per la contemporaneità dell' epidemia, usciva circa quel tempo stesso in 
Toscana la satira del Giusti intitolata « // Cholera a Nina ». La 
malinconia dei quietisti, dei liberali imitatori del Manzoni e dei Sanfe- 
disti (onde Giusti cantava: « Momo s* è dato al serio — E di lingua 
maledica — Oggi gratta il Salterio * ) giovava ai sovrani. I poeti 
popolari intesero a rompere quell'incantesimo fatale e con qualche re- 
proba e licenziosa scrollata di spalle far rivivere le speranze della gio- 
ventù ; a un dipresso come il Boccaccio col prologo del suo Nffvelliere^ 
dopo la peste di Firenze, 
(i) cupiss f nuca, testa. 



-87- 

Elo nen ampess ch'as tolera 
Costa vita da articioch? 
A Pe temp fótre che '1 chólera 
As na méscla chiel un poch. 
Con dòe smorfie un pò per stort 
Chiel ripara tuti i tort. 
Prest un triduo, ecc. 

Bel piasi, bela risórsa, 
Rubate per cóst mónd véi, (i) 
Dóv l'ónór a sta ant la borsa 
E la gloria ant ij bindei: (2) 
La virtù Pè pcà mortai, 
E '1 talent va alPospedal: 
Prest un triduo, ecc. 

Guarda, guarda, sM dio d^cuche, (3) 
Che filerà, che rablà (4) 
D'cape, d^toghe^ d^stole^ d^pruche, 
D'casch, d^mitrie, decina. 
Guarda, guarda che barón 
D'eros, d'medaje, e d'medajón. (5) 
Prest un triduo, ecc. 

Sastu nen ti, che pr'usanssa 
T'ses amis dij batibui, 
Ch'a l'è '1 chólera in sóstanssa 
Un eroe dMj tré dì dUuj? 
Gnanch Barnav, gnanca Marat, (6) 
L'ero nen pi demócrat. 
Prest un triduo, ecc. 



(i) rubate t gironzolare. 

(2) òindeif nastri, decorazioni. 



(3) cuche, menzogne. 

(4) quale processione. 



(5) Questa ottava richiama alla mente il quadro votivo ordinato dal 
Municipio di Torino ed eseguito da Amedeo Augero, precisamente per 
la liberazione della città dal terribile morbo. Conservato già nella sala 
delle adunanze degli Assessori, oggidì trovasi nel nostro Museo Civico 
d' arte moderna. Vi si vede tutto il Consigliò in gran parata di Corte 
e il Vescovo in trono nella chiesa di San Giovanni. Quella delibera- 
zione urtò certamente i nervi dei pochi liberali della Città Morta^ e 
trovò eco nella musa del Poeta. 

(6) Barnav era deputato di Lione alla Costituente Francese del 1790. 
Grande industriale, aveva propugnato la proclamazione dei diritti del- 
l' uomo e le riforme più liberali che si potesse, compatibilmente alle 
istituzioni Monarchiche della nuova Costituzione. Ma coli' avvento della 
Gìronda al potere decadde, e dopo la condanna di Luigi XVI an- 
ch' egli lasciò la testa sul patibolo. — Màrat^ giornalista fondatore 
del « Pére Duchesne » e dell' e Ami du peuple » non cessò mai 



— 88 — 

Chiel fa gnuna differenssa, 
Quand a veul fé sauté '1 grip, 
Fra un ^rupion e un'eccellenssa, 
Fra Ródm e Luis Flip: (i) 
Tant al pover, còm al sgnór, 
Chiel fa strense Pass da fior. 
Prest un triduo, ecc. 

Chiel a marcia per stafè'tta 
Dsóra ^1 pnass d'un óragan. (2) 
La diarrea Pé so trombetta 
E la mort so prim edcan: (3) 
So drapò Pé un catalet. 
So quarte Pé un lasaret: 
Prest un triduo, ecc. 

Tant an Spagna, cóm an Franssa, 
Tant sul Mincio, che sul Po, 
Des o dódes dolor d'panssa 
Minca tant ai veulo dcò. 
It véfdras eh' a fan gnun maj. 
It vèfdras eh' a véno a taj: 
Prest un triduo, ecc. 

Al senat, al ministeri, 
A la camera, al cónsej, 
Na dòsena d'bón clisteri 
A faran as peul nen mej. 
Che bel véfdde al Gran Canslé (4) 
Na siringa péir darei 
Prest un triduo, ecc. 



dall' incitare la plebe alla rivendicazione de' suoi diritti all'eguaglianza 
sociale e dall' ammonirla con virulenti parole sul pericolo di tradimenti 
che la gua fervida fantasia, eccitata dalle notizie allarmanti delle rac- 
colte d'emigrati alle frontiere, dagli intrighi svelati della Corte, dalle 
congiure della Nobiltà e del Clero ribelle alla Costituzione, gli rap- 
presentava. Visse povero, e povero, dopo avere colle sue aperte de- 
nuncio mandato molte persone al patibolo, mori mentre prendeva un 
bagno caldo, sotto il pugnale vibrato dalla vergine vendicatrice dei 
Girondini, Carlotta Corday^ appositamente venuta da Caens, col pre- 
testo d'una petizione, per cui aveva ricevuto udienza. 

(i) RodÌHf personaggio principale che rappresenta il Gresuita moderno 
affigliato, ma in abito borghese, nel celebre romanzo di Eugène Sue 
« Le fui/ Errant » uscito appunto dopo la Rivoluzione del 1830. 

(a) pHasSt coda. 

(3) edcaHt (fn aide de camp) aiutante di campo. 

(4) Gran Cancelliere» Presidente dei Ministri. 



-89- 

Lassa pura che an Galissia 
A na mando dij dòtór, 
A san tuti Pamicissia 
Che la pest a Pà con lór, 
Quand 'l chólera as faliss. 
A j'è ^1 medie eh' a suppliss. 
Prest un triduo, ecc. 

Franceschin, che per natura 

Veul tant ben ai so Italian, 

• O per posta, o pfir vitura, 

. Lo mandrà prest a Milan. 

Già da Viena Metternich 

A n'io prónta con un plich. 

Prest un triduo, ecc. 

Carolina, lassa, lassa 
Tuti i guai, tutti i sagrin. 
Pelo U chólera eh' a passa? 
E ben vénme, vénme vsin 
Elo temp d'fè Pultini pass? 
E' ben strénsme ant ij to brass. 
Prest un triduo, ecc. 



In cittadella 2 agosto 1831. 



i^ 



ÈL VICARI D' MODENA («) 



Già chM sòma al di d'j' ulive, (i) 
Scote ben, me, cari fieni, 



(a) La Canzone svolge e frusta il sistema teologico e reazionario in 
vigore, a suo tempo, presso tutti i governi ed in tutti i concilii dei 
Clericali, di attribuire alle sobillazioni di questo o quel tribuno o mi- 
nistro gli avvenimenti storici che G. B. Vico per il primo seppe coor- 
dinare in semplici ricorsi o ritorni di effetti per cause generali detcr- 
minate. Le scienze statistiche ed economiche coi documenti alla mano 
hanno dimostrata la solidità della teoria di Vico. — Vicario è detto 
chi fa le veci del Papa, del Vescovo e dell* Imperatore, secondo il ce- 
rimoniale del Medio Evo. — Qui era il Duchino, il Roganiifto del 
Giusti^ quel Tribuno che tiene un piede in Francia, e l'altro a Mo- 
dena (ode a S. Giovanni e l* lucoronationi), traditore di Ciro Me- 
nottif aspirante un giorno alla corona di Lotnbardia in competizione 
con Carlo Alberto. | (i) domenica delle palme. 



— 90 — 

Le vrità ch'i són a dive, 

Per eh' impare a deurve j'eui: 
S'i ridreve d'me sermón, 

A Pè an causa i framassòn: 
Se pr'un sèbber i passrai, 

A Pè an causa i libera). 

Eva e Adam, cóm dèi can majre, 
L'an*dóvù, zichin, zichèt, 
Vni dia terra su le giaire 
A tranfiè pr'un póm ranèt. 

Se Gain Pera un bricón, 
A Pè an causa i framassòn; 

E se Abel Pa fait ì bai, 
A Pè an causa i libera). 

El Profeta Geremia 

Perchè s'butlo a piórassè? 

Ptìrchè David masslo Uria? (i) 

Perchè Abram falò '1 bechè? 
Perchè sMànn-lo Salomon? 

Tut an causa i framassòn; 
Perchè Giob elo ant ij guai? 

Tut an causa i libera). 

Se ant ij corn Erode as fica 
Dal neuv Re d'esse tradì; 
Se un Apostol a s'ampica ^ 
Gentilment al ram d'un fi; 

Se Pilat a fa '1 grupiòn, 
A l'è an causa i framassòn; 

Se San Pè fa cantè i gaj, 
^A l'è an causa i libera). 

Se i Gòsach a sòn scismatich, 
Se j'Ingleis sòn pròtestant, 
S'a persevero j'Asiatich 
A neghè Nóssgnòr e i Sant, 

S'an vStrangòlo ant èl Giapon, 
A Pè an causa i framassòn; 

S'an ampalo ant èl Gataj, 
A Pè an causa i libera). 

Una volta (oh che bel viyel) 
Ant le terre, ant le sita. 



(i) Ur{a il marito della bella Bersabea fatto morire dal re dei Salmi 
Penitenziali, per possederla liberamente. — heché^ il beccaio: allude 
al sacrificio di Abramo. 



— 91 — 

A savio mach lese e scrìve 

Sor castlan e sor cura. 
S^a j'è d'spirit e d^rasón, 

A Pè an causa i framassón ; 
S^a j^è d^liber e d^giòrnaj. 

A Pè an causa i libera). 

Per confónde i pófifarbaco, (i) 

Per convince j'Ugónot, 

Una volta d'ij miraco 
«, S^na fasia cóm d'agnólot. 
Se dco i Sant bruso ^1 pajón, 

A Pè an causa 1 framassón; 
Se la Fede a veul j'óciaj, 

A Pè an causa i libera). 

Per P ónór dia liturgia 

Minca tant a van rusti, 

Pian pianin dsóra na.gria. 

Coi cn^fan ^rass al venerdì; 
S'as na va Pmquisissión, 

A Pè an causa i framassón; 
Se Pinfern fa pi nen sgiaj, (2) 

A Pè an causa i libera). 

Sant^Ambreus prima dPótanta 
A Pavia '1 mantel d^vlù; (3) 
E ant èl vas dP acqua santa 
San Bernard pescava ij scù. 

Se Sant Ana a Pè d^cartón, 
A Pè an causa i framassón; 

Se San Bias Pè d^póm sarvaj, 
A Pè an causa i libera). 

Nostre fómne un dì a gablavo (4) 

Pr^èl colar e pr^èl capus; 

Ma pr^adess, 1 povri diavo, 

L'an da fé per plesse un pruss. (5) 
Se dco ai vè'sco ai va die ónssión, 

A P è an causa i framassón ; 



(i) FoSarbacco, i gradassi liberali soliti a questa e simili interiezioni 
e sfide. 

(3) sgiai^ paura. 

(3) Un giorno le statue dei santi eran d' oro e d' argento, ed oggi 
di legno e di gesso. 

(4) gaàlavot trafugavano viveri in casa. 

(5) pruss, pera. 



— pa- 
ssai va d' malva ai cardinaj. 
A Pè an causa i libera). 

A j'è pr'aria una còm^ftta, 

A j'e '1 cholera li vsin; 

Per difende la mòssètta, 

Ptr pròtege '1 cólarin; 
L'óragan, la losna e '1 trón (i) 

Vèno an causa i framassòn; 
Terremot e tempora) 

Vèno an causa i libera). 

Cónchiudend secònd Pusanssa 
Fé limosna, o pecatòr, 
Ma limosna an abóndanssa 
Per le pecore d^Mònsgnòr. 

S'j'avreu a taula gnun stóriòn, 
Sarà an causa i framassòn; 

S'j'avreu d* Cipro e nen d'Tóchaj. 
Sarà an causa i libera). 



4 dicembre 1832. 




PATRIOTISM D'PIASSA CASTEL <«) 



Mi seu nen che diau a Pabio 
Da quaìch temp certi fabioch, 
Ch'as sagrino, ch'as anrabio 
Perchè an Franssa as fa d'pacioch. 
Gent ch'i lese sensa òciaj, 



(a) Questa canzone e quella che vien dopo, « Michlón tP Cóntrà 
éCPoity abbracciando un periodo di circa tre anni (1831-33)» si con- 
nettono per continuazione di pensiero. L' Italia, ( come narriamo in 
principio), non dava più segno di vita nazionale, e Lamartine la chia- 
mava terra dei morti: pur tuttavia, sotto quelle ceneri stava acceso il 
fuoco sacro che doveva risuscitarla. Questo è l'incendio che Brofferìo 
tentò rinfiammare con queste due canzoni che sferzano a sangue l' in- 
differenza e \ egoismo con fine ironia. 

(I) il lampo e il tuono. 



— 93 — 

Vèddve nen chM sé d'sónaj? (i) 
Turch o Alraan, Grech o Spagneuj, 
Tuti j^omnfa sóa d'subieu). 

Cosa Servio còstipesse 
Per chUe cose a vado mei? 
Se ^1 trin-tran peul aen cambiesse, (2) 
Lux perpetua luceat et ; 
Lo san fina ì papagaj 
Che cost móna rè un mònd d'sònaj, 
Turch ecc. 

Fin ch'am manca nen Paptit, 
Fin chM peuss durmi tranquil, 
Cos m^amportlo a mi d'Lafitt, (3) 
D'Cóstantin o d'Radsivil? 
Perchè andraine a sè'rchè degnai? 
Viva ''1 regno dMj sónaiji 
Turch ecc. 

Mi m'n'anmóco dP Eguagliansa, (4) 
Dia Republica m'n'ampip; 
Mi m'n'ambrigno ch^ai sia an Franssa 
Carlo Des Luis Flip. (5) 
Che divari j'elo maj 
Tra 'n gianfòtre e tra ^n sónaj? 
Turch ecc. 

Fassne mei la digestiòn 
QuandM léso ant èl Córiè 
Ch'mónssù Sólt a Pà rasón, (6) 
Ch^a Pa tort mónsù Beriè? 
Baliverne da giòrnaj 
Tavanade da sónaj 1 
Turch ecc. 



(i) Si rivolge alle persone di senno, e ironicamente le accusa di dab- 
benaggine. — Sónaj, sciocchi ; i suoni che emettono le sonagliere non 
hanno ombra di sentimento né di colore musicale. — Suòieut, pifferi. 

(3) Trin-tran^ la praticacela, il vezzo, 

(3) Lafitte, V. Nota 2, pag. 39. — Costantino Granduca, govemat. 
della Polonia Russa, secondogenito della famiglia imperiale, rappresen- 
tava la politica conciliante. — Rainiwi/, ministro di Nicola I, il feroce 
tzar, vi rappresentava la repressione. 

(4) anmóco, me ne infischio ; ( fr. se moquer ) : amòrigno, egual senso. 

(5) V. Note a pag. 36, 51, 53. 

(6) Soulty V. Nota a pag. 37. — Berrycr^ ministro di Grazia e 
Giustizia per Luigi Filippo re di Francia. 



— 94 — 

Còs na peussne se ant P Irlanda 
Per d'tortifle a fan d'rabcl? (i) 
Se tra '1 Belgio e tra l'Olanda (2) 
Pr'un pò d' birra as pio la pel? 
Ch'a sio pìto, eh' a sio gai, (3) 
Venta sempre obdi a d'sóna). 
Turch ecc. 

Eló pa na cosa drola 
Vèdde quater fótrighet (4) 
D'scólè frust ch'van nen a scola 
Per fé ónòr a Lafayet? (5) 
Ma dòn Pònsa venrà a taj (6) 
Pr 1 banch d'Paso d'ij sona). 
Turch ecc. 

A jè d'eòi eh' a smia ch'angrasso 
Quand a sento an Vatican 
lygamber cheuit eh' a n' strapasso 
Con d' scomuniche a la man. 
Chi sa nen che i cardinaj, 
Vivo a spale d'ij sònaj? 
Turch ecc. 

Cosa feje s' Franceschin 
A l'è nen un Franeeseòn? (7) 
S'a va a Modena ti Duchin (8) 
A brassètta con Frimon? (9) 



(x) tartifle^ patate. In Irlanda le terre confiscate ai partigiani di 
Carlo I e II e Giac. Stuart già fredde e poco fertili, abbandonate dagli 
agricoltori del paese, Tennero coltivate di ripiego col tubero importatovi 
dall' America. Gli Irlandesi si dissero Patatoesmen, Il Parlamento In- 
glese fu campo d' interminabile lotta per la loro autonomia. 

(2) Questione diplomatica di dogane per l' importazione della birra 
tra il Belgio testé indipendente e T Olanda sua sovrana pei trattati 
del 1815. 

(3) pito, tacchini: gai^ galli. 

(4) fótrighet^ vanerelli. 

(5) LafayeUe^ V. Nota a pag. 36. 

(6) Mìch, Ponza^ sacerdote da Cavour, fu per molti anni professore 
di grammatica in Torino. Era nota la sua severità. Stampò sei ma- 
nuali per lo studio della lingua latina, un Nuovo donato, una Gram- 
matica, un Dinionario piemontese e varie monografie letter. e polem. 
^vX)ì Annotatore, giom. da lui fondato. Mori il 18 nov. 1846. 

(7) gioco di parole: Francescone è moneta dei duchi di Parma, da 
Francesco Farnese che fondò la dinastia. 

(8) V. Nota a pag. 89. 

(9) Frimon^ V. Nota 3.'^, a pag. 36. 



— 95 — 

Protocol e credenssiai 
A sòn d'balsam pr'ij sònaj. 
Turch ecc. 

A Pè inutil chMv ribéle, 
A còst mónd a j'è nen d'bòn 
Ch'la politica die ófele 
E la gloria dMj giambòn. 
Storse '1 col, fé rultim baj 
L'è una smorfia da sónaj. 
Turch ecc. 

13 febbraio 1831. 



UAPONTAMENT 



A Pè neuit, a losna, a tróna, (i) 
A tempesta, a tira '1 vent..., 
Giuto ^n pò... Porlogi a sona... (2) 
-Eut e mesa... Oh finalmentl 

Tut Pè chiet: la strà Pè scura, 
La pórtiiia Pè ambajà: (3) 
Là giù 'n fònd, pr^una filura, 
SNed un ciair stèrmà, stè'rmà. (4) 

As deurv n'uss... j' entro ant na stansa: 

Pian... adasi... Ohi sestu ti? 

O me amor, o mia speranssal 

Carolina I ... oh 1 che piasi I 
Carolina 1 lassme, lassme 

Senti '1 palpit dèi to cheur... 

Strensme, strensme, ambrassme, ambrassmc: 

Che incantesimi che bónheurl 

La dólc&sa, o Dio chM treuvo 
Su tóa bocca, sul to sen, 
Gnanca j'angel a la preuvo, 
Gnanch P Eterno a la sent nenl 



(i) losfia^ lampeggia. { (2) ciiUo^ zitto. 

(3) ambajà^ socchiusa. 

(4) si scorge un lumicino nascosto, nascosto. 



-96- 

T'scs la vita ch'i respiro... 
T'ses me ciel... t'ses me... t'scs me... 
Carolina I... Oli DioI cli'i spiro 1 
Carolina I... ì meuiro... ohimè 1 



5 dicembre 1832. 



> 



BIOGRAFIA PIEMONTEISA 

OSSIA 

MICHLÒN D'CÓNTRA' D' PO («) 



Tuti i dì a spass giù d'cóntrà d'Po 
A va Michlòn vers èl mes hot; (i) 
Fèrtélo ancheui e dóman dcò, (2) 
Chiel a va sempre d'Pistess trot: 
Ch'a fassa brut, eh' a fassa bel, 
Chiel a l'è chiel, e sempre chiel. 
Còl Pè n'ómnón, cól Pè n'ómnón. 
Cól Pè n'ómnón, eh' a Pè MichlónI 

A Pà bsogn d'gnun per desse ardriss, 
Gnanca dèi Papa, ^nanch dèi Ré; 
Chiel con so stomi a digeriss. 



Chiel a va spass con i so pe; 
Fina le braje, a Pè tut ai 
S'je buta chièl na volta '1 di. 



(a) V. Nota alla Canzone e Patrtotism éP Piassa Castel » . Questa 
Canzone richiama alla mente la poesia e Ctwr Contento » di Arn. Fu- 
sinato, ed il e SanU^ Ermolao » beato e duro del Giusti, Che a rom- 
pergli la testa coi malanni Era lo stesso che dire al muro. — Il tipo 
del beato Michelaccio é proverbiale. 

(i) mes bot: Oggi il mezzo tocco non sarebbe più l'ora degli sfac- 
cendati per il passeggio dei portici di Po. Ma nel 1833 la colazione 
alla francese (déjeuner) facevasi alquanto prima d'oggidì e antecipava 
anche 1' ora di quel diporto ai borghesi arricchiti che cercavano d' im- 
brancarsi coi patrizi, specialmente davanti al Caffè Fiorio, ritrovo dei 
medesimi. 

(2} bastonatelo oggi, bastonatelo domani. 



Oh che dritón, oh che dritón, 
Oh che dritón ch^a Ve MichlónI 

Ben ch^a lo dio fòdrà d'salam, 
A studia creus e neuit e di 
Per gavè ^1 verm al póm d'Adam, 
Per fé d'castei con feuje d'fi. 
Pbch chM lo fasse aussè '1 bicer, 
A va ant la luna an s'na strà d'fer. 
Che sapientón, che sapientón, 
Che sapientón eh' a Pè Michlón! 

A Pè catolich sfógónà. (i) . 
A Pè apostolich e róman, 
Ma per móstresse un om eh' a sa, 
A gatia un po' dèi Volterian, (2) 
Na volta a Pànn chiel l'è al cas 
Vdend un gesuita d' torse '1 nas. 
Che bósarón, che bósarón, (3) 
Che bósarón eh' a Pè Michlón! 

Pr'amé la patria iv lo dio mi, 
Pè gnun al mónd pi caud che chiel; 
A fa d'inehin da fé sturdì 
Fina ai róndón d'Piassa Castel. 

Con d'vin d' Bareni, con d'bibin d'Ast (4) 
D'Eussi e Franseis chiel na fa 'n past. 
Che patriotón, che patriotón. 
Che patriotón eh' a Pe MichlónI 

Vdendlo così fra ciair e seur, 

S'd' volte i lo pieise per un bade, (5) 

Iv peuss giure eh' a sa sieur^ 

Che dói e dói a fan nen tre. 
Pròve 'n pò a die eh' a Pè 'n gabian: 
Crèddve ch'av eredd? Spèté dóman. 

Che furbación, che furbación. 

Che furbación, eh' a Pè MichlónI 

Certi sónaj, a Pan spantià, (6) 
Che fin da Brama e da Mosè 
Per suceessión a j'è tócà 
D'mióla d'blin-blan e d' fa- fioche. (7) 

(i) sfógónà^ sfegatato. 

(2) si picca alquanto di Volterriano. 

(3) bósarón^ interiezione di dispetto; ma qui, aggettivo qualificativo 
di uomo audace. 



(4) bibin^ tacchini. 

(5) badé^ sciocco (fr. badaud). 



(6) spaniiài hanno sparsa voce. 

(7) midollo di bighellone e di ozioso. 

7 



-9»- 

Ma s'a va'n cólra guaj a v6jl 
Deje 'n scópass' . . . a na pia dój. 
Che sachèrdón, che sachèrdon, 
Che sachèrdón eh' a Pè MichlónI 

Càpitlo d' volte a fé '1 mastin, 
A desse Paria d'un om d'sust? (i) 
Mnelo ai cavai, ai buratin, 
A d venta còti eh' a l'è 'n gust. 
Mach vèdde un aso dal capuss, (2) 
Chiel a va tut an brod d'mèrluss. 
Oh che Catón, oh che Catón, 
Oh che Catón eh' a Pè MichlónI 

A fa vnì d'iiber e d'giórnaj, 
A lés, a medita, a capiss; 
A l'è 'n politich eh' a fa sgia), 
A l'è 'n filosof d'eòi massis. 

Alo '1 bast pcit? Chiel lo veul gross. 

Ciamne la pel? chiel a dà j'oss. (3) 
Oh che cójón, oh che cójón, 
Oh che cójón, eh' a l'è MichlónI 

3 ottobre 1833. 



UN VIAGE PR'ARIA («) 



Dominatór die sfere ch'it pretende 
Con d'ale d'feu d'vólè sul firmament, 

(a) L'Autore indirizzava questa canzone all'inglese Green a cui si 
attribuiva in quei giorni la scoperta della direzione dei palloni aereo- 
statici. 

(i) uomo di senno e d'energia: sust^ da susta, o molla d'acciaio. — 
La Borghesia riottosa talvolta per rincaro d' imposte o per qualche altra 
offesa tosto si calmava coi caroselli, colle cavalcate, coi teatri di cui la 
Monarchia assoluta dev'essere larga al popolo grasso, dietro cui la 
plebe correva, secondo il motto panetti et circettses, — Còti, tranquillo. 

(2) un frate. 

(3) allude ai filosofi dottrinari come quelli che nel 1833 invocavano 
le manette per reprimere i liberali : cosi il Detnaistre colla sua apologia 
del Carnefice nelle « Notti di S, Peter sburg ». 



— 99 — 

Che '1 re^no dParia a P aquila it contende, 
E al genio d'Pom t'fas sùdit j'element, 
El del Ve azur, la matin a Pè bela, 
Lassme al to fiancb spasgiè sui óragan, 

Pilot, dèi del inalbera la vela; 

Portéme, o vent, lóntan, lòntan, lontani 

Già le sita, già i camp, già le foreste, 
I lagh, i mar, am fremo sót ai pé; 
I vèddo a stent, bautià da le tempeste, (i) 
Parbór die nav^ le punte dMj cióché. (2) 

— Là giù, la giù, còla riga cos^ela? 

— A Pè ^1 Danubi. — Anatema aj Almanl 
Pilot ecc. 

Pi bass, pi bass, eh' i sciaira cóle tende, (3) 
Là su cól fium, che un popól a divid: 
Re dseredà, per tòrnè Re t' pretende 
Semnè la mort da Cadice a Madrid? (4) 
Oh Spagna, at rùsia, at lacera, at dèsbéla (5) 
Un dèstin d'sang lega dai Peruviani 
Pilot ecc. 

O Franssa! am ciama su la tua frontiera 
El segn dia gloria, ti segn dia libertà; 
Ma d'Castiglion e d'Lodi la bandiera 
Dop i tre di, cos'eia mai dventà? 
Un aut Bórbòn: infame parentela 1 
Pólach, parie, parie vój. Italiani 
Pilot ecc. 



(i) bautta f odiati. { (2) cióché, campanili. 

(3) sciaira, veda. 

(4) Ferdinando VII presso a morte abolì con decr. 5 aprile 1830 la 
legge salica che privava le femmine del diritto di successione al trono 
di Spagna, e con decr. 5 ottob. stesso anno chiamò a succedergli la 
minorenne figlia Isabella^ diseredando cosi il proprio fratello Don Cario 
di Borbone. U quale subito dopo la morte del vecchio re ( 29 sett. 1 833 ) 
chiamò ali' arme i suoi partigiani e incominciò la guerra civile ancora 
latente oggidì fra Car listi e Alfonsisti* Don Carlo trovò appoggio in 
Piemonte per opera del ministro Solaro Della Margherita, onde piglia 
motivo la satira Brofferiana contro il governo oppressore. 

(5) ti rode, ti lacera, ti disfa. — Vedi 1' Ode di Giosuè Carducci, 
in morte di Massimiliano imperatore del Messico, dove il Dio Uitzi- 
lopotli è introdotto col fantasma di Montezuma a maledire il battello 
« Novara » che portava da Miramare l' Arciduca d' Austria a cingersi 
una corona destinata a cadere dopo breve giro di mesi col temerario 
Europeo che osò comprarla a prezzo d'oro e di ossequio a Napo- 
leone III. (Odi Barbare: « Miramar »). 



1 



— lOO — 



Anvirónà dai mar, ecco una terra, (i) 
Che le nassión a domina da un scneuj: 
Su cóle tór èl j^enio dMn^bilterra 
A impón al mond pr' antichità d'orgheuj. 
Ahi su còl roch P umanità as apela: 
I temp a vni d'Sant' Elena a parlranl (2) 
Pilot ecc. 

D^j uliv a P ómbra, dèi Cefiso an riva, (3) 
Salute o Grecia, tempio dia virtù! 
Ma per servi na rassa eh' a serviva, 
T^as tant suffert, tant fait, tant cómbattù? 
A tóe speransse, o Botzari, as ribela (4) 
L'Asia e P Europa, '1 Crist e P Alcorani 
Pilot ecc. 

Che ciel d'cristall che aria tranquila e pura! 
Ahi dime nen che paYs a l'è cól. 
A Pè '1 giardin ama da la naturai 
A Pè '1 terren tant car ai sguard dèi sóli 
Regina d'j'Alp, pr'ij cavei at rabela 
LMra dMj Papa e Podio dMj Sovrani 
Pilot ecc. 

O sacra terrai o terra d'ij martini 
Polonia, it vèddo sót un vel d'malheur: 
Imperatór d'na rassa d'sciav e d'sbiri 
I neui d'Kosciusko d' strangolò t'as cheur? (5) 
Ma da le tómbe a seurt una querela 
Che dcò i Cósach dcò lór a capiran. 
Pilot ecc. 



(i) anviróndf circondata. 

(2) Napoleone I moriva il 5 maggio 1821, relegato sullo scoglio di 
S. Elena dov' era stato per tradimento condotto sulla stessa nave Bel- 
lerofonte, su cui era salito volontariamente partendo di Francia per 
1' esilio, dopo la disfatta di Vaterloo. 

(3) Cefiso, fiumicello presso Atene. 

(4) Botzari, V. Nota i.^, a pag. 29. 

(5) La Polonia rivoltatasi ai Russi col proclama del 25 genn. 1831, 
vinse a Grochow indi a Ostrolenka, perdette terreno a Vola e capitolò 
a Varsavia il 9 sett.; Nicolò I concesse ai Folonesi un'amnistia. Essi 
amano ricordare il loro eroe ICosciiisko che sostenne fino all' ultima 
separazione la repubblica di Varsavia. Le tre potenze Austria, Prussia 
e Russia si erano divise tra loro, col trattato segreto del 1772, l'infe- 
lice Polonia. La querela cK a seurt da le tómbe fu appunto la grande 
rivoluzione del 1831. — V. Nota 3.» a pag. 113. 



— lOI — 



Dèi mar immens portéme an s'una costa, 
Che d'pass uman a ignora la piana; (i) 
Al mònd cónssù tant e peni tant opposta, 
Che a nom d'gnun Re, ^nun abia mai turba; 
Ma finché intórn P umanità 'm rivela 
Sóspir d'oppress e codici d'tiran, 
Pilot ecc. 



3 gennaio 1838. 



«r 



ÈL BOSCH D'VIGNOLE («) 



Ahi si, són coste, sòn còste le piante, 
Ch^a Pan vdu j'ani d'mia vita pi bei; 
L'è si chi vnia con Ariosto, con Dante, 
A fabriché Dio sa quanti castei, 
O care piante I a vostr' ómbra reveusa (2) 
Quante illusión a pióvio dal ciel. 
Per mi Pórient Pera tut color d' reusai 
A dìsdeut ani che '1 mònd a Pè beli 

Sót costa nós, la bachè'tta d'Atlante 
M'fasia pasgiè dsóra j'ale d'i) vent; 
Sót còsta ròl, dnans ai pè d'Bradamante, 
J'avrìa pr'un sguard abdica '1 firmament. 

(a) Una delle canzoni più dolci e ispirate dal cuore. Per compren- 
derne la bellezza intima bisogna aver letto il capitolo 32 del voi. IV 
dei € Miei tempi ». È un idillio in prosa umorìstica e risanciona com- 
movente come una pagina del viaggio sentimentale di Steme e della 
Héloise di Rousseau, I puri amori del poeta fanciullo in vacanze colla 
villanella Teresina nel boschetto di Vignole presso al paterno villaggio 
di Castelnuovo, la severità degli onesti genitori contadini, T ingenuo 
entusiasmo dello scolaretto, la malizietta semplice della fanciulla, tutto 
è rievocato nel racconto dell* uomo maturo e giunto al massimo grado 
della celebrità. Con una compiacenza quasi infantile egli ritornando 
sulla collina dei suoi primi amori ripete la quarta strofa tutta intiera 
di questa canzone colla quale si chiude il racconto che di essa è il 
migliore commento. 

(i) ptanà^ orme. 

(3) reveusa^ (fr. réveuse), ispiratrice di sogni e di visioni care. 



— 102 — 

Sót a còst olm, con la spà. con la lanssa, 
I fasia d^Turch e d^Morescn un masel; 
A Pera mia l'Inghilterra e la Franssa... 
A disdeut ani che '1 mdnd a Pè beli 

Su to bel brich it saluto o cabanal 
No gnanch Palladio t'avria fait mieil 
Là d'neuit un ciòch fasia coro a la rana, (i) 
Et lux perpetua nunc luceat et. 
Su cól sambù, dsóra 'n brancti, a subiava (2) 
Un órtòlan, nóbilissim òsel; 
La Malibran conta gnanca na rava: (3) 
A disdeut ani che '1 mònd a Pè beli 

A fé baboja vnisia Teresin; 
Al brass a tuia d'móscatel na cavagna, 
E stèrmà an sèn un masset d'marghritin: 
lyij ffiurament testimoni a són stane, 
Tra teuja e feuja, cardlin e frin^el: 
Ahi da còl di chi sa quanti ch'j eu fanel 
A disdeut ani che '1 mónd a Pè beli 

Fier d'vèddme '1 nas piassà 'n mes a la ciera, 
D'vèddme le spale tacà vsin al col; (4) 
I galòpava dna bela manera, 
Creandme un mónd con d' chimere da fol. 
Senssa trop crèdde al latin die calete, 
L'om i lo vdìa cala giù dal prim ciel; 
Peu vist pi tard n'animai con dóe piòte: (5) 
A disdeut ani che '1 mónd a Pè beli 

Giù d'cóla vai precursòr dia tempesta, 
Un gran ciadel m'a dèsvià na matin; (6) 
Na vós criava: Su, ausóma la testa: 
Viva P Italia 1 marcióma al Tesin. 
DPindipendenssa a la santa conquista, 
Su, su, marcióma p£r caud e pè£r gel... 

(I) cióch^ cùcùlo. I (3) subiava, fischiaya. 

(3) La MaliòraHt famosa cantante dell'epoca del Poeta. 

(4) Yale a dire: superbo come tutti i gioyani diciottenni di quella 
beltà che i francesi chiamano de l* age. Ma il poeta fra le tenere ri- 
cordanze non dimentica 11 suo ideale di patria indipendenza e di li- 
bertà universale. Ecco il divario tra la canzone arcadica e romantica e 
quella degli eroi di Carlylt, nei quali una personale soddisfazione idil- 
lica non basta a spegnere la fiamma di una fede, onde il loro verso 
trapassa l'età e vive nella riconoscenza dei pochi e buoni cittadini. 

(5) piate, zampe. 1 (6) ciadel, rumore. 



— I03 — 

LMndipendeDssa sót ciav Peu peui vista: 
A disdeut anj che '1 nxónd a Pè beli 

Oh dova seve, me cari seugn d' gloria, 
Rómans d'amor, cosa seve dventà? 
I treuvo si dèi pisissà la memoria, 
Ma peussne un'ora tróvè dèi passa? 
La strà dia vita già eh' venta ch'i cala. 
Perchè m'faraine tire pr'èl man tei?... 
Alegrament rubatómala scala: (i) 
A disdeut ani che '1 mònd a l'è beli 

6 marMo 1838. 



v 



LA CA GRANDA 

OSSIA 

UNA FESTA A CA DEL DIAU (*») 



Al prim dl'ann sul carr dèi tròn (2) 

(Guardè che còragel) 
Tacand sóta un gat maimòn 

Són butame an via^e 

J'eu vòrsu ]^òrtè d'mia man. 

Un bièt d' visita a Satàn, 

Che bel stéi 

Giura papél 

Viva la ca grandal 

Che cadnass, che tnaje fóàl (3) 

Che sèrpent, che arpie I 
Che scórpión a cuciaràl 

Che ciape rustie 1 



(a) Satira dell' ordine sociale yigente ai tempi del Poeta retto dalla 
spada inesorabile e cieca congiunta al pastorale intollerante di progresso. 
L' inferno è destinato a fare le vendette dei liberi pensatori assetati di 
giustìzia. 

(i) ruòaióma, ruzzoliamo. 

(a) tran, tuono. | (3) tnaje fòà^ tenaglie roventi. 



— I04 — 

Tute droghe, tuti ònguent, 
Per la grupia dfil cònvent. 
Che bel stél ecc. 

Cól di li tut aut che dMeul 

L'era di d'còcagna; 
A Bergnif j'era na 'n fieul, (i) 

E con pómpa magna, 
A són d' cloche da san Pé 
Lo vória felo batié! (2) 
Che bel stél ecc. 

Su la porta i vdla stampa: 

« REGNO DL'ABONDANSSAI » 
Per fé ben j'ónór d'sòa ca, 

Des diaulot dia ganssa, (3) 
Con ^uant d'seda e braje d'vlù, 

A disio: Passe3[y messieurs. 
Che bel stèì ecc. 

Fait appéna dói tre pass 

Peu vist (ohi che ridel) 
Tamerlan a fé '1 pajass (4) 

E Sansón P Alcide; 
Dói Gesuita, muso franch, 
Fasio vèdde '1 neir per bianch. 
Che bel stél ecc. 

A man cauda con Platon (5) 

Seneca a giugava; 
Sisto Quint con Cicerón (6) 

A s' ambriacava : 



(i) Bergnif^ il diavolo: richiede a padrino l'Apostolo che per tre 
Tolte ha mentito e disconosciuto il Redentore. 

(2) batié^ battezzare. 

(3) dia ganssa, in livrea, con galloni come i servi e gli staffieri. 

(4) Tamerlano gran ICan dei Curdi Tartari invase e conquistò la 
Persia, l'Armenia e l'Asia minore. Vinse e fece prigione il Sultano 
dei Turchi Batanet che dall' assediata Costantinopoli gli corse incontro : 
Io rinchiuse in una gabbia che seco portava nelle sue scorrerie. Lui 
estinto, si sciolse l'impero Tartaro: ma i Curdi si posero al soldo del 
Sultano e furono e sono il grosso nerbo delle sue selvagge milizie. Qui 
Tamerlano rappresenta la forza brutale del militarismo conquistatore 
russo, che si atteggiava a riparatore dei torti e sostenitore d' indipen- 
denza in casa altrui. 

(5) man cauda, gioco di società dai Toscani detto A capo nascondere, 

(6) Di Sisto V papa distruttore dei briganti nella prov. di Roma e 
persecutore di eretici e liberi pensatori scrisse Gregorio Leti la celebre 
storia. Ebbe fama d'incredulo come Leone X. 



— 105 — 

E Giacob fasiilo pà 
Con Medusa la frità (i) 
Che bel stél ecc. 

A traóade un beu a la braise (2) 

(Che famósa lapal) 
Fransesch Prim e Carlo Dès (3) 

A invitavo 1 Papa: 
I Franseiss leccavo i piat, 
Pltalian guernavo *1 gat. 
Che bel stél ecc. 

Balarine e balarin 

Fasio mirabilia. 
San Ginis con so viólin 

E santa Cecilia 
Fròjand già vals e galop 
Fina ^1 diau fasio andé sop. 
Che bel sté! tee, 

Cleopatra dare dPuss 

A fasìa la fola. 
La Madlèna, pover pruss, 

A Pera an pajóla; 
Semiramide a Maómèt (4) 
Scamótava '1 fassólèt. 
Che bel stél ecc. 

D^tirabórse e d'sfrósadór 

Pera dco sóa muda; 
Luis Filip j*eu vist con lór (5) 

Sót brassètta a Giuda. 
A Paris cól eh' a smia chiel 
A Pè '1 diau con so mantel. 
Che bel stél ecc. 

Lafayet, pover minción, (6) 
A fasia da strologh; 



(1) Lepida è la tresca d* un patriarca della Bibbia coli' orrenda ver- 
gine della mitologia Ellenica nell' Inferno Brofieriano. Essa ricorda i 
connubi mefistofelici ideati da Goethe nella 2,^ parte del suo Faust. 

(2) trftàndef trangugiarsi. 

(3) V. Note a pag. 35, 36, 50, 51. 

(4) Semiramide regina d'Assiria. Dante la pone fra i lussuriosi del 
V neir Inferno. I sultani gettano il fazzoletto alla Odalisca preferita 
quando girano per V Harem. 

(5) V. Note a pag. 36, 39, 50, 51, 53. 

(6) V. Nota a pag. 36. 



— io6 — 

Sui barbis d'Napòleòn 

Un famós teologh, 
P(!r salve ^ gener uman, 
A vendia póver d'gabian; 
Che bel stél ecc. 

Alighieri cól ^ babau, 

N'alo inventa d' storie? 
Fé la pònta ai corn d£l diau, 

Che famóse glorie? 
E dco adess Pe condanna 
A mné a spass '1 can dMj fra. (i) 
Che bel stél ecc. 

Cari amis, quand dal lusel (2) 

I vèddré la maira, (3) 
E an s'ia capa dèi fórnel 

A cantra '1 gal dPaira^ 
Gnun sgrisór, gnun bèrgiabau: (4) 
Crèddme, '1 diau a Pè 'n bón diau: 
Che bel stél ecc. 



3 nuiggio 1840. 



^ 



LA GLORIA DEL PARADIS (•») 



Piand la luna pr'ij barbis, 
A Pè nen na cuca, (5) 



(a) Per simmetrica opposizione alla « Ca Gronda » dell' Inferno me- 
dioevale si fa seguire questa Gloria di paradiso bizantina e grottesca, 
onde la plebe si baloccava nella sua rassegnazione alla tirannide cre- 
duta normale e necessaria per guadagnare 1' etema felicità. Pel libero 
pensatore il paradiso è la legittima soddisfazione del travisto Ideale 
e del dovere compiuto realmente in terra ; V inferno è la coscienza del 
dolore meritamente sofferto dalla nostra vita mentre si è vivi. Il concetto 
Brofferiano è chiaro negli ultimi due versi. 

(i) Il cane dei frati è il diavolo. 

(2) lusel^ abbaino. | (3) la magra, la morte. < 

(4) nessun ribrezzo, nessun spavento. 

(5) barbiSf baffi, — Cuea, favola. 



— loy — 

S6n trovarne an Paradis 
A cavai d'na suca, 
Aut che lait e biscótin 
Aut che anglet eh' a fan zin zin. 
Che bel stéi 
Giura papél 
Gloria Ubi domine! 

D'none fruste e bavósa 
I vMio mi ch'ai n'era: 
D'vidóe tisiche, anrabià 
Sachernón che féral 
Quanti quanti marajet (i) 
Ch'a fasio pi-jfi ant A leti 
Che bel sté ecc. 

Splufifrì, magher, sensa dent 
Mes rusià dai giari (2) 
D'vei scracciór un regiment 
A disio '1 rosari: 
Quanti mausser dal capuss 
Oit d'iard, e sporch d'mèrluss! (3) 
Che bel stél ecc. 

Ignórant e i^nòrantei 
S'fasìo tuti avanti: 
D'arcivèsco ai n'era d' bei, 
D'cardinai oh quanti 1 
Pera d'Papa bech-fótù 
Che con cr ostie fasìo d'scù: 
Che bel stél ecc. 

Deputati e senatór 
Scòpassand la dója (4) 
Sul gran càr dij rustìdór (5) 
A fasio '1 Giandója. 
D'ministr aso e gavadent 
A vendio tut sort d'ónguent: 
Che bel stél ecc. 

San Bernard e san Crispin 
Disend vespr e nona (6) 
S' amusavo a pie pr'ij brin 



(i) maro/et, bambini. 
(2) gian'f topi. 



(3) óitt unto. 

(4) cioncando. 



(5) rustidòr, imbroglioni, da ruse francese, astuzia. 

(6) nana^ ora 15 del giorno ed anche Salmodìa delle ore 15» secondo 
il computo delle ore Romane. 



— io8 — 

La baléna d' Giona; (i) 
Dèi diluvi al córnajass 
Sant'Agnes lustrava 'i pnass: 
Che bel stél ecc. 

Con san Luca e so vailèt, (2) 
Compagnia stupenda, 
Sant'Antoni e so pórchèt 
A fasio marenda: 
Pian pianin èl can d'san Roch 
D'capòn freid grinfìava 'n toch: 
Che bel stél ecc. 

Sót a j'eui d'Isach e Abram 
L'aso d'san Nicola 
A la soma d' Balaam 
Vólia fé na spola: 
San Pé vdend cóst badalich 
Giù la stanga sul bórich. 
Che bel stél ecc. 

Gravement asta su 'n such (3) 
A santa Polonia 
El gran strologh Abacuch 
A spiegava '1 quonia; (4) 
Sarà intant mnava pr'èl nas 
£1 re David e san Bias. 
Che bel stél ecc. 

Con Rachel stèrmà Sansón (5) 
Dare d'una pilia 
As sentia poch fìà ai pólmón 
Pr'avei fait vigilia; 
Sisto Quint slóngand '1 col 
A ghignava cóm un fol: (6) 
Che bel sté! ecc. 



(i) òr in, i fanoni della balena. Ricorda la leggenda di Giona profeta. 

(2) vatlètf vitello. — Sòma, asina. 

(3) seduto su di un ceppo. 

(4) quoniam, poiché; principio di molti Salmi Daridici trad. in la- 
tino da S. Grirolamo. — Abacuch^ uno dei profeti minori della Bibbia : 
come Jona sembrò ai fedeli predire la venuta di Cristo e il parto mi- 
stico di una Vergine. Ecco la spiegazione del quoniam, 

(5) stermày nascosto. — Pilia, colonna. 

(6) Per Sisto V, vedi nella Canzone preced. Brofferio lo mette in 
ambe le sedi ultramondane pel suo doppio carattere sacro e profano. 
— Braiava, muggiva. 



— 109 — 

Pr'amusè la società 
Tut brav sant Ignassio 
Con vós faussa da castra 
A 'n tonava '1 passio; 
Per fé ^1 bass sant Isìdor 
A brajava cóm un tor: 
Che bel stéi ecc. 

Dia gran seugn pi gnun durvì 
Pódia le parpeile; 
Chi gratandse Pamburi, 
Chi cóntand le steile, 
Chi rónfand da bón fratel 
Dasio tuti gloria al ciel: 
Che bel stéI ecc. 

Se i póm d'or són per parei (i) 
Che noiósa landa! 
Da Bè'rgnif a stan aut mei ; 
Viva la ca granda! 
Mei la giù con ij diaulot 
Che si dsór con ij bigot, 
Che brut stéI ecc. 



LA REVISION(«) 



Ciut lì; cinto là; (2) 

A Pè temp che pi gnun a neuja; 

LMngegn va sgnacà 

Mentre ancóra Pè mach an greuja. (3) 

Lassandie sèrché 

La ciav dMj perché; 

Tost o tard j'omni a pretendrio 

{a) U ufficio della Revisione, come l' Indice dei libri proibiti sotto 
il pontefice, instituito dopo 1* invenzione della stampa fu ed è ancora 
in quasi tutti gli stati moderni il mezzo più sicuro per far tacere V in- 
visa verità, e nel tempo stesso aguzzare l' ingegno dei pochi scrittori 
sinceri che la tirannide tiene d'occhio. 

(1) per parei f di tal fatta. — Landa^ storia,, nènia. 

(2) zitti qui, zitti là. I (3) mentre è solo in germe. 



— no — 

D'infórmesse perchè ch'ai lio; (i) 
Giù autóri ffiù scritorl 
I 8Òn Revisòri 

Ci ut là; ciuto lì; 

Un bel tase l'è cosa onesta; 

A Pè proibì 

lyavei mióla d'sèrvel an testa. 

Dèfl papa un edit, 

Tut ciair Pà prescrit: 

Che sui liber cól ch'as massa, 

D'paradis a n'avrà na.strassa. 
Giù autóri ecc. 

Ciut lìj ciuto là: 

Mi veui gnune triache d' storia: (2) 

La Grecia sarà 

Butà ant l'indice per memoria. 

S'pódran celebre 

San Paul e san Pè; 

Veule d'pì? S'pódrà fé la cronaca 

Die virtù d'eòi eh' a Pan la tonaca: 
Giù autóri ecc. 

Ciut là; ciuto lì: 

Gnun poeta per la cavagna; 

IVAriosti mai pi; 

I Petrarchi stago ant sóa bagna. 

J' Alfieri a saran 

Tnajà per mia man; 

Ma per nen che tuti 's lamento, 

Butreu '1 visto sòt al Memento, (3) 
Giù autóri ecc. 

Ciut lì; ciuto là: 

Filosofìa che '1 diàu la pnassa; 

Felice l'età 

Che i fìlosof rustivo an piassa, (4) 

(i) perchè vengono legati e cacciati in carcere. 

(2) V. Nota l.* pag. 40. 

(3) « Memento homo quia pulyis es et in pulverem reverterìs » , sono 
le parole che la Chiesa ricorda ai fedeli il di delle ceneri. 

(4) Ricorda i roghi che la Chiesa accendeva per punire i filosofi che 
osavano dissentire dalle sue teorie: p. e. Giordano Bruno da Nola, 
tratto vivo sul rogo in campo di Fiori a Roma il 17 feb. 1600, reo di 
aver professato la Filosofìa Naturalistica e richiamato in onore la plura- 
lità infinita dei mondi, il sistema di Copernico, di essere stato protetto 
da Enrico di Valois ( ucciso da Jacques Clément), e da Elisabetta regina 
luterana d* Inghilterra, contro cui la Chiesa ordiva insidie ogni giorno. 



— Ili — 

Rasón e progress? 
Su prest dòi prócess: 
El sublime, per c6i ch^lo pèsco, 
Pelo nen ant^ij scrit dèi vèsco? 
Giù autóri ecc. 

Ciut là; ciuto li: 

Con ste industrie, con ste mecaniche. 

Dóv* vanne a finì 

Còste chimiche, coste botaniche? 

Pur trop a lo san. 

Che Perba a fa '1 gran!^ 

Per salvesse elo necessari 

D^guardè tant sot al bech dMj giari? (i) 
Giù autóri ecc. 

Ciut lì; ciuto là: 

Chi elo cól ch'am parla d^gazètte? 

Gaztè van brusà, 

O pr^èl manch a van fait a fétte, 

D' cicuta un bicer 

Ai va al Messagier; 

Eccession resta sótinteisa 

Per la Gazè'tta Piemónteisa. (2) 
Giù autori ecc. 

Ciut là; ciuto lì: 

Gnun offenda la mia modestia; 

Lo seu ben dco mi, 

Ch'j'eu Pónór d'esse na gran bestia: 

S'j'eu eros e pensión, 

SM són lo chM són, 

L'è che in gener, numer e caso, 

Peus giure eresse franch un aso. 
Giù autóri ecc. 



9 aprile 1840. 



(i) giariy topi: cercar tanto l'origine delle cose? 
(2) // Messaggero Piemontese fondato da Brofferio, — La Gazzetta 
piemontese^ giornale ufficiale d'allora. 




'à9k 



— 112 — 



LA CIARLATANERIA 



Stóf d'esse gheu, d'esse manan, (i) 

D'rampieme ans na sòffiètta, 
Sòn patentame ciarlatali, 
Con piffer e trombétta: 
Són vdume a cóst mònd, 
Grass, gross e rótónd, 
Próvist d'impertinenssa. 
Tan tan e tin tin. 
Tabass e cióchin: Oz) 
Dventóma un' Ecceilenssa. 

Pr'esse impiega són fame fé 

Gran pruca e gran gualdrapa; 
Són dventà branda pi ciie '1 Re; (3) 
Catolicti pi che '1 Papa. 
Batendla da fol, 
Stórsend ben '1 col, 
D'impieg clii restio senssa? 
Tan tan ecc. 

Pr'avei d'talen j'eu bèrlicà (4) 

Porte, ripian e scale; 
Dsór na carétta i són mónta, 
Vendend pasta d'timbale: (5) 
E subit un bel 
Compare bindel (6) 
M'à fame un póss d'sapienssa. 
Tan tan ecc. 



(i) L'Autore fìnge di mutare opinione, stanco di esser misero e ta- 
pino. — Guetix, i famosi pezzenti che liberarono le Fiandre dalla ti- 
rannide di Filippo II e della Spagna nel 1500. — Manitnti sono i 
servi feudali della gleba: Obbligati si dicono nell'alto Novarese, cioè 
costretti a rimanere nel feudo e non allontanarsi. 

(2) tamburi e campanelli. 

(3) branda^ V. Nota a pag. 17. 

(4) berlicà^ ho leccato. 

(5) timbala, sfogliata vuota cotta al forno, in forma di timballo, che 
si riempie di selvaggina o di dolciumi. 

(6) bindel, nastro, decorazione. 



— 113 — 

Per feme strà 'n mes ai cancei, 

Pr'avei d' vèsti eh' a luso, 
Peu seguita ij spacia-fórnei, 
Im són vlupà d'caluso; (i) 
Són fame sótror 
Dèi gas^ dèi vapor: 
A bass Pintelligenssal 
Tan tan ecc. 

Che talentón ch'ha Pa sor Cónt, 

Me cap al ministeri; 
Mi lo proclamo pr* èl Piemónt 
Un Verri, un Filangeri; (2) 
Bragalo da si, 
Tapagio da li: 
Prèst una ricómpenssal 
Tan tan ecc. 

Spedi a Varsavia in legassión, (3) 

Per diverti Nicola, 
Peu recita da Pantalón, 
Con intermes d'subiòlà. 
L'Europa m'à vdù 
Fé Per DO fórchù; 
Che ónór, che gloria immenssal 
Tan tan ecc. 

Da diplómat fait ciambèrlan, 

Con fioch e bròdaria, 
Sareu ministr fórse dóman, 

Pr'èl ben dia monarchia, 



(i) mi sono accostato ai partito nero o reazionario, dicliiarandomi 
contrario ai progressi dell'odierna civiltà. — Caluso^ caligine. 

(2) Il Conte Pietro Verri cugino di Beccaria, direttore con esso 
del Giornale degli Economisti Milanesi detto « // Caffè > , autore della 
Storia di Milano, promotore nel 1750 d'ogni riforma civile. — Il Duca 
Filangeri sotto Carlo IH, primo re delle due Sicilie di casa Borbone, 
scrisse il Trattato della Legislazione coli' impronta severamente liberale 
data in quello stesso secolo dal Montesquieu in Francia agli studi sto- 
rici del Diritto. 

(3) Varsavia nel 1815 divenne capitale della' Polonia, dipendente 
dalla Russia. Nel 30 vi scoppiò la rivoluz. contro quella potenza, e 
poi d'allora fu sede del nuovo governo nazion. polacco. Assediata dalle 
truppe di Nicola 1 di Russia nel 1831, si arrese 1' 8 sett. dopo lunga 
resistenza. — Qui il Poeta vuol dire: Con un po' di spionaggio nel- 
l' intermezzo fra una ed altra diplomatica pagliacciata e col far due 
parti in commedia, infingendomi coi liberali per tradirli, otterrò un bel 
giorno le più alte cariche dello stato. V. pag. 100. — Gheusaiot plebaglia. 



« I 



— 114 

Su, vnime inchiné, 
Gheusaja ch'i sé: 
Viva la Próvidenssal 

Tan tan e tin tin, 
Tabass e cióchin: 
Fé largo a un'Eccellenssa. 



14 aprile 1840. 



\ 



L'OSCURANTISM 



Dan, dan, su, Francescan, 

Ordin d'Róma, (i) 

Sepelióma; 
Don, don, su, Tómalón, 
Sepelióma la rasòn. 

Veddve nen cóm èl Piemónt 

A sgambila 

Pr'ij Gesuita, 
E sul Po, guardò che affrónti 
Al Spielbergh as clama ìj cónt? (2) 
Dan, dan, ecc. 

A cómenssa già a pensè 

La gheusaja. 

La plebaja; 
S'un la lassa ancóra fé, 
Vorrà fina rasónè. 
Dan, dan, ecc, 

Già dai preivi, già dai fra, 
Pè chi crìa 
Ch'as dóvrìa 



(i) Ordine di Roma. Espressione elittica degli esecutori materiali d'un 
decreto superiore : Per ordine del Papa che dice e manda di seppellire 
r umana ragione ai diversi Frati conventuali. — Tómalón^ ordine fra- 
tesco di S. Tommaso d'Aquino. 

(2) Si chiamano i conti allo Spielberg per i molti martiri dell'In- 
dipendenza Ita], che l'Austria vi teneva rinchiusi con Silvio Pellico. 



— "5 — 

De P esempi dia bontà: (i) 
Ma guardé che iniquità I 
Dan, dan, ecc. 

Già gran Mastri e ^ran Scudè 

L'an d* memorie, 

D' citatorie : 
A dóvran, i lo vèdrè, 
Fina i debit sóddisfè. (2) 
Dan, dan, ecc. 

Cosa sónne costi gas, 

Ste lucerne, / 

Ste lanterne? 
Chi elo nen già persuas. 
Che trop ciair fa rompe '1 nas? 
Dan, dan, ecc. 

Cosa sónne, dilo vói, 

Sti caprissi 

D*fè a'óspissi? 
Per des pover tan patói? 
Bastlo nen ch^i sio rich nói? 
Dan, dan, ecc. 

Pè già d' machine a vapor, 

Già d'gazètte, 

Ch'an dan d' fette 
D' prosa e vers cóntra Perror, 
E eh' a lodo nen Mónsgnór. 
Dan, dan, ecc. 

S'veul butè i beu dnans al chèr, (3) 



(1) li prete Lammenais in Francia e Gioberti esule prete Piemon- 
tese invocavano la tolleranza delle opinioni. 

(2) L* insolente borghesia osava ai tempi di re Carlo Alberto muovere 
lite avanti i tribunali contro i nobili debitori. Non più vista baldanza 
dopo la Restaurazione e la cacciata dei Francesi. Vedasi la Vita in 
capo al presente libro e il 4.° e 5.** voi. de* Miei Tempi. — Usava la 
Corte prima d' allora rilasciare dei e biglietti regii » ai cortigiani più 
favoriti, mediante i quali il sovrano e di certa scienza e piena autorità » 
dichiarava il condono di ogni debito e 1* esenzione da ogni indagine ed 
atto giudiziario pel maggior decoro della casta e per la conservazione 
dei patrìmonii nobiliari. Male ne incolse ai creditori insistenti che 
provocavano questi biglietti. 

(3) Cosa naturale ; ma appunto perciò contraria alle istituzioni retro- 
grade. — Leghe : miglio francese, maggiore dei nostri ; farsi trasportare 
dal vapore colla rapidità che si racconta delle streghe accorrenti sopra 
una scopa al Sabbato nei conciliaboli con Satanasso. Anche G, Car- 
ducci paragona il vapore a Satana e alle streghe, alla forza vindice 
della ragione^ in quel suo celebre Inno. — Gherl in guardia, Attenti! 



— ii6 — 

S' veul fé d' leghe 

Cóm le streghe; 
Guai s'a deurvo na stra d'ferl 
Pr'andè avanti an crjiran : Ghèrl 
Dan, dan, ecc. 

Per pódei scarte bagat, (i) 

Cabalóma. 

Di^tissóma; 
Giù ij scritór, giù j'avócat: i 

Póma d'sant, lóma d'beat. | 

Dan, dan, ecc. 

4 settemòre 1839. 



GIÓAN CH'A RID 



GIOAN CH'A FIORA («) 



La strà dia vita^ ohi eh' a Pè cara, 
Che bei giardm, che prà fiorii 

Ihl ihl ihl ihl ihl 

Ihl ihl ihl ihl 
La strà dia vita, ohi eh' a Pè amara. 
Che bussón d'rónze e d'gratacùl (2) 

Uhi uhi uhi uhi uhi 

Uhi uhi uhi uhi 



(a) Gli scultori di bambocciate, specie i figurinai di Lucca e molte 
incisioni grossolane sparsero pei mercati di quel tempo le due figure 
già fin dall' antichità popolari dell' uomo che piange e de IP uomo che 
ride (Eraclito e Democrito) sotto il nomignolo di Gianni. La piccola 
borghesia ne ornava le mensole dei caminetti: era in arte decorativa 
il tempo della fredda antitesi e della simmetria. — Qui bellamente si 
berteggiano i popoli incostanti in epoca di transizione, mutabili ad ogni 
evento, e si scherza con amarezza sulla instabilità della fortuna. 

(1) Tratto vietato nel giuoco del tarocco: Non si possono scartare 
gli onori che sono : i 4 re, bagatto, il matto e l' angelo. £ qui : im- 
broglio, sottrazione indebita di documenti o di prossime o di acquisite 
vittorie liberali. — Destissóma, spegniamo i lumi del progresso. 

(2) gratactii il calice della rosa spoglio di petali, pruriginoso al tatto 
quando si spezza. 



I sòn cóntent dia specie umana, 
Peu disnà ben, j'eu ben durmì, 
' Ihl ih! ecc. 

Ma j^eu la tóss, j'eu la mingrana, 
Pomni, oh che povrì patanù: 
Uhi uhi ecc. 

Tut as rifórma, tut a smia 
Prónostichéne un bel avni: 

Ihl ihl ecc. 
Ma '1 Véisco a stampa un omelia, 
Ma i córtisan parlo d* virtù: 

Uhi uh! ecc. 

A dan '1 sbrat a Carlo an Spagna, (i) 
Miguel a Roma as rusia i di; 

Ihl ihl ecc. 
Ma ì Pólóneis són ant la bagna; (2) 
Ma ij Italian a són fótù: 

Uhi uhi ecc. 

Dia libertà sót la bandiera 
Esse scritór, ohi che piasi: 

Ihl ihl ecc. 
Ma padre Grossi, hol che mal doperai (3) 
Ma don Pullin, che salam crùl 

Uh! uhi ecc. 

Già j^accademich basso j'ale, 
I ciarlatan a són bandì: 

Ihl ihl ecc. 
Ma i caplón largh monto le scale. 
Ma y Agnus Dei s'ambóro d'scu: (4) 

Uhi uh! ecc. 

Pavóma d'iegi, o che delissial 
Ogni dói meis, ogni dèi di: (5) 
Ih! ih! ecc. 



(1) V. Nota 4.^, a pag. 99, e Nota 2.'^, a pag. 35. 

(2) V. Nota a pag. 113 (Varsavia). 

(3) Padre Grossi e Don Pallino erano a quel tempo ì capi della 
Censura Arcivescovile. L* esiglio di Gioberti fu opera della loro in- 
fluenza a Corte. 

(4) s' imbottiscouo di scudi come le sedie s' imbottiscono di stoppa 
(Ital. borra). 

(5) Arte antica lo seppellire sotto una valanca di leggi nuove e con- 
tradditorie le aspirazioni popolari all' eguaglianza ed alla libertà. Dante, 
Purgatorio, VI, sul governo di Firenze : fai tanto sottili Provvedi' 



— ii8 — 

Ma dai Pilat ch'an fan giustìssia, 
Oh che sentensse a fioco giùl 
Uhi uhi ecc. 

Mach UQ to s^uard, o Carolina, (i) 
D' cónsólassión am fa languì: 

Ihl ih) ecc. 
Ma j'è pèlr strà na carafina 
Con un decot d' malva e d'sambu: 

Uhi uhi ecc. 



9 settembre 1839. 



i^ 



LA MARMÒTA(«) 



Con sóa pcita cassiè'tta, 
E con so pcit fagót, 



mentit cK a mezzo novembre Non giunge quel che tu éP ottobre fili. 
Allusione maliziosa alle riforme liberali abortite tra ì ma^ i y^, e i 
forse della politica seguita dai ministri di Ciarlo Alberto tentennante 
fra la paura e la speranza, da cui molte Regie Patenti ed infìne il 
Codice Civile Albertino (i genn. 1838), che conservarono i privilegi 
di caccia, pesca, servitù militari, i maggiorascbi, i fedecommessi, le 
immunità del clero dai giudizi criminali, la sorveglianza religiosa sul- 
1' Università e tutto il vecchio sistema caduto poi colle riforme del 1848. 
Le dubbiezze, i vacillamenti del Carducciano Amleto non potevano essere 
con più concisione raffigurati. I coetanei capivano T allusione pericolosa. 

(a) La storia della Linda di Chamounix musicata da Donizetti su 
libretto di G. Rossi espressa in litografìe del genere molto sentimen- 
tale nella fredda maniera di disegno a quei tempi in voga diede il 
soggetto a questa Ballala, — I piccoli montanari scendevano allora 
dal Moncenisio con una cassetta o gabbia della marmotta dimestica ed 
avvezza ad alcuni giòchi al zirlio monotono d' una ghironda. Se ne 
vedevano ancora per Torino dinanzi ai caffè e lungo i portici stessi 
dell* aristocratica Piazza Castello accattare il soldino dagli sfaccendati. 
— La Bonne fille, ou les Moeurs du temps, tra le prime canzoni di 
Bèranger (1812), può aver dato una lontana idea del fondo satirico su 
cui 1* argomento anedottico di questa canzone s* aggira, che in sostanza 
è questo: Le figlie del popolo sono destinate al divertimento dei ricchi, 
e 1' esosa e minuta sorveglianza dei governi tirannidi è pretesto aPmal 
costume dei loro funzionari. 

(I) Passaporto Brofferiano alle satire polìtiche. L'amore è gioia e 
tormento. La graziosa e inattesa trovata della fine lascia il lettore sor- 
rìdente, se anche il pungolo delle rime precedenti fosse giunto fino a 
lui e toccasse proprio lui. 



— 119 — 

Cariota, già grandétta, 
A chita so ciabót. (i) 
Povra, povra Cariota, 
A va cantand per strà: 
Un sold pifr sóa marmota 
Un sold per carità. 

Móstrand sóa béstiolina, 
Da Susa a Bussólin, (2) 
Carlotta s'ancamiha 
Bel bel an vers Turin. 
Povra, jpovra Cariota, 
Turin a Io vedrà: 
Un sold ecc. 

A péna su la porta, 
Tut brusch un Prepóse, (3) 
Sóa bestia, o viva o morta, 
Veul vèdia a nom dèi Re. 
Povra, povra Cariota, 
El dàssi a va paga: 
Un sold ecc. 

Nufìà da coi brut giari, (4) 
A va ^n palass d^sità, 
Le bestie, sòr Vicari, (5) 
A veul eh' a sio cónsgnà. 
Povra, povra Cariota, 
La rvista a Pa passa: 
Un sold ecc. 

Sòr Còmandant la ciama, (6) 
E chila, con j'eui bass, 
A va 'n palass d' Madama 
A fesse bóle '1 pnass. 
Povra, povra Cariota, 
El crót Pà visita: 
Un sold ecc. 

Són nen fìnie le neuje, 
A venta andè an Vescuà; 



(1) abbandona il suo tugurio. 

(2) Bussoleno, villaggio a Sud di Susa. 

(3) Guardia daziaria. | (4) giari^ topaccio delle cantine. 
(5) V. Nota 2.*, paR. io e 24. 

(6ì Comandante di Piazza, autorità militare e civile ad un tempo. 
Risiedeva nel Palazzo Madama dalla parte di via Po. — Pnass, è la 
coda pelosa della marmotta. — Croi, erotto o erottone sotterraneo delle 
torri di detto palazzo. 



— I20 — 

Mónsgnour tute le bgeuje 

A veul eh' a sio batià. (i) 

Povra, povra Cariota, 

Pilat a Pà sciairà; (2) 

Un sold ecc. 

Sbriga coste faccende, 
A va giù d* cóntrà d' Po 
Ma d' bestie ai n'è da vende, 
Con guant, eros e grilò. (3) 
Povra, povra Cariota, 
Da gnun a Pè guarda: 
Un sold ecc. 

A va 'n piassa Carlina, (4) 
A va eia San Tóma; 
Là 's parla d' ghiliótina, 
E si.d' mèsse para. 

Povra, povra Cariota, 
Pia d' mes da sbiri e fra : 
Un sold ecc. 

Vdend che la péna a sgaira, (5) 
A va vers al Senat; (6) 
Sóa bestia l'è trop maira, 
Pèir piase ai avócat. 

Povra, povra Cariota, 
La toga a Pè afaiià: (7) 
Un sold ecc. 

Vóltand a la man'drita, 
A va tut giùj tut giù; 
As treuva dai Gesuita, (8) 



(1) bgeuje^ o meglio bigieuje (fr. bijoux), immagini, figurine sacre. 
— Batiàf battezzate, in senso di benedette. 

(2) Assomiglia l' Arcivescovo nella sua curiosità licenziosetta a Pilato 
quando interrogava Cristo e voleva che gli spiegasse che cosa era la verità. 

(3) V. Nota 2.% a pag. 15. 

(4) In piazza Carlo Emanuele II avevano i Francesi nel loro breve 
dominio collocato, quando occorreva, 1* orrìbile palco di Guillotin. — 
U antitesi dei poteri secolare ed ecclesiastico uniti ad opprimere la pò- 
vera gente risulta più viva dalla seconda parte della strofa. 

(5) sgaira, spreca. 

(6) V. Nota 3.* a pag. 23. 

(7) a fatta, conciata, come si fa per le pelli; e qui: il cuore dei Cu- 
riali non sì commuove a pietà. 

(8) Il Collegio dei Gesuiti era presso la chiesa del Carmine dov' è 
ora il Collegio Nazionale. La Ciiiesa propria dei Gesuiti coi claustrì è 
quella dei SS. Martiri in via Garibaldi. 

In ambi i siti poteva trovarsi quel signore dall'aspetto cosi mellifluo. 



-T- 121 — 

E a ved un bel mónsù. 
Povra, povra Cariota. 
As sent a manche '1 fia: 
Un sold ecc. 

Cól Sgnór con aria dóssa, 
Guardandla a dis: — Che pcài 
Cariota a d venta róssa, 
E chiel si' a ména a cà. 
Povra, povra Cariota, 
Sócórs a l'à trova: 
Un sold ecc. 

Bón cóm na pasta frola. 
Cariota, a dis còl Sgnór, 
Fa vè'dde tóa bestiola; 
E chila: — Trop ónórl 
Povra, povra Cariota, 
Dov'ela capita? 
Un sold ecc. 

Tuta piórósa e smorta, (i) 
Cariota, a Pindòman, 
L'an vdula fora d' porta. 
Con so fagot an man. 
Povra, povra Cariota, 
D'Turin as ricórdràl 
Do v' eia sóa marmota? 
Un sold per carità 1 

IO febbraio 1842. 



(i) Con lirico sbalzo il poeta sorvola sull'immorale attentato dell* ipo- 
crita che forse era segnato a dito per simili imprese. L' immagine della 
derelitta che aperse gli occhi ritornando dalla città non potrebbe essere 
più suggestiva. 




— 122 



DÓPIA FESTA («) 



A Pera mesa neuit, Paria a soffiava, 
E a vnia giù na pióvè'tta fina, fina, 
Ch'un avria dit ch'Nòsgnór a la filtrava: 

Mentre an piassa d'San Carlo con la fliha (i) 
A montava la guardia un fassiònari, 
P6r nen che '1 cavai d'bróns vólteis la scbina. 

Tut nèch e pensierós e solitari, 
Spasgiand su e giù, sia piava con A ciel, 
Con A ciel sempre sórd ai nostri sgari. (2) 

E da un palass, ch^a Pavia li dnans chiel, 
Vedend carosse andè, carosse vni, 
DM) viólin e d'ij flaut al ritòrnel, 
L'à mónta '1 scióp e a Pà parla così: 

— Sót la steila d'ij crussi, ai pé d'na ról, (3) 
Vnu al mónd con la scomunica d'i gheu, 
Me prim sens, povra mare, a Pè stait còl 
D'vèdde ti senssa teit e senssa feu; 
Senssa un toch d' pan mufi da tnite an pé, 
Senssa un Strass da curvite al meis d^gè'né. 

(a) Una nota delle prime ediz. curate dalP Autore riferisce : < Diede 
occasione a questi versi il suicidio di un soldato in sentinella sotto il 
palazzo dell'Accademia Filarmonica, dove seguiva una festa da ballo 
negli ultimi giorni del carnovale del 1843 *• ^^^ (aHo storico risulta 
r originalità della poesia che assorge alle altezze della lirica Vittoru- 
ghiana. Quel palazzo è in piazza S. Carlo N."" 5, angolo a Nord con 
via S. Filippo. Edificato dai marchesi di Caraglio nel seicento, rifab- 
bricato coi disegni di Bencdc^tto Alfieri, ha un salone ampio di circa 
200 metri q. con soffitto decorato da Bernardino Galliari, ed altra gran 
sala nel 1838 edificata pei balli dall' Archit. Talucchi, quando l'Ac- 
cademia vi portò la sua sede. 

(1) Flina, rabbia concentrata. L'inutilità di quella guardia in città 
civile è tratteggiata dal verso che chiude la terzina. — Cavai d*òr6ns^ 
il monumento equestre ad Emm. Filiberto che è in mezzo alla piazasa, 
opera impareggiabile del Marocchetti inaugurata iJ 4 nov. 1838. V. 
Nota 4.', a pag. 49. 

(2) sgari, grida. 

(3) crusst't corrucci, affanni. — Ai pé €t fta ról, sotto un rovere: il 
poeta immagina un parto affrettato nella foresta da qualche giovine 
Moscaiuola abbandonata. 



— 123 — 



Vós dal Palass. 

Gòdòma fieui, 
Gódóma ancheui, 
Gòdran dóman 
Coi ch'ai saran. 
Bóndi dolor. 
Sagrili bóndì, 
Viva Pamor, 
Viva '1 piasi. 
La la la la 
Balòma, cantóma, 
La la la la, 
Giugóma, ndóma, 
La la. 

- Pavia mach ti a có-t mónd, propi mach ti, 
E rusià dal arsenich dMj magÓD, (i) 

Peu dvute, d'pena e d'stent, vèdde muri 
Dsòr na povra sóffiétta ans un pajón; 
E con d' lacrime d'sang, d' lagrime amare, 
T^m'as dit: — Bondì, Garlin, pensa a tóa mare: 

Vós dal Palass. 

Borgogna e Rèn 
Su ^1 bicier pièn, 
Trincand parei 
As ven mai vei. 

Bondì dolor, ecc. 

- An cesa ogni duminica i sentia 
Prediche dal cura ch'j'omni, an sóstanssa 
A són tuti fratei eh' vivo an tamia, 

P omini me fratei? Che fratellanssa! 
I marsapan per lór, per mi i luin, (2) 
Lór an carossa, e mi 'n pastura ai crin. (3). 

Vós dal Palass. 

Che immèns bónheur, 
O me bel cheurl 
Amand cosi, 
As meuir mai pi 
Bóndi dolor, ecc. 



(I) magón, afianni. | (2) luin^ lupini. | (3) erin, maiali. 



— 124 — 

— Da chi andè? Chi implorò? DA cheur, dia testa, 
DI' anima cosa féne giù da si? 

A Pè grassia, a l'è ffrassia manifesta 
Che gnun am fassa lié per so piasi, (i) 
Dunque?... Ma j'eu dói brass... Póma '1 sóldà; 
Na baia d'sciop, e tut a finirà. 

Vós dal Palass. 

Dòi laver d'mel 
A deurvo '1 ciel. 
Che car sóris 
Da paradisi 

Bòndi dolor, ecc. 

— Na baia d'sciop?... Si, ciapla. A l'è passa. 
La stagión del córage e dèi valor. 

I re, pallid in faccia, a Pan giura, 

Per sgòssé i popol, d'nen pè'ssiesse lòr; (2) 

E pr'un pò ver sóldà tuta Pentrada 

A cónsist ant èl crot e ant la vèrgada. 

Vós dai Palass. 

Sent scu sul re... 
Chasse^^ croise!{,„ 
El fant Pè bón... 
Grande chaincj grand rond,., (3) 
Bòndi dolor, ecc. 

— Sapienssa, civiltà, móral, progress, 
N'eve ancóra die cuche da inventè (4) 
Per ch'im vèdda sgìaflà, deris, óppress, 
Senssa gnanca '1 sólev d'pódei piórè? 

E mach ch'i banfa, a nom del Re e del Papa, 
Pè lì '1 boja eh' m' impica e ^1 diau eh' am cìapa. 

Vós dal Palass, 

Schume e sórbèt. 
Si '1 cabaret. 

(1) li/, incatenare. 

(2) pessiesse, pizzicarsi, malmenarsi tra di loro. — Crot, prigione. 

(3) Si gioca a palazzo puntando somme ingenti sopra una carta. In- 
tanto il direttore del ballo ordina le figure dei lancieri. 

(4) ' cuche, menzogne credute. — piòré, piangere. — banfa, solo che 
io fiati. 



— 125 — 

Punch e caffé, 
Vèrse, vèrse. 

Bòndì dolor, ecc. 

— Smens d^vipre, ni d'scórpiòn, tane d' pantere. 
Da già ch^a l'è dèstin ch'i peussa nen 
Sgnachéte, o società, cóntra le pere, 
D' costi quattr'oss sòn mi padron almen: 
A l'è ampess ch'i sospiro, ampess ch'i smanio... 
Baie, cari fratei, mi 'm brùso '1 cranio. 

Vós dal Palass, 

Gódóma fieni, 
Gòdóma ancheui, 
Gòdran dòman 
Coi ch'ai saran. 

Bòndì dolor, ecc. 

L'alba spòntava in ciel seréna e pura, 
E quasi ai pé dia scala i fortuna. 
Che stanch dèi bai spètavo la vitura, 

Sòn vdusse li un cadaver sfigura... 

— Dì, Giòan, cos'elo so?... — Niente Eccellenssa ; 
Un brav om eh' le sèrvéle a s' è brusà. 

— Che impertinenti... Còntrà dia Providenssa. (i) 

(I) Elogio funebre detto dal padrone che scende le scale, sale in 
cocchio e comanda al servo di condurlo in via della Provvidenza. Chi 
osò lordare del suo sangue il vestibolo dell' Eleganza non meritava 
altro estremo saluto! — A nessuno sfuggirà il tragico sarcasmo di 
queste ultime strofe, che, pronunziate dieci anni prima della rivoluz. 
quarantottesca, quando ancora un sogno pareva la libertà costituzionale 
e r indipendenza d* Italia, preludevano alle future e più diffìcili lotte 
del quarto stato per V uguaglianza sociale. Esse ci fanno sentire i fre- 
miti dell'impotente, disorganata anarchia, per cui ultimo rifugio è l'an- 
nullare sé stessi per non uccidere altrui; come succede spesso nell'agi- 
tata società dell' impero Russo. — Ricordiamo che mentre BroSerio 
pensava questa Elegia^ o poco prima, spirava consunto da disperata 
filosofia il maggior poeta del secolo, Gtac, Leopardi^ ispiratore dei 
nichilisti. — La mente ricorre pure alla superba ode di Victor Hugo 
€ Pour les pauvres^ allo splendido « Congedo t che inizia il voi. dei 
Levia Gravia di Giosuè Carducci^ ed allo squisito Sonetto di Stec- 
chetti Quando lettrice mia^ quando vedrai Impazzir per le strade il 
carnevale^ ecc. 



— 126 — 



LITANIE PR' I ME MAI («) 



AhiI ahil ahii ahi! ahil ahii 
Per Diol l'è giust s'i crio. 

Ahil ahil ahil ahil ahil ahil 
O quanti, o quanti mai! 

Rusià dal dolor d' testa 
La seira e la matin, 
L*è inutil chM tempesta 
Con d' cassia e con d'succin. (i) 
A venta ch'itn prepara 
Dal mónd a pie cóngé. 
Feme porte la bara: 
San Roch, ora prò me, 
Ahil ahil ecc. 

Da Inspruck ai ven na bisa (2) 
Ch'a filtra *n mes a poss: 
LMtalia a Pè 'n camisa, 
E a Pà ^1 catar adoss; 

A forsa d'cólp d'iansètte, 
La veulne pa sótrè? 
Mi i bato le bròchè'tte: (3) 
Sant'Ana, ora prò me. 
Ahil ahil ecc. 

I fra tórno a fé mióla; 
J' abati a tórno grass; 
Da Róma ai va na bòia (4) 
Fina per bógiè ^1 pnass. 

D'amor, d'fede, d'speranssa 



(a) Canzone politica. I mali del Poeta sono quelli della patria e della 
libertà. 

(i) succin, ambra, rimedio dell* antica farmacopea. — Bara, cataletto. 

(2} òisOf brezza. Allude alla dominaz. Austriaca e agli ordini che 
venivano in Italia di comprimere le aspirazioni. Se Carlo Alberto o il 
Gran Duca di Toscana accennassero a qualche riforma, ecco subito le 
rimostranze del governo imperiale a sfreddare quel pò di ardore. 

(3) io batto le bullette, batto i piedi per il freddo {òróché'te, chio- 
dini da scarpe). 

(4) Bolla papale, o decreto pontificio per poter muovere la coda anche 
ai più reazionari o codini occorreva, ironicamente, s* intende, e con 
doppio senso. 



— 127 — 

Un sent mach a parie, 
Mi atn ven un gran mal d'panssa: 
San Stevo, ora prò me, 
AhiI ahii ecc. 

D'acant al seminari 

As fabrica un quarte; 
Da là j^è d' missionari, 
Da si d'carabiniè. 
O gran bontà paterna, 

Ch'am strens dnans e darei 
Peu na cancrèna interna: 
San Giaco^ ora prò me. 
Ahi! ahiI ecc. 

U inge^n, per gof eh* a sia, 
Ape subit premia. 
Chi scheurva una chuchia (i) 
Le eros vèno a pala. 

Ma arrivlo chMm própófia 
D' riflette, dorasene?... 
Che tós, che tós birbóna! 
San Giors, ora prò me, 
AhiI ahil tee. 

Con un colar da preive 
E un frach da liberal, 
A 'f è chi *m veul fé beive 
DMj ólóch al gran botai. (2) 
D' filosofie con d'Papa? 
D* repubbliche con d'Ke? 



(i) Allude alla preferenza che i governi despotici danno alla archeo- 
logìa, alle accademie, agli studi aridi, alle contese bizantine, sulle scienze 
economiche, politiche e sulle buone lettere educative dei popoli e.... 
pericolose. Con tuttociò, le idee di libertà e di eguaglianza trovarono 
sempre modo di aprirsi una via. Le scienze, le arti e le lettere con- 
ducono a riflessione. I Congressi scieniìf, del 1844 valsero sovente ad 
affiatare tra loro i maggiorenti d'Italia e prepararono il tracollo del- 
l'Austria nell'Opinione pubblica, come V Accademia del Cimento pre> 
parò la caduta della superstizione e le future rivendicazioni sotto i 
colpi dell' Enciclopedia e dell' Accademia Francese, 

(2) bere alla gran botte dei numerosi allocchi. Alludeva ai Neo-Gnelfit 
alla politica dei Manzoni, Balbo, Gioberti, Sclopis, Tommaseo, che s' il- 
ludevano (come oggi i neo-cattolici e i Moderati milanesi filosofi alla 
Negri e i socialistoidi democristiani) di conciliare il progresso civile, 
l' indipendenza e la libertà degli Stati divisi d' Italia colla egemonia 
del Pontefice in una grande Federazione monarchica. 



— 128 — 

Ohimè 1 ohimè 1 ch'am scapa! 
San Luca, ora prò me. 
AhiI ahi! ecc. 

O Grecia, o fìa dia gloria, 
A Parme it ses tòma? 
Córage, e la vitoria 
DP Europa at vendichrà. 

T' vè'dras, d' sóa vii ripulsa, 
I troni vergogne, 
Peu P anima convulsa, 
San Carlo, ora prò me, 
Ahil ahii ecc. 

E nói, sarala dita 
ChM meuiro sbèrgnacà? 
Su, Ivòmse d'ant la nita: 
Viva la libertà 1 

Italia, a ti, a ti sóla 
Me sang veni cónsacrè... 
Ahi I eh' i sòn pia a la góla. 
San Bias, ora prò me. (i) 
Ahil ahil ecc. 

4 faggio 1840. 



VIRAI VIRAI 



Dop tant temp che dPesistenssa 
It rubate sul sente, (2) 



(x) Il Poeta narratore delle Scene Elleniche finge entusiasmo per 
un prossimo intervento degli Stati d' Europa nelle convulsioni del no- 
vello regno di Grecia lottante contro il Turco. — I claustri di San 
Carlo accoglievano i Gesuiti: raccomandasi a loro in senso ironico. — 
Avendo poi alzata la voce in nome della libertà italiana, la censura 
gli stringe la gola e gli strozza il pericoloso grido. — San Biagio bene- 
dice la gola in febbraio ai tossicolosi. — Con questa inattesa conclu- 
sione la canzone popolare, che già s' innalzava alle altezze dell' inno 
Leopardiano per la Grecia e per l' Italia ( L' armi 1 qua l' armi ! io 
solo ecc.), ritorna al suo primo istituto, che è di muovere a riso. 

(2) it ruòdte, ti trascini. 



— 139 — 

Buratin dia Próvidenssa, 

Cosa yeustu ancor spere? 

Va da snìstra, va da drita, 

Scaudte al sol, o sta ant la nita, (i) 

Cor al fum, o tente al rost, 

Vira, vira, 

Gira, gira, 
T'ses peui sempre a Pistess post. 

Dal palass a la cabafia, 
Dal sapient al lasagnòn, 
Ij destili dia rassa umana 
A l'àn tuti un sòl cavión. (2) 
Dventa Prinsi, dventa Papa, 
Pia la piuma, o pia la sapa, 
Dis d^ fandonie o d' pater nost, 
Vira, vira, ecc. 

Veustu ancor dia pó^ia 
Core apress ai parpajòn? (3) 
Pi gnun seugn; filosofia. 
Porta si to lant^nón. 
Ah I filosof die ciapè'tte, ^4) 
Sastu nen.che mach d' bluètte 
El bónheur a l'è compost? 
Vira, vira, ecc. 

N' astu avune già d' bei crussi 
Pr'ij Franseiss e p€r pAlman? 
Pi gnun guai: o Alman o Russi, 
Viva ij tórdi viva ij fasanl... 
Ma a paress una bandiera... 
A paress?... Ahi sì, a l'è vera!... 
Su, fratei, seve dispost?... 
Vira, vira, ecc. 

Die passión fra le tempeste, 
Che d' naufragi i t'às dvù fé? 
Amoróse frev funeste, 
A l'è temp ch'i pio cóngè? 

(1) che tu sia proprietario di terre (scaldarsi al sole, avere delle terre 
al sole), o che tu sia sempre in povertà ;»//a, fango), che tu cerchi la 
gloria ( fumo ), o che tu ti attenga all'arte dì far denaro, per voltarti 
e aggirarti che tu faccia, sarai sempre eguale. 

(2) cavión^ cappio. 

(3) parpajòn^ farfalle, illusioni. 

(4) ciapétUf ciaccole, ciancie vane. — Bluètte^ fiordalisi: fiori effi- 
meri come l'axsurro mtosotùf (fr. bluettes). 

9 



— I30 — 

Ma silenssio... Una vósina, 
Sót cól erbo, sclina, sclina, (i) 
Sospirane!, a m'à rispost... 
Vira, vira, ecc. 

Córtisan, preive e gesuita 
Tuti i ai slargo sóa nià: 
Dunque bsogna cambiò vita, 
S'i veui nen esse angabià. 
Ma tut un per fé ch'i fassa, 
DI' impostura a la vii rassa 
Sempre, sempre i sareu ópost. 
Vira, vira, ecc. 

— Ti dóv vastu? — A la richèssa. 

— Ti dóv vastu? Al camp dPónór. 

— E ti? — I marcio a la grandessa. 

— E ti? — I còro an brass dPamór. 
Povri farfol a pièna vela 

Pandè tuti. a fé d'canela 
Per la taula d'sór Prevost. (2) 
Vira, vira, ecc. 

6 agosto 1840. 




LA MORT DEL PÓLÓNEIS 



Con Flip, re d'ij Franseis, 
Nicola èl Moscovita, 
Dèi pover Pólóneis 
L'à marcandà la vita. 



(i) sommessa e acuta come quella d'una pudica fanciulla. 

(3) poveri sciocchi, andate tutti egualmente a far più squisite le yi- 
yande, col pagamento delle vostre sepolture, al signor prevosto. 

Quest' Ode di sapore Oraziano ed Heiniano concilia le amarezze dei 
disinganni colla forza d'un carattere che non si è smentito mai nel 
poeta civile. Quando più sembri all' estremo giunta della disperazione, 
la sua fibra si risolleva e infonde nei lettori liberali la fiducia e la re- 
ligione del dovere. Del resto noterà il Lettore tra un conversare faceto 
e grossolano e un alternare di facili rime volgari un' alterna succes- 
sione d' idee, d' immagini opposte e richiamantisi tra loro con sottil 
filo d'unione; noterà un effetto lirico potente in quell' ondeggiare di 
sentimenti che è appunto il maggior pregio della poesia. 



— 131 — 

To fieul perseguita, 
Ti ch^i t'as mai chità, (i) 
Bóndi, mare, bóndi, 
Prega Nóssgnòr per mi. 

Da dop chM l'eu pèrdù 

Dia Vistola le rive, 

I Peu mai pi vivù 

Che ancheui chi cesso d*vive. 
Dia tomba, o mónd crudel, 
Astu favor pi bel?... 
Bòndì, ecc. 

Cól temp dòv^elo andà, 
Che, stanca d^esse sciava, 
D' Varsavia la sita 
El saber a sfòdrava? 
Dco mi, dsóra j* aitar, 
J'eu giura mort al Czar. 
Bòndi, ecc. 

Ohi cóme d'bórgh in bórgh, 
Al crii dia gran rivolta. 



(i) Luigi Filippo figlio del Duca d' Orléans; Filippo Egalité morto 
sulla ghigliottina, fu il 3 Agosto 1831 eletto re dei Francesi dopo le 
tre giornate rivoluzionarie di luglio. Egli aveva assunto un obbligo 
morale di assecondare i voti dei partito che proclamandolo con Lafìtte 
« la migliore delle repubbliche » implicitamente desiderava porre la 
Francia a capo del progresso e dell'indipendenza di tutte le nazioni. 
In lui erano appuntate le speranze dell' Europa liberale. Per cagion di 
lui si erano levate le Romagne contro le milizie del Papa, e fin nella 
reggia di Modena era penetrato coli' illuso Ciro Menotti una segreta 
intelligenza di porre a testa del moto nazionale quel duchino Fran- 
cesco IV battezzato dal Giusti come tutti sanno. Ma la Polonia specialm. 
colla rivoluz. vittoriosa di Varsavia ( 17-29 nov. 1830) aveva dimo- 
strato da quanta fiducia fosse mossa nel re borghese, proclamato sulle 
barricate, per dare di frego sui patti della Santa Alleanza. Un Comi» 
tato di soccorso era istituito a Parigi; il generale Lafayttte suo presi- 
dente esa stato nominato il primo granatiere della guardia nazion. di 
Varsavia. Béranger aveva composto l' elegia « Poniatowski » solleci- 
tante r aiuto dei Francesi per cui 1' eroe polacco Maresciallo dell' Im- 
pero aveva gloriosam. sacrificato la vita coi suoi polacchi al ponte 
dell' Elster dopo la sconfìtta di Lipsia. Luigi Filippo dopo molte ter- 
giversazioni proclamò in Parlamento i principii della sua politica: Paix 
à tout prix e Non intervention. Assicuratosi il trono, abbandonò in 
compenso ì popoli lusingati. Cosi mercanteggiò la vita altrui, a rovescio 
di quel Goffredo di Bug ione, suo antenato, che nella Gerusalemme 
del Tasso rispondeva sdegnoso: « Guerreggio in Asia e non vi cambio 
e merco ». — V. le altre Note a pag. 36, 39, 51, 53, 100, 113. 



— 132 — 

Da Mósca a Petersbdrgh, 
La Russia a s'è sconvolta 1 
Dia Neva sui giassón 
A Pé córù un frissón. 
Bòndi, ecc. 

Die tigri pi affama, 
Dal fónd dia Tartarìa, 
Sóe grinfe sangónà, 
A deurv la monarchia. 

El mónd vaio sót sor? 

Viva l'imperatóri 

Bóndi, ecc. 

Hórràl hórràl hórràl (i) 
Còsach, Calmóch, o quanti I... 
Viva la libertà! 
Polonia, avanti, avanti! 

Lassù per ti a combat 

La steila dèi riscat. 

Bòndì, ecc. 

Ma da un pervers tiran 
Pia pr'ij cavei la Franssa, (2) 
Dèi Tartaro sót man 
A esercita la lanssa. 

Onta su ti e sui tè, 

Inganatór drapò! 

Bóndi, ecc. 

A són des ani ancheui, 

mare, che an Siberia 
L'an mnane a sarè j'eui, 
Tra '1 freid e la miseria. 

A Pero dónque poch 

Un lass, na baia, un stoch? 

Bóndì, ecc. 

Mare, tórnand a cà, 

1 me frate! saluta; 
La còpa di' esilia, 

Disie ch'j'eu bvula tuta. 



(I) Grido di guerra dei Cosacchi. 

(a) La Francia afierrata pei capelli e minacciata dallo Tzar Nicola 
col dilemma e o con me o contro dì me » , paurosa di nuova invasione 
come quella del 18 14 da parte della Santa Alleanza. 



— '33 — 

Ma disie che ai so pé 
La mort a speta i ré. 
Bóndi, mare, bòndì, 
Prega Nossgnòr pèlr mi. 



2 aprile 1844. 



J^ 



ROSALIA («) 



Rosalia — vita mia, 
Ven ch*i ciancio un pò nói dòi; 
L'è tqst óra — traditóra, 
Chi t'èm lame un poch èl frói. (i) 
Seuli, seuli, — cóm'un euli, 
I t'èm vèdde neuit e dì; 
E ogni smana — bona lana, 
T' m' angavigne sempre d'pì. 

(a) Questa canzone in cui il poeta si dà il nome di Nicolò spasi- 
mante d* un* immaginaria Rosalia è non solo un' indovinatissima poesia 
amorosa del genere grottesco e sensuale ad un tempo che rallegra le 
brigate, ma eziandio un* arguta e quasi inafferrabile satira politica del 
partito moderato neoguelfo e costituzionale. (V. Nota t,^ a pag. 127). 
Rosalia è la monarchia di Carlo Alberto rigida adesso coi liberali, coi 
quali il giovine principe aveva amoreggiato nel 21 per abbandonarli 
poi subito all' esigilo ed al carcere, temendo di essere compromesso e 
perdere le sperante del trono durante la vecchiaia di Carlo Felice, 
insidiatogli dal Duca di Modena Francesco IV. A questo abbandono 
si allude colla ironia della 5/ strofe. I sacrifizi del partito suddetto, 
per tirare dalla sua il giovine principe sono espressi nella precedente 
descriz. dello stato d' amante consunto a cui s' era ridotto il povero 
Nicolò, al quale tanto male corrispondeva l' amata Rosalia da chiuderlo 
in quel brutto armadio per tutta ricompensa. Quel partito a forza di 
astensioni e di rinuncio per ingraziarsi la monarchia riduceva la libertà 
e le riforme a ben misera cosa. Fra i letterati che professavano le 
dottrine neo-guelfa o papista federalista costituz. era già salito in rino- 
manza Niccoli Tommaseo (commentatore di Dante, autore del Dizion. 
Estetico e di altri molti lavori letterari), poi esigliato in Piemonte. 
BrofFerio ne' miei tempi lo chiamava, pel suo aspetto mistico e asce- 
tico, un Toma one. Il Poeta compendia detto partito nei nome Niccolò, 

(I) che tu mi rallenti alquanto il catenaccio, o il freno dei desideri 
amorosi; e propriamente: che tu ci dia riforme. 



— 134 — 

PrMj to laver — cóst papaver 
Elo d' volte mach d'ancheui, (i) 
Rosalia — vita mia, 
C*ha va tut an brot d'faseui? 
Per le steile — d*tóe parpéile, (2) 
TMo sas ben, pómin d'amor, 
Ch' am ciagòia — eh' am fèrfóia (3) 
Da des aai un gran brusòr. 

Dia cóstanssa — d'cóst mal d'panssa, 
S'it aveisse dubita, 
Mila preuve — t'eu fait pieuve 
A barón, a cartona. 
Con la schina — caria d' brina, 
Tut n'invern sót to pògieul, 
Rosalia — vita mia, 
T'as ben vdume a fé '1 subieul? 

Per piasite — e intenerite, 
T'Pavras ben ancóra iu ment, 
Rosalia — vita mia, 
Tut carie ve j'eu fait advent; 
Mangia rave — mangia fave, 
E la cera, poch a poch. 
M'era vnua — tant puntua, 
Ch'i smiava un articioch. 

Rosalia — vita mia. 
Le prò vera che ti dcò 
T'as la miola — ch'at fricióla 
Pélr to pover Nicolò. 
T'as pròvamlo — t'as mostramlo 
Còla neuit ch'it m'as sarà, 
Còm un giari — ant un armari 
Pien d'ciap ròt e d'aragnà. 

T'as mostramlo — t'as pròvamlo, 
Còla volta; ciair e net, 
Ch'j'eu ciapàte — a fé d'buvate 
Con un sgnòr dai apòlet: (4) 

(I) è forse solo da oggi? { (2) parpèile, palpebre, occhi. 

(3) che mi prude e mi tormenta. 

(4) fé d? òuvate^ modo faceto di esprimere il contegno impacciato 
d' una signorina che ascolta i discorsi lusinghieri di un innamorato, 
tenendo gli occhi bassi e piegando la cocca del grembiule come se 
volesse far una pupattola. Il signore dalle spalline (fr. épaultttes) è 
r esercito austrìaco. Per confondere il quale, per assicurarlo della sua 

''Ita, la Monarchia Sabauda manda i liberali in esigilo. 



— 135 — 

Prónta e lesta — Ivand la testa, 
Per confonde cól ^adan, 
Rosalia — vita mia, 
T^as mandarne a ciamé 'l can. 

\fa che istoria — ma che gloria, 
Eia cóla d'aspètè, 
Ch'a farivo — tut sort d^givo (i) 
Da ogni part a svólastrè? 
Rosalia — vita mia 
S'at fan gói mósche e móschón; 
Dóv pijrastu — dóv tróvrastu, 
Un pi amabil tavanón? 

A j'è Giaco — che, per bacol 
Da quaich meis at gira antórn: 
A j'è Luca — cóla suca, 
Ch'a sospira 'l fit dèi fórn. 
Ma un balóta — pi ^n sia piòta. 
Un códogn pi sóprafin, 
Rosalia — vita mia, 
Tlo tróvras gnanca a Turin. 

A j'è Pina — a j^è Barbrina, 
Tute e dòe sul fior dPetà, 
Con d'eui eh' fumo — eh' a consumo 
Pi chi' a giassa al sòl d'istà. 
Rosalia — vira mia, 
T'sas s'am vèiio a bustichè? 
Ma Nicola — bòna tóla, 
Chiel sta dur e fa '1 mòrte. 



(i) givo, maggiolini. Allude non solo agli adoratori di Rosalia, ma 
ben anco agli altri principi d* Italia coi quali la monarchia si trovava 
d' accordo nel comune interesse di reprimere la libertà. V Incorona- 
zione di Gius. Giusti fece a quest' accordo la più mordente requisi- 
toria che poeta civile potesse pronunciare. Il partito liberale non si 
perdette però d* animo. Sollecitando sempre da Carlo Alberto nuove 
promesse, (come si legge nel colloquio tra Mass, ^Azeglio ed il re, 
prima che il liberale patrizio si recasse in Romagna scossa dai moti di 
Riraini a far propaganda per la monarchia « Ricordi » ), si protestava 
alleato assai più amabile e fedele di quegli altri pretendenti. I fatti 
posteriori del Risorgimento Ital. provarono che 1* aver tenuto fede allo 
Statuto del 1848 nelle sue linee liberali, opera appunto di quei con- 
siglieri, salvò la Monarchia di Sardegna, la elevò a dignità di stato 
unitario sull' intera Penisola, e fu gloria de' suoi principi al confronto 
delle alcre dinastie vituperosam. cacciate senza speranza di ritomo, 
perchè ligie all' Austria e fedifraghe alle giurate franchigie. 



- '36- 

Niente am manca — a ditla franca, 
Pr'avei credit an sita, 
Che Tentrada — ant la brigada 
DMj mari ben artapà. 
Rosalia — vita mia, 
A rangieme a tócca a ti: 
Butme lesta — '1 laur an testa, 
E clii al mònd pi fier che mi? 



7 aprii* 1844. 



^ 



ÉL PROGRESSISTA («) 



Sòn progressista, ben inteis; 
Ma progressista d' con tra d'Pò: 
Ancheui Spagneiil, dóman Franseis, 
Secónd l'odor dei frlcandò. 
Pelo d'penssiòn, con d' autr* apress ? 
Viva '1 progressi 
Viva '1 progress! 
Pelo ^n pò d'tòss da guadagnò? (i) 
Fieni, andare 1 
Fieni, andare! 

Povri badòla, i nostri veì 

L'ero priv d'sens, l'ero priv d'gust. 
As veul d' riforme? niente d'mei: 
Ma rifòrmòma da omni d'sust. 



(a) Servirebbero di utile commento a questa canzone, oltre le os- 
servaz. alle precedenti, anche 1' Epìstola di Giac. Leopardi al Pepali^ 
la Palinodia a Gino Capponi e le amare Stanze della Ginestra^ in 
cui morde le magnifiche sorti progressive decantate da certi italiani 
dottrinari del suo tempo. Anche il 6^/^;// diceva del giovinetto italiano: 
« ( ^anta 1* Italia, i lumi, Il secolo, il progresso. Già già rettoricumi 
Pegli Arcadi d'adesso, Tuffato in cene e in balli, Martire in guanti 
gialli ». 

(i) tosse. che si acquista nelle umide prigioni di stato. 



— '37 — 

S'tratlo d' varie la sausa o ^1 pes3? 

Viva '1 progressi 

Viva '1 progressi 
Ma salirlo '1 iìoc al potage? 

Fieui andare 1 "^ 

Fieui andare I 

I drit social, a dio eh' a sòn 
Sciódù con Pom ant un sòl euv; 
Eh ben, fórgiómie die pèrsón, (i) 
Con d'neuv sistemi e a'sbiri neuv. 
Frói pi sutil o frói pi spess; (2) 
Viva U progressi 
Viva il progressi 
Ma s' j' óngie al boia a s' veul tajé ; 
. Fieui andare 1 
Fieui andare I 

A veulo d' ciair, a veulo* d' lum : 
Illuminómie 'n santa pas. 
L'euli e la sira a fan trop fum? 
Dòmie d'milv, lassómie .d'gas. (3) 
Se la gabefa a s' paga istess ; 
Viva 1 progressi 
Viva *1 progressi 
Ma se '1 prepost perd un dói dné; (4) 
Fieui andare I 
Fieui andare I 

A venta nen sótrè *1 talent; 
L' intelligenssa a va slarga: 
E ben lustróma d'document, 
Fèrtóma d'père mal fèrtà. (5) 
Per d^articioch fòmne d'còngress? 
Viva '1 progressi 
Viva '1 progressi 
Ma '1 sens cómun yeulne dèsvié? 
Fieui andare 1 
Fieui andare I 

(i) fórgiémie^ fabbrichiamogli. (3) mily^ candele steariche. 



(2) fr6ii catenacci. 



(4) il preposto alle gabelle. 



(5) prende in giro 1' ipocrita protezione della scienza limitata alla 
archeologia ed alla paleografìa in cui 1' Abate Baruffi, il Cav. di San 
Quintino, l' epigrafista fìoucheron, Tom. Vallauri latinista ed il Conte 
Cibrarìo eccellevano. Riiie poi dei Congressi georgofìli patrocinati dai 
Neoguelfi papisti e austriacanti in veste di progressisti. ( V. note i.* 
e a.* • pag, 197 y 



- 138- 

A l'è la frev dia devóssión. 
Fina aot coi là eh' nego Nòssgnór; (i) 
Padrón, padrón, arcipadrón, 
Cb'as na pio pura a'ij cònfsór. 
Veulne d'óblat, veulne d'prófess? 
Viva '1 progressi 
Viva '1 progressi 
Ma se al vangeli as veul tórné; 
Fieni andare 1 
Fieni andare 1 

D' i j stampadór e d' ij libre ; 
L'ónest concors a va prótet 
Su, dunque, un premi fòma de 
A le edissiòn d'Giassint Mariet. (2) 
Veulne d'Cantù, na veulne ampess?(3) 
Viva '1 progressi 
Viva 'l progressi 
Ma se pr^ Alfieri an vèno a sché (4) 
Fieni andare I 
Fieni andare I 

Fieni, esse brav, fìeui^ esse chiet, 
E fra vint'ani, i dio da bón. 
Pavré destra d^fer fin sót al let, 
E in vece d'eòi, j'avré d'cójón. 
D'rinóvé '1 bast veulne '1 permess? 
Viva '1 progressi 
Viva '1 progressi 
Ma se la brila as veul rusié; 
Fieni andare l - 
Fieni andare 1 

12 aprile 1843. 

(i) I Volterriani abbondavano anche fra i moderati papisti, per conve- 
nienza, fatto che anche oggidì avviene. La religione compresa come stru- 
mento di governo utilitario fa capo al detto di Voltaire (sempre ironico 
anche sul letto di morte ) : Se Dio non fosse, bisognerebbe inventarlo. 

(2) Libraio e Tipografo della Curia Arcivesc. di Torino. 

(3) Celare Cantàl poderoso ingegno che sofferse il carcere e scrisse 
pagine ardenti di passione, fu storico non sempre indipendente, perchè 
voleva dare alle sue opere ampia diffusione col beneplacito della Cen- 
sura Austriaca. Accettò dal P imperatore d'Austria l'ordine della Corona 
Ferrea, compose la Storia Univers. scusando talvolta principi e papi ine- 
scusabili. / V. Nota 3.* a pag. 142 ). 

(4) ly^W Alfieri^ l'Allobrogo feroce, che educò a maschie idee di 
libertà le lettere italiane colle Tragedie ^ colla Vita propria, col trattato 
della Tirannide^ non è superfluo il ricordo in tempi di fadle contentatura. 



— 139 — 



L'UMANITARI («) 



La bruta neuva ch'i ricci vo: 
Giors, me cusin, a veul muri, 
Ma là, poch mal; mi i mangio, i beivo, 
I dvento grass, eh' a Ve 'n piasi. 

I Teu ben d'auter ch'am sagriiia, 
Ch'am fora '1 cheur, ch'am gava '1 fià; 
A l' è to amor eh' am assassina, 
O umanità 1 
O umanità I 

Fin da Tautr an, me fratel, Carlo, 
L' à lassa al mónd quatr' orfanei : 
Am na rincress, ma a marciò, a parlo, 
E s'a digiuno, tut pr'èl mei, 

Chi d'sóspiré, chi peul mai tense, 
Vdend la Soria tant dèsmentià? (i) 
Ai Maronit Pè temp ch'it pense, 
O umanità 1 ecc. 

D' fonde un ricovero, me pare, 
Per tèstament a m'a cómess: 
Ma le ore d'ossio a són tant rare, 
Ch' j' eu ancor nen prónt né món, né ges. (2) 

J'eu tant da fé per Franssa e Spagnai 
Tant da sciame sul sang versai 
Tuti i di d' pi t' ses ant la bagna, 
O umanità I ecc. 



{a) U ultima strofe rivelerà a quale partito appartenga questo tipo 
vero e reale di egoista sedicente umanitario. La maschera è sempre 
utile a coloro che intendono per sé soli fatto il mondo. Gius. Giusti 
li tartassa a suo modo nella satira Gli Umani/ari ( 1 84 1 ). 

(1) Soria^ Siria. Dopo il viaggio del poeta Lamartine in Asia e la 
descriz. immaginosa di quello, parlare della Siria fu di moda. Si dibattè 
la questione se i Maroniti, montanari di rito cattolico, non dovessero 
venire difesi dalle angherie e stragi dei vicini Drusi ^lussulmani sul 
monte Libano ove hanno pascoli, villaggi e conventi frateschi. Essi 
avendo la peggio reclamavano F appoggio della Diplomazia Europea. 

(2) non ho ancor pronti né mattoni né gesso. 



— 140 — 

N'antìch amis, o che molestia, 
A veul eh* ij prèsta dósent franch. 
Des marenghinl Són pa tant bestia; 
Ij dio che d*nò, tut ciair e franch. 

Pr' un Strass d' miliòn dóvù a 1 \ Russia, 
Ventlo pa ij Grcch vèdde anfnójà.'... 
Vii sciava di' or, tua sorte am crussia. 
O umanità! ecc. 

Ohi n'autra adess? Una cóléta 
Per le pèrsón, per j* ©spedai? 
Costa Ve propi da poeta; 
Mi cos na peusne s'a j'è d'mai? 
Povri Irlandeis, quanta miseria 1 
Povr'O'Connel, t'ses ampactàl (i) 
Ohimè! tóa causa a dventa seria, 
O umanità! ecc. 

I veule agi ut? — Tórnè un autr'óra. 
J'eve d^sagrin? — I n*eu dco mi. 
Mach un consci! — Am speto dsóra. 
Mach na parola! — Un auter di. 

I l'eu già l'anima ch'am sciapa; 
Abd-el-Kader l' è nen batsà : (2) 
Di e neuit, piórand, pregóma ^1 Papa, 
O umanità! ecc. 

20 aprile 1843. 



fi) O' Connel capo degli Irlandesi reclamanti la nuova ripartizione 
delle terre confiscate e vendute ai Lordi stessi confìscatori nelle feroci 
guerre di religione, o almeno sgravio d' imposte ai fìitaiuoli, e un par- 
lamento autonomo Irlandese come quello delle Colonie Canadesi. 

(3) Abd-el-Kader fu il capo della insurrez. dei Beduini Arabi della 
Kabilia e del Sahara contro la colonia Francese di Algeri Dopo molti 
anni di guerra sparsa e sanguinosa che costò tesori d'uomini e danaro 
alla Francia, egli si arrese il 23 nov. 1847 al generale Lamoricière, e 
visse in Francia gli ultimi suoi giorni. — Grottesco rimpianto dei 
neo- Guelfi che non si potesse indurlo ad abiurare la propria fedei mentre 
seminava di stragi le patrie oasi, per risolvere cosi pacificam. l' intri- 
cata questione di nazionalità. 




— 141 — 



ÉL CÓNGRES ly MILAN («) 



Feme largo, i vèno adess 
Da Milan e dal Cóngress. 

Tut pien d' scienssa j' eu ^1 capei 
El vèsti, U frach, '1 manici, 
Aot la schina, ant él cupiss, 
I n'eu tanta eh' a sburdiss; 
Ant le scarpe, ant ij stivai, 
I n' eu tanta eh' a fa sgiai. (i) 
Feme largo, ecc. 

Al Cóngress as parla d'tut. 
Del Catai, del Lìliput, 
Die laserte, d'ij lapin. 
Die tartifle, d'ij luin. 
Del mal d'pera, del scórbut; 
Al Cóngress as parla d'tut. 
Feme largo, ecc. 

Bórómeo, sòr Vilalian, (2) 
Che discórs l'a tira a mani 
A proposit d'ij sapient. 
L'è vnu fora bravament 
A lòde ^1 bast e '1 bastón. 
Che discors, che discórsonl 
Feme largo, ecc. 

Rivai d' Cesare e d'Trajan, 
Con na barba da African, 
Bonaparte, o che piasi! 



(a) Si rìchìamaDO le Ossenraz. precedenti circa i Congressi scientif. 
permessi come valvola di sicurezza alle opinioni libcTali, ma di cui 
costituivano la maggioranza i liberali moderati e i cortigiani ambiziosi, 
e talvolta anche le spie camuftate a dottori per la circostanza, come si 
legge nelle Comiche e Tragiche scene del dramma Brofferiano « // Tar^ 
tufo potitico >. (V. Note a pag. 127 e 137). 

(i) sgiaiy spavento. 

(2; Conte Vitaliano Borromeo^ uno dei patrizi Milanesi che avreb- 
bero volontìeri patteggiato coli* Austria una Moderata Costituzione Ari- 
stocratica sul modello inglese ristretto, in compenso d' una rinuncia 
definitiva alle velleità d' indipeadenza Nazionale. 



— 142 — 

J' cu sentilo propi mi, 
Spieghé al popól pian e fort. 
Le virtù d'un babi mort. (i) 
Feme largo, ecc. 

Serristori, general, 
Con esempi mai pi egual, 
Alo pa ancalà trate 
Dèi progress di' a, ft, e, rf? 
S*a lo san i so sóldà. 
Lo fan cónsól.... e chi sai (2) 
Feme largo, ecc. 

Realista e Giacóbin, 
Luteran e capussin, 
Coróna d'feuje d'sambù, 
J'eu vist Cesare Cantù 
Con due eros bèrlicà d' frèsch 
Dai gesuita e dai tódèsch. (3) 
Feme largo, ecc. 



(1) Il prìncipe di Canino, GeroL Bonaparte^ che si degna parlare di 
scoperte archeologiche e delle necropoli Étrusche, e di riferire sul fos- 
sile batracìo (òaòi, rospo); rivale di Cesare e di Traiano per la sua 
parentela con Napoleone I, e pel suo atteggiarsi a coronato filantropo 
e dotto linguista guerriero 

(2) Il generale del piccolo esercito Toscano, Marchese Serristori che 
vorrebbe persino introdurre, come Claudio Imperatore, una nuova let- 
tera neir alfabeto. 

(3j Di Cesare Cantù tentennante fra le due opinioni, luterano nella 
storia delle stragi di Chiavenna, cappuccino nella storia degli Eretici 
Italiani e nella Universale; qua liberale, là realista professo, si è già 
parlato a pag. 138. — Don Baruffi fu prof, d' Archeologia e dirett. del 
Museo Egizio di Torino; scrittore mediocre di viaggio in Egitto e delle 
Passeggiate Torinesi. — Davide Berto lotti con uno stile mellifluo scrisse 
romanzi lacrimosi oggi dimenticati e le Passeggiate nel Canavese. — 
Giovanetti fu agronomo piemontese. — Adriano Balbo^ parente di 
Cesare, s* occupava di Geografìa. — Felice Romani celebre lirico e 
librettista, redatt. della Gazzetta Piemontese^ avversario in vivace po- 
lemica col Messaggero giorn. di firofferio. Il suo verso va lodato per 
dolcezza Metastasiana. Cosimo Rido'fi^ conte Toscano, e 1* Abate 
Can. Lambruschini portarono ai congressi scientif. notizie peregrine 
sui recenti sistemi di colti vaz. intensiva, ( avendo fondato V Accademia 
dei Georgofili )t inoltre le immature proposte di scuole popolari col 
catechismo e liturgia latina, asili d' infanzia, e scuole di sordomuti 
(V. Biografìa in principio di questo voi.). Ottime istituz. invero, ma 
cozzanti coli' emergenza imperiosa del momento in cui fremevano libertà 
e indipendenza le nazioni oppresse, e i Fratelli Bandiera suggellavano 
colla morte una giovinezza sacrificata per un' idea. BrofFerio avrebbe 
voluto 1 * impossibile per quei tempi: che dai congressi uscissero parole di 
ammonimento a formare gagliardi caratteri per le lotte politiche e civili. 



— 143 — 

Don BamfF V à pia per test 
La filantropia dia pest; 
E Ridólf, tuta matin, 
D^vache, d'some, d'mule, d^crin, 
L'à savù tant ben parie, 
Da fé invidia a dódes bóé. 
Feme largo, ecc. 

D'caramele al bè'rgamot; 
A m astiava Bertolot; 
Lambruschin a l'à tnu dur 
Pr' ti latin d' ij meist da mur 
Gióvanet a Pà sóstnù 
L'eróism d'ij salam cru. 
Feme largo, ecc. 

Adrian Balb a l'à decis 
Ch'as va an Franssa dal Mónsnis; 
E Romani, d'ant sóa cà, 
D'ant so let, a Pà trova, 
Ch' a P è mei a déjeuné^ 
Caffè e laìt ch'laìt e caffé. 
Feme largo, ecc. 

Quante idee, quanti pensé, 
Da sturdi, da sbaluché! 
Se ij Cóngress a van d'cóst pass 
Che rifórme, che sconquassi 
I vèdróma j' animai 
Tutti quanti con j'òciai. 
Feme largo, ecc. 

Ai Cóngress eh' a Pan da vni, 
Mi, frattant, a defini 
I proporlo, s'as peul fé 
D'Italian con d'fa-fióché, 
D'sitadin con d'iècca-piat, 
E d'smens d'om con d'smens d'bigat 
Feme largo, ecc. 

a ottobre 1844. 




— 144 — 



SERENADA 
A UNA FAMÓSA BALLARINA (-) 



A l'è drolo da bón, 
Cóst Popól Turincis, 
A piessla con d' trómbón^ 
D' subiole e d'corn in^leis. 
Cos veuUo d'pi pertèt, 
Che '1 merit a'ij garet? 
Thoé Choé thoé thoé, 
Trombette alles[; 
Ton ton ton ton, 
Timbale allons. 

Un popól eh' a r è fait 
Con d' pasta d' marsapan ; 
Ch'a smia eh' a pupa lait, 
Mach vgdde a baie 'n can ; 
A veul proscrive, ingrat, 
La gloria d'ij savat? (i) 
Thoé thoé, ecc. 



(a) Nelle antiche ediz. curate dall* Autore trovasi questa Nota: 
€ Ad una celebre danzatrice qualche ammiratore tributava In Torino 
una imponente serenata. 11 popolo se ne sdegnò; e mettendo in fuga 
i suonatori, impedi che avesse luogo l'inopportuna dimostrazione. A 
questo fatto allude la canzone » . Il poeta non fa il nome di questa bal- 
lerina, ma la dice celebre: quindi supponiamo che si trattasse della 
Fanny Elssler n. a Vienna nel i8io, che percorse e fece delirare 
tutta Europa, e che a Vienna contò fra i suoi adoratori Napoleone II. 
La fama dice che le sue moine ed i suoi vezzi abbiano concorso ad 
accelerare la morte del giovane principe. Potrebbe anche essere la 
Maria Taglioni n. a Stokolma nel 1804, ma figlia di un Milanese, 
non meno ammirabile ed ammirata dell' Elssler, e che restò sulla scena 
fino al 1847. 

(i) Anche nei « Miei Tempi » trovasi agitata la questione più 
volte proposta e respinta in Municipio di Torino che fosse soppressa 
la dotazione del Teatro Regio, ove una commissione municipale sor- 
veglia la sveltezza e premia la grazia del Corpo di Bailo e delle sue 
piccole allieve dalle corte vesti di velo e dalle maglie provocanti. 
L' Amarezza della satira in questa bellissima strofe ritorna alia mente 
semprechè la medesima questione si riaffaccia. — Savat, le scarpine 
calzate dalle danzatrici di teatro. 



— 145 — 

Dèi laur ai na cress ben 
Al Mónte, al Valentin? (i) 
E s^a lo buto nen 
An testa ai balarin, 
£1 laur, o tard o tost, 
S' butrà mach pi ant '1 rost. 
Thoè thoé, ecc. 

An cónto i liber frust, 
Che, dói miPani fa, 
LMtalia fómna d'sust, 
L'era padróna d'ca. 
Ma adess cos sala fé 
LMtalia che baie? 
Thoé thoé, ecc. 

A j'é quaich testa d'eoi, 
Ch'a seugna d'imité 
Na smens d'antich eroi, 
Che gnun sa cóm dóvré. 
Peroi a vaio ancheui 
Pi jpoch che ij póm a meni (2) 
Thoé thoé, ecc. 

Insóma, i nostri vej 
Fasijne divers d'nói? 
I Danti, i Galilej, 
Ai piavo an mes ai frói. (3) 
Torquato a lo sa chiel, 
Ch'a j'à lassa la pel. 
Thoé thoé, ecc. 

Con tuti ij so Cón^ress, 
Da Napoli a Turin, 
Ant còsta età d' progress 
S'a levo i balarin, 
Italia t'as mach pi 
Da fete sepelil 
Thoé thoé, ecc. 

PAlman s' lustro ij barbis, 
A brontolo ij Spagneuj ; 
A sgàmbita Paris, 
Londra a spalanca j'euj 



( I ) Sai Monte dei Cappuccini, oltre Po, e nell' Orto Botanico presso 
il Castello del Valentino. 

(2) pomi in molle, cibo di poca sostanza. 

(3) li cacciavano in carcere. 

10 



-J46- 

E nói, bravi Italìan, 
I fòma d'ij batman. (i) 
Thoé thoé, ecc. 

Vói fieui, vói successór 
ly ij Fabii, d' ij Scipión, 
ly coróne ai sautador 
Campéne giù a barón. 
Ptest i devré, eh' i sa I 
Mach pi coróne d'fràl (2) 
Thoé thoé, ecc. 

IO dictmtbrt 1844. 

MSÉ BASTIANO 
ossu 
ÈL CÓNGRESS D' NAPOLI 



Da Napoli an gualdrapa, 
A Pé vnu dal Cóngress, 

(a) É la caricatura di e Bernardo Cornuti » il borghese arricchito, 
che in compagnia dell' Aw, Canfora il faccendiere giornalista, dal 
quale si fa preparare i discorsi e suggerire le frasi a pagamento, giunge 
al Congresso Scìentif. di Napoli, ne spiattella con ambiziosa ingenuità 
le gofl^gini e le vanità scambiate per dispute serie sotto le quali, fra 
luculliani banchetti e festeggiamenti, si tramano da una parte i più 
loschi intrighi di polizia per cogliere in una retata gli unitari Mazzi- 
niani ed i federalisti monarchici segnati nei libri neri del sette stati 
d' Italia, e schiacciare di colpo la rivoluzione latente ne' suoi capi, come 
a quei giorni s' era schiacciata la sommossa aperta in Cosenza coli' ec- 
cidio dei fratelli Bandiera ; d' altra parte si stringevano in segreto le 
destre dei Congiurati e si affiatavano nel comune intento dell' indipen- 
denza e delle riforme progressiste le divise menti dei liberali. ( V. Note 
a pag. 127, 137, 141). 

Il i.° atto del e Tartufo politico >, il dramma a grandi effetti e 
dalle commoventi scene miste di vis comica esilarante, che l'Autore 
consacrò ai suoi elettori di Grenova e di Cagliari e a testimonio dì 
aspettate riparawnU e desiderio di suprema concordia » , paragonabile 
al € Giulio Cesare dello Shakespeare nell' ampiezza del sceneggiare 
e nella magniloquenza del dialogo, dove il popolo si agita e sembra 
parlare colla voce dei suoi martiri e de' suoi demagoghi, è il migliore 
commento di questa canzone. 

(i) hatman (fr. battements), parola dell'Arte della danza. 

(2) Seguitando cosi, presto cadrete nelle mani d' un governo tutto 
clericale. 



Bel e adess, 

Con un móstass da Papa 
E n'aria da soltan, 
Msé Bastian. 
Che dot, sacherlotl 
Che ómnòn, sachè'rnóni 
Bate le man: 
Viva Bastian, 
Viva Bastian. 

La scienssa Pà mai faje 

Sagné '1 fidich, né '1 pré. 

Sul pape; 

Ma a P à piène le braje, 

D' un merit strepitós. 

Dopile e d'eros, (i) 
Che dot, ecc. 
Le cose memorande, 

Ch' a là sciódù, bel bel. 

So sèrvel, 

D'tute le gran locande 

Són scrite sui cantón, 

Con d'carbón. 
Che dot, ecc. 

A Portici, a Caserta, 
L' à demolì d* bastión 
D' macarón ; 
E as dà per cosa certa, 
Che d'tór la butà giù 
D'salam crù. 
Che dot, ecc. 

As dis che le metropoli, 
Spartìend una frita, 
L'à rangià. 
Fina Costantinopoli 
L'à dait, sórbend n'euv frèsch, 
Ai Todèsch. 
Che dot, ecc. 

DP armari e dia chèrdensa 
A Pan crea d^amblé (2) 
Gran canslé. 
Con tìtól d'eccelensa, 



(I) cioè di denari. Pilay la figura; Croce^ laTleggenda sulle due faccie 
delle monete. 
(3) rf' ambléi d* acchito, subito, termine dei giuocatori a carte francesi. 



— 148 — 

E la decòrassión 
Dèi stòpÓD. (i) 
Che dot, ecc. 

Per vèddse sul Diari (2) 
L'à recita un discòrs 
Sul bèch d'ij órs; 
Peui l'à sóstnù che i giari 
Portavo un secól fa, 
Pruca e spà. 
Che doty ecc. 

A ricórdrà la storia, 
Che con Sóa Maestà (5) 
L'à disnà. 

DP Italia p€r la gloria, 
L' à b&licà dA stat 
Fina i piat. 
Che dot, ecc. 

A fulmina con d'tóma (4) 
La stola e la cirià, (5) 
Dop disnà; 

Ma peui dèli Papa a Róma 
S^è fait raccómandé 
Al barbe. 
Che dot, ecc. 

So amis Pórincinela, 
Vedendlo tut afflit, 
A j'à dit: 

Bóndi me car Brighela, (6) 
A Genova, P an eh' vèn 
Manca nèn. 
Che dot, ecc. 

IO ottobre 1845. 



(i) turacciolo. Chi serve di ripiego agli intrighi dei superiori senza 
saperlo si dice che fa da tura buchi. 

(2) Sui giornale. 

(3) Intendi : Maestà Ferdinando II Borbone re di Napoli, che diede 
un banchetto ai Congressisti nella regia. Celebre strofa. 

(4) cacio fresco. 

(5) Ciridt chierica. Poi cambiando bandiera, si raccomandò ai favori 
del Vaticano e si fece sbarbare come i preti. L' odio per i baffi e le 
barbe portate dai liberali ital, e proibite scioccam. dalla polizia Au- 
striaca rimase nella storia aneddottica del Risorgimento. 

(6) PuUin$Ua di Napoli chiama Brighella il congressista dell' Italia 
Superiore, e Io invita al Conjin^sso Vili® che si terrà poi in Genova 
fra gli scieniiati d* Italift il 15 sett 1846. 



— 149 - 



ME RITÒRN(«) 



Bòndi, care muraje, 
Teile d'aragn, bòndì. 
Vèddve chM són tórnaje? 
Guardéme torna sì. 
Peu sempre pensa a vói, 
O glóriòsissim frói! (i) 
Bòndi, bóndì, bóndi, 
Guardéme tóma si. 

Oh quante volte oh quante 
I v'eu parlave, o trav; 
I v'eu sógnave, o sante 
eriche, o beate ciavl 
Ahi i vèddo ant un cantón 
Me nom scrit con d^carbón. 
Bóndi, ecc. 

Na riga rascia mesa 
I sciairo un pò pi ^n là. 



(a) La Polizia del Vicario e del Comandante di Piazza in Torino 
onnipotente vegliava sui liberali^'più ardenti che in vena di congiure 
coglievano pretesto dallo assistere ai Congressi scientifici. Angelo Brof- 
ferìo aveva domandata la necessaria permissione di uscire dai Regii 
Stati per recarsi colla consorte ad un congresso di Milano. Fu inter- 
rogata la Signora Brofferìo ad insaputa del marito con modi accorti s u 
questo viaggio. Essa ingenuam. dichiarò che non ne era informata. £ 
tanto bastò perchè il sospettoso governo si assicurasse di spezzar le 
fila alla temuta congiura arrestando 1* eloquente tribuno. — Chi gli fu 
amico nella età matura ricorda non essere stata estranea l' amorosa 
passione di luì per un* esordiente attrice del teatro Carìgnano al mi- 
sterioso silenzio di quella preordinata partenza dalla casa coniugale ; e 
che sulle pagine del « Messaggero » , il coraggioso diario BrofiEeriano, si 
potè leggere la difesa della giovine artista da altri fischiata sulle scene 
Torinesi. In quel tempo fortunoso, l' amorose debolezze accompagnavano 
i virili propositi: le stesse mani che staccavano a Milano la carrozza 
delle ballerine e delle cantanti celebri seppero armarsi di moschetti da 
caccia, costruir barricate e mettere in fuga Radetzky e i suoi Croati. 
-^ La canzone qui riprodotta è delle più geniali, e mostra 1' anima 
serena e immune di rimorsi che sorreggeva il Poeta coli' egual vigore 
de' suoi giovani anni. 

(i) Gloria viene dal carcere per nobile causa sofferto. 



— I50 — 

E smijlo nen ch'as lesa 

Viva la libertà?,... 
As ved eh' j' era un gran dot, 
— Evviva }' agQÒlotI (i) 
Bóndi, ecc. 

Sul nas dia Pòlissia, 
La Musa dèi Piemònt, 
Uè propri si eh' a vaia 
A carèsséme '1 front. 
I sento ancor j'òsei 
Bésbié ij me ritómei. (2) 
Bdndi, ecc. 

Lo ricórdeve ancóra? 
(Còmbinassión fatali) 
A Pera Pasqua alóra, 
E ades a P e Natal. 
Nòssgnór a meuir, a nass, 
E am lassa mi ant' ij Strass 1 (3) 
Bóndi, ecc. 

Per pi nen vnive a vfidde, 
Povre muraje pia, 
Quanti són fasse crèdde 
Ribenedet dai fra. (4) 
Ma mi per pieuva e sòl, 
Mi són stait sempre cól. 
Bóndi, ecc. 

Da dop ch'i v'eu chitave 
(Són quindes ani tosti) 
A s' é piantassne d' fave, 
A s'è scaudassne d'rost. 



(i) Agnolotti, tricorni di pasta sottile ravvolta con ripieno di carne 
trita. Ironicam. li esalta come simbolo di godimento materiale da con- 
trapporsi all' idea che mena dritto in prigione. 

(2) Gli uccelli che cinguettavano sugli alberi della cittadella di To- 
rino ov' era incarcerato nel 1831, quando egli vi compose e cantò sulla 
chitarra concessagli dal giudice Taffini le prime canzoni piemontesi. 

(3) Veramente amena e giusta riflessione, in tanti affanni origina- 
lissima. 

(4) Giusto vanto di indomito carattere. Molti liberali, come Cesare 
Canlù, che scrisse in carcere il romanzo « Margherita Pusterla » , 
si riconciliarono coli' onnipotente Chiesa dopo la sofferta prigione. Anche 
e Le mie prigioni » risentono del pietismo rimessivo che Silvio Pellico 
dimostrò dopo la sua liberazione dall' orrido Spielberg. 



— 151 — 

Ma lo eh' a P à tnù bón, (i) 
It ses mach ti, pèfrson I 
Bòndì, ecc. 

Na mando d'maravie: 
D' còngress, d' assòciassión, (2) 
D' ricover, d'iótarie, 
D' medaje, d' medajòn ?... 
Tuti famòs decot, 
Ch' a spasso d' mófa d' crot. 
Bóncu, ecc. 

Die neuve teorie, 
Ch'a illustro Dòira e Po, 
A Pè da coste grie 
Ch'as vèd ben '1 drapò. (3) 
Da sì còm a Pé bel 
El Sòl d'Piassa Castel! 
Bondì, ecc. 

25 dicembri 1846. 

LA STÈILA DEL PIEMONT («) 



Dal prim di eh' j' eu fait la sapa 
D'canté d'arie in stil Mónfrin, 
Per gnun Prinssi, per gnun Papa, 
Peu mai fait èl buratin. (4) 



(a) Timidamente, ma pur si manifestò nel conflitto doganale pei dazi 
d' importaz. accresciuti dall' Austria sui vini Piemontesi il desiderio di 
politica indipendenza che mai non fu spento nell'incerto cuore di re 
Carlo Alberto. Questo conflitto diplomai, diede pretesto alla canzone. 

(1) tener buono, resistere, conservarsi nella mutazione dei casi e degli 
uomini. 

(2) ne mancano forse novità progressiste? La libertà non si fonda 
con esse: anzi le son trappole che trascinano gli illusi alla prigione 
(crot)t come appunto accadde questa volta al poeta. 

(3) Bandiera dei moderati dottrinari della libertà per gradi e col 
permesso dei governi stiracchiata. Quanto valgano le loro teorie da 
queste inferriate si può scorgere davvero. Si apprezza da queste fredde 
mura, per contro, come sia miglior beneficio lo starsene al solatio nella 
maggior piazza di Torino. Senso di rammarico naturale nel carcerato e 
che pur non contraddice alla coscienza irremovibile di lui. 

(4) Cortigiano. 



— 152 — 

Senssa mai perde Paptic, 
Finesse pover, pr'esse pcit, 
Sospirane!, j'aussava '1 front 
Vers la stélla dèi Piemonti 

E i sperava... Ma da Viena, 
Ecco un órdin barbarèsch; 
Ma da Róma, neuva scena, 
Ecco un sant al butir frèsch. 
Cosa mai, cosa aspèté 
Con d^frà scauss e da scaussé, 
D' cavajer, d' baròn e d' cònt, 
Da la stélla dèi Plemónt? 

Ogni volta eh' a spòntava 
Sensa nuvole un po' d' sòl, 
Dal fond dP anima i sclamava, 
Là, cóst di a l'è propi cóli (i) 
Quanti seugn, quante illusión, 
Quanti inganl quanti magóni 
A galopa a so tramónt, 
Povra stéila dèi Piemonti 

Alto lai... Cos^elo staje?... 
Su la faccia al sbirri Alman, 
Tira tira, daje daje. 
Ecco un re eh' a fa '1 sóvran. 
E dia ^ój e dèi piasi 
Im arviscolo dco mi, (2) 
E j' aceto sóssi a cónt (3) 
Da la stéila dèi Piemónt. 

Se aj Ingléis la Próvidenssa 
Con d'tartifle a mola '1 bast, (4) 
A peul dco P indipendenssa 
Vni per nói dal nebieul d'Ast. 
Gnun a lés ant èl destin: 
E chi sa che sul Tèsin 
Ai farflòch i ciamo ij cónt 
Sòt la stéila dèi Piemonti 



(1) Almeno è proprio questo il giorno atteso, 
(t) mi ravvivo aneh* io. 

(3) come un aoeonlo delle audacie future. 

(4) L'Irlanda a ouÌ falliva l'unico raccolto della povera gente, le 
patate, tumultuava contro 1* Inghilterra e otteneva qualche diminuzione 
ai peti del tervaggio x lo stesto ottenevano i Carlisti seguaci di Cobden 
con opportune leggi dal parlamento aristocratico. Questo è ma// 7 òasi, 
ridurre il bastOi il giogo in proponUoni più discrete, V. Note i.*, pag. 94; 
• t.% pag. 140, 



— '53 — 

Italian, da Reggio a Susa^ 
E dalP Adige al Mónsnis, 
Vèddve forse un ciair eh' a lusa 
Per cóst pò ver nost pais?... 
E da già che un pcit lumin 
A paress dal Valentin, (i) 
Salutóma a Pórizònt 
Costa stèila dèi Piemònt. 

L'è tant temp eh' l'aquila almana 
An sgarbela '1 cheur e '1 pré, (2) 
Che di' Italia la eampana 
A peul nen tarde a sóné^ 
Dia sventura i sòma fìeui I 
Ma ehi sa ehi peusso aneheuj 
Vendiehé j'antieh afrònt 
Sót la stèila del Piemónt. 

Róma, Napoli, Fiòrenssa, 
Turin, Genova, Milan, 
Parma, Rimini, Cósenssa, 
Bólógneis e Sieilian, 
Tutì, tuti, turi uni, 
Con la man dsóra '1 fusi, 
Italian, su tnómse prónt 
Sót la stèila dèi Piemonti 

25 maggio X847. 

(1/ Era ancora residenza regìa il castello del Valentino presso al Po. 

(2) lacera il cuore e il ventrìglio all'Italia; immagine presa dagli 
uccelli durante il pasto ferino. — Avevano allora risuonato dolorosam. 
le parole di risposta date dal ministro imper. Mettemich alla Com- 
missione Lombarda perchè ci fossero diminuite le gravezze fiscali 
« V Italia non è che una espressione geografica l » (3 agosto 1846;) 
ed il Cardinale Mastai, proclamato Pontefice, aveva concesso il 16 luglio 
preced. un' amnistia generale. Brofiferìo e i liberali Piemontesi ne trae- 
vano forza d' esempio ad incitare Carlo Alberto sulla via degli ardi- 
menti colle suppliche popolari sottoscritte dai più autorevoli cittadini 
e cogli inni. 




— 154 — 



LA LIBERTA ITALIANA («» 

DEDICA A LA MEMORIA D'IJ FRATE! BANDIERA 



« Signemus fidem sanguine ». (i) 



Da la eros dia sepoltura 
Che i sóspir a custòdiss, 
Fieui dia gloria e dia sventura, 
Lveve su: Dio v'esaudiss. 
Su coi camp, su coi bastiòn, 
Vèdvve ^1 folgor dèi canon? 
La grand óra Pé arriva 
DP Italiana libertà. 



(a) Figli di quel barone Bandiera veneziano che aveva catturato 
sulle navi austrìache i 90 profughi della Romagna nei moti del 1831 
e aveva sorpreso in mano all'esule Federico Confalonierì nel 1837 il 
piego destinato ad Alessandro Andryane guadagnandosi colla delazione 
il grado di contrammiraglio, riscattarono Attilio ed Emilio Bandiera 
V onore della famiglia dall' infamia paterna. Attilio alfiere di vascello, 
Emilio in minor grado agli stipendii dell' Austria cospirarono con 
AfaBsintt a cui scrìveva Attilio offerendosi per la rigenerazione dell' Italia 
e dell' umanità. 

Scoperto il suo carteggio, T Arciduca Ranierì indusse la madre dei 
Bandiera fuggiaschi a richiamarli colla promessa del perdono. Inutil- 
mente sperando nelle mobili bande Calabresi e nell'ambizione di Fer- 
dinando 11^ re di Napoli, a cui offersero di porsi a capo del movimento 
unitario, salparono la notte del 13 giugno 1844, ^^^ pochi compagni, 
da Corfù per Cotrone di Calabria. Ivi il Córso Pietro Boccheciampe li 
abbandonò sulla via di Cosenza e li denunciò al governatore. Corse 
voce che fossero venuti coi Turchi a saccheggiare. La plebe della cam- 
pagna fu loro contro. Presi in nove, dopo breve lotta a S. - Giovanni 
in Fiore, giudicati sommariamente dalla Corte Marziale, furono mo- 
schettati il 25 luglio nel vallone di Rovito fuor di Cosenza, dopo 
molte ferite e morali torture, rifiutando lusinghiere promesse di grazia 
'dagli stessi giudici. Emilio nell* andare al supplizio esclamò : Il nostro 
sangue farà l'effetto dei denti di Cadmo; e tutti nove: Chi per la 
patria muore vissuto è assai! — Ogni altra nota o commento a que- 
st* Ode di altissimo senso lirico, in cosi dimessa veste vernacola, gua- 
sterebbe. Tutta s' intende col cuore. 

(i) e Suggelliamo eoi sangue la nostra fede ». Verso dell'Inno 
che la cattoUca Chiesa canta nella festa dei Santi Martiri. 



— 155 — 

Con la palma dèi martiri 
Peve dvù povri frate), 
D' Ferdinand an mes ai sbiri 
Prove tnaje, ciò e marte j. 
Vii Borboni a Pé vnù 'l dì 
D' paghe i debit dco p&: ti. 
La campafìa Pà sona 
DP Italiana libertà. 

VivaMtalial a Pan le sponde 
Proclama d^ Malta e d^Corfù; 
Viva Italia I i vent e j'ónde 
L^an d' Sicilia ripeta; 
Viva Italia I al pass estrem 
Peve ancóra dit ansem; 
E a vost sang Pa frissónà 
LMtaliana libertà. 

Tuti unì dal són dia trómba, 
Con un vel dsóra ^1 drapò, 
Guardò ancheui su vostra tomba 
I fieni dPArno, i fieni dèi Po. 
L'è prò vera che i regret 
Ant Paut mònd fan poch effet; 
Ma spirand, j'eve fónda 
LMtaliana libertà. 

Cóntra mila e mila squadre, 
Sòt la cupola d^San Pe; 
Oh pórtent, un Santo Padre 
A Pé chiel eh' a dis ai Re: 
— Da la nav eh' a guida ij stat. 
Giù j' Eródi, giù i Pitat: 
Torna al mond santifica, 
Italiana libertà. 

I monsgnór e le eminensse, 
A la vós dèi gran Pastór, 
Són vnù smort per le indulgensse, 
E '1 sacrista Pà avù por, 
Dop tant temp eh' a va a Pincant 
Per la grupia èl Spirit Sant. 
El Vangeli a Pé torna 
DP Italiana libertà. 

Santo Padre, se a Pé dita. 
Che a dispet d'ij tauss devot, 
D'ij Cróat e d'ij Gesuita, 
D'Luis Flip e d'Iscariot, 



- 156- 



Ai sia un Papa mai pi vist 
Ch'a Pà fede an Gesù Crist, 
Viva '1 Papal e a triónfrà 
LMtaliana libertà. 

E ti Popól, che a la terra 
T'às na volta comanda, 
Grand in pas e grand in guerra, 
Con la toga e con la spà, 
Popól d'Rómal già che 4 ciel 
A precedne at ciama chiel, 
Con to casch a'n rivira 
L'Italiana Ubertà. 

Sót j'auspissi dèi turiból, 
Re pervers j*eve finì 
D'Roverné con èl pati boi 
E la crossa dèi fusi. 
Giù póliss e inquisissiòn ; 
Feve popól e nassión: 
E i delit av pèrdónrà 
LMtaliana libertà. 

I ottobre 1847. 




CANZONI DEL 11° PERIODO 



« Torna tòma ant to cantòn 

« Guarda '1 mònd e fa d'canssòn », 



ME CANTÒN («> 



Sòt ai fròi, dare d'na grìa, 
Fra j^ aragli dMj catafus^ 
S6n vint ani chM scrivia 
« Canta e rid da to pèYtus 
I f as fait un bel guadagn 
A smentié coi bravi aragnl 



» 



(a) L' Autore dopo il i.° ottobre 1847 non compose o verosimilm. 
non pubblicò altre canzoni piemontesi. Come Béranger nella sua e He- 
stauration de la Chanson » coliMntercalare : < Chanson, reprends la 
couronne, Messieurs, gran merci! » dopo avere sognato che la libertà 
costituzionale del 1830 avrebbe detronizzato la satira insieme a Carlo X, 
Brofferio riprende con questo rimpianto delle illusioni perdute lo staf- 
file dimesso, e segue a flagellare clericali e moderati. Fu scritta pro- 
babilm. nel Maggio 1853 quando Camillo Cavour chiamò Urb. Rattazzi 
nel suo ministero di 2.* formaz. intitolato precisam. da A. BrofFerìo 
sulla Voce della Libertà « il Connubio 9. La Russia col pretesto di 
assumere il protettorato dei Cristiani in Oriente, lanciava alla Turchia 
un ultimatum: e il 3 luglio invadeva gli Stati Danubiani retti sotto 
l'alto dominio della Turchia dai loro capi (Voivoda e Hospodàr). 
Inghilterra e Francia si allearono. Napoleone III aveva bisogno di 
distrarre i Francesi cannoneggiati il 2 die. 1850 e privati con larva 
di plebiscito 21-22 die. della costituzione repubblicana acquistata nelle 
tre sanguinose giornate del febbr. 1848. Inghilterra voleva troncare 
alla Russia il predominio navale sul Mar Nero e la strada alle con- 
quiste dell' Asia e dei Balcani. Cavour indusse Vitt. Emanuele II a 
frammettersi in questa combinazione d' interessi per acquistare diritti 
di espansione sulla Lombardia, appagandosi 1' Austria estendente dal- 
l' Italia verso Oriente i confini dell' impero. Ma l' Austria non abboccò 
all' offerta Napoleonica, ed il Piemonte rimase col carico dell* impresa 
di Crimea. Spese cento milioni e vi perdette migliaia d' uomini tra 
choléra e battaglie ( duce Aless. Lamarmora istitutore dei Bersaglieri ). 
La lega del 1859 avverò il disegno di Cavour. Contro l' Austria ri- 
luttante ai trattati si addensarono le ire del sire di Francia fermatosi 
poi nel cammino delle congiunte vittorie a Villafranca Veneta e ripa- 



— i6o — 

Tóma tóma ant to cantòn 
Guarda ^1 mónd e fa d'canssón 

La la la la 
Regni e sita, 
Póver dia strà 
Tut as na va. 

Gran còntrast e gran misteri 1 
L'om se stess peul nèn capii 
Mentre a dis cne d'no '1 criteri 
Na vòs creusa a dis che d'sì. 
Brut regal per nostra età 
Cól d'un' anima elevai 
Tóma torna ecc. 

Da un pcit ciair d'na tòr lontana 
Vdend P Italia sbalucà 
Peu chélrdù eh' la ^ran campana 
Rimbómbeiss dia libertà 
Trist inganl L'era '1 batocc 
D'ia gran cièca d'i) baboccl 
Tóma torna ecc. 

Liberai da bródarie, 
Demócraticb da pensión 
Mentre lór fasio per rie 
E mi furb fasia da bón. 
Astu vist, astu capi 



gatosi del disturbo colla cessione della Savoia culla della dinastìa e di 
Nizza patria di Graribaldi (24 marzo 1860). Né al tatto dunque errò 
Ang. BroSerìo tremando in questì versi per l'alleanza innaturale del 
Piemonte 'coi tiranni e massime per quella che poi andò a monte per 
caparbietà di Vienna, e l' avrebbe messo a lato degli esosi suoi satel- 
lid, come fummo a lato dei Turchi. 

^ questa la prima Canzone dell' £diz. illustrata con forti incisioni e 
caricature su legno, in - 4*^ , a dispense e pubblic. dallo stesso Autore 
ìu Torino, col titolo « Neuvt Canssòn Piemànieise ». Esse devono 

formare una Serie affatto distinta in questa Centenaria Edizione, dove 

la satira personale Aristofanesca coi nomi proprii fa capolino, come 
accade in tempo di maggior libertà, pur conservando l'alto fine di 
correggere, ridendo e mordendo, il mal costume e sfatare 1' errore pò- 
lirico e sociale, di promuovere e affrettare 1' unità, l' indipendenza e la 
libertà degli Italiani. 

Spieg€tMÌoni di vocaboli \ — frói^ catenacci; gria, inferriata del car- 
cere; pertus, finestrella; ciair , lume; òaòocc^ ingenuo: òòfe^ blatte; 
cósse^ zucche; pauta, fango; mniSf immondezzaio; a coeur desòlàf a 
cuore squarciato; a rabelt smarrito; sgnachélo^ schiacciarlo. 



— i6i — 

Esse ólóch lo ch^a veul dì? 
Torna torna ecc. 

Quanti mobil d' regia scala, 
Quante bòie dal col stort, 
Quante cosse da timbala, 
Quanti rat da sole mort 
Al bilanss tirand '1 pnass 
Són dventà d' Italianass I 
Torna tóma ecc. 

Dio preserva ch'am rincrèssa 
Vciend mónte la pauta e '1 mnis 
D'nen avei bast e cavè'ssa 
Marcandà per me paisl 
Ma tut un a j'é d'vrità 
Ch^as imparo a coeur dèsblà! 
Torna torna ecc. 

An disio: salve '1 Statuto 
Veule pà? Fideve a nói, 
Per vost ben venta ch'iv buto 
Musaròla, corda e frói. 
Sòma piassie : e peni ? pian pian 
An Crimea con Turch e Alman. 
Torna torna ecc. 

A són triste le vicende; 
El present a Pé fatai; 
Pi un s^amassa a felo intende 
E pi ^1 mónd a capiss mal. 
Dèi Piemónt un vel d^malheur 
A confónd la ment e ^1 coeur. 
Tóma torna ecc. 

Ma gnun crèdda ant l'ann sinquanta 
El bon sens franch a rabel, 
Quand un veul sgnachelo d' pianta 
S'icva '1 popól e a fa chiel. 
Fin che stanch d^vèddne a suffrì 
Splenda ^1 sòl per cól gran dì, 
Torna torna ecc. 



V 



11 



— 102 — 



AL CUSINÉ DEL CÓNT CAVOUR i-) 

MORT D£L CHOLÉRA A TURIN 



ESEQUIE DLA MALVA 

Don, dòn, dòn, dòn, dòn, dòn, dóni 

— Cosa j'elo? cosa j^clo? 

— A j'é mort un marmitòn — 

— Sóterrelol sòterrelol 

— Che sòtròr? A va piassà 
Dsòr na gbulia e proclama 
Re die tòrte e di tórtei: 

Lux perpetua luceat ei, 

Povra malva, te dolor 
A faria sciape le pere; 
S'a fuss mort tì cònt Cavour, 
Là, passienssa, misererei 
Ma no s^nòr: so cusiné 
A Pé chiel eh' a pia còngé: 
Pi gnun tòrd, pi gnun frìnguei ! 
Jlux perpetua luceat ei. 

Che disné, che fìer disné! 
S'iè'ccria '1 muso fina '1 Papa, 
A ogni lege da vote 
Marameo che bòna lapa! 



(a) Il partito della moderazione fu detto malva, erba medie, emol- 
liente, dallo stesso BroJfferio nel suo giornale « La Voce della Libertà » ; 
il nomignolo vive anche oggi. — La morte del Ministro importerebbe 
meno ai Moderati poiché amano più la conservazione delle loro laute 
prebende che 1* uomo che li capeggiò. Morto V uomo, non sempre do- 
cile alle loro smoderate voglie e tendenze reazionarie, i soddisfatti che 
versarono fiumi di lagrime ai funerali si videro subito anfanare e bi- 
sticciare per raccoglierne con modo inesperto 1* eredità. Camicia di Nesso 
che ne bruciò la pelle e la reputazione usurpata. La convenzione vi- 
gliacca di settembre 1864, che dava Italia mancipia al Papa e alla 
Francia, fu il parto mostruoso della Consorteria imperante. Brofierio fu 
anche in questo l' ottimo veggente. La canzone è dunque simbolica. 
Il cuoco defunto rappresenta tutto un sistema di mangerìe tollerate 
pel buon fine della unificazione d' Italia fra capiparte esuli e Piemon- 
tesi, che dopo Cavour dilagò e corruppe anche la sinistra storìca. 



— 163 — 

Schede d'sà e sausse d^là, 
Si un bilanss, là una frità. 
Le nassión s' salvo pareil 
Lux perpetua luceat et, 

Pìand a causs ant èl faudal (i) , 
L^ opinion eh' a lecca e a baula, 
Nói, èl codice Penai 
Lo ciadlavo stand a taula: 
Vist non vist i dasio ardriss 
Ai articól e ai pastiss. 
Gnanc Sólòn fasia nen mei! 
Lux perpetua luceat ei. 

Quand con Viena e con Paris 
I calavo giù k braje (2) 
Ai na fusslo die pèrniss 
D'bècassin, d'iodole, d'quaie, 
Punch Ingleis, sau-crau Alman, 
Créste d'Franssa, kirs Prussian; 
Gnanc na mósca ant i fideil (3) 
Lux perpetua luceat ei, 

J'erlo '1 papa sul candlél (4) 
Fora un ris al sugh d' augnila; 
Quaich neuv croch perlo da fé? 
La fóndua pensava chila. 
An fasio sapient e dot 
Le lasagne e pagnólot. 
J' ero propi fior d' sèrvei I 
Lux perpetua luceat ei, 

Stat civil, abólissión U) 
D' menaste, d^fóri, aMògane 



( I ) faudalj grembiule» pancia. Lo ciadlavo^ Io trattavamo : da Cialda:» 
frittella dolcei per metatesi ciadloy ciadU, impasticciare. — Ardrissy 
sèsto, garbo. 

(2) La paura smuove il corpo, e fa calar le brache.. 

(3) Una mosca caduta nella minestra (fidéi, vermicelli) muove tutti 
i banchettanti a rumore: Sinonimo di discordia. 

(4) Essere sul candeliere^ vale predominare. Frase tolta dalla fa- 
stosa illuminaz. delle pompe solenni, dove sui candelabri torreggianti 
air aitar maggiore s' innastano i torchioni di cera palmati e]^ dipinti. 
— Croch, prestito. — Fóndua, cacio molle fuso con uova: sperpero 
di sostanze pubbliche.- 

(5) Stato civile in progetto, poi istituito con legge e codice civ. ital. 
del 1865. Toglie ai preti la tenuta dei registri di nascita, matrimonio 
e morte. La legge Siccardi, allora in formazione, tobe ai preti il Tri- 
bunale ecclesiastico, detto Foro, e li assoggettò alle leggi comuni. 



— 164 

Sperine tut e in conclusiòn 
Pavré ^n fòtre che d'gius dorane. 
Mossión, vót, órdin dèi dì 
Cosa sónne tut Ioli? 
Polentina con j^ósei. 
Lux perpetua luceat ei. 

Cól gran dì, tnómlo da ment 
Che ^1 Piemònt sensa fé d* lande 
An mandava al Parlament 
Tante cosse memorande, 
Sachèrbleu chM Pero pieni 
Là, bónheur ch'as chèrpa nenl 
Ringrassióma Domne Dei. 
Lux perpetua luceat ei. 

Pomni d^Stat Pan sul cupiss (i) 
Cóst un corn, còl una lupia, 
E sul front sMj guarde fiss 
A seurt fora n^anvìa d^grupia; 
Diplomatich, finanssié. 
Tuta gloria d' potage. 
Viva ^1 Dio d^ij cancjstreil 
Lux perpetua luceat ei. 



I FUNERAI D' SANT ARNO («) 



Jer dia caria d^ berloch, tapissà d' plache 
Con tanto d' prepotent scrit sui barbis 



(i) Cupiss, nuca. — Corni e lupie, escrescenze di carne e cisti 
patologiche, indizio di depravazione di gusto e di passioni perverse 
secondo la volgare, né tutta improbabile, credenza (Darwin). — Anvia, 
desiderio, voglia (francesismo). — Canestrelli, cialde in figura di tra- 
liccio scannellato. 

(a) Ecco la satira spietata, ma veridica, del Colpo di Stato, nel 
quale il Maresciallo Saint Arnaud ha rappresentata la parte di ordi- 
natore ed esecutore sanguinario. Luigi Napoleone nipote del primo 
Bonaparte, perchè figlio al Re d' Olanda Gerolamo, dopo avere, esule 
in Inghilterra e in Italia, congiurato coi Repubblicani e ingraziatosi 
cosi coi migliori intellettuali di Francia, tanto che Eugenio Sue V ebbe 
a modello del suo prìncipe eroe nel suo celebre romanzo e / Misteri 
di Parigi », dopo due infelici tentativi di sommossa contro Luigi 



— 165 — 

An mes a un coro d^ singher e barache, 

Un sóldà tam bussava al Pafadis. 

Chi viv? A cria San Pé. — Són Sant Arno — 

Grassie Pautr a sòggións, j'andrìa mach lo — 
E piantandsse tutt brusch dnans a la porta, 
A replica San Pé : va al Diau eh' at porta. 

El pover Maressal chìnand la testa 
Tut cònfus a rispondi Ma Santità 
Chiel am fa nMngiustissia manifesta: 
I sòn V eroe che P órdin P a salva. 
Pr' un Sant eh' a sa a memoria '1 drit Roman 
El so, eh' a scusa, Pé un decret da can. — 
Ma stèrmand tute dòe le ciav dia porta (i) 
A replica San Pé: va al Diau ch'at porta. 

— Adasi Santità: mi sòn stait member 
D'tute le eriche còntra i giacóbin; 
I sòn la ròa dèscausa del dói dsember 
EJichtrel i n'eu tira d'acqua al mulin; 
Senssa mi la pantòfla sul brande 
A dventava un savat da peirólé. — 
Ma fasend sentinela su la porta 
A replica San Pé : va al Diau eh' at porta. 



Filippo a Strasburgo nel 1836 e nel 1840 arrestato e tenuto in for- 
tezza, nuovamente esigliato, colse i frutti della terza rivoluzione Fran- 
cese. Il IO nov. 1848 si fece eleggere Presidente, corruppe i capi del- 
l' esercito sempre smanioso di imprese guerresche. Fece contro la nuova 
Repubblica di Roma nel 1849 il proditorio sbarco dell' esercito a Civi- 
tavecchia, e quindi V assedio alle vecchie mura difese da Garibaldi, 
Bixio, Manara, Mameli e dagli altri eroi della scarsa legione Italiana. 
Oppressa con molta strage la libertà in Italia, converse le armi liber- 
ticide contro il Parlamento e il popolo di Parigi; e fattosi proclamare 
Dittatore decennale, si nominò, poco appresso, imperatore col plebiscito 
delli 21 e 22 die. 185 1. Oltre Saint Arnaud^ Magnau e altri generali 
corrotti con danaro preso dalla banca di Francia e con cariche lucrose, 
gli sovvennero V astuzia del diplomatico Momy e consigli del costrut- 
tore Haussmann, il largo appoggio del clero, degli artisti e dei letterati, 
degli industriali a cui il secondo impero fu largo di protezione e di 
cure. Ma V insaziabile Dio della Guerra, la corruttela dell' amministraz. 
militare e civile che lasciarono il suo grande esercito segretamente 
disarmato e impreparato a lottare colla Germania, dopo averla folle- 
mente provocata, rovinarono, dopo 19 anni di vita, l' edifizio elevato 
sul delitto. Victor Hugo lo fulminò col libro € Napoléon le Petit », 
col carme « Les CkcUiments » e coir« Histoire d* un crime ». Nulla 
valse a ricostruirlo ! — Si veda pure più avanti, il commento alla Can- 
zone € Luisin o Nicolò? ». — V. pag. 175. 
(I) stèr mandi nascondendo. 



— i66 -. 

— L'è an causa mi che santa Ginójcfa, (i) 
Guaria dal reumatism dia libertà, 

S'è Iva la bèrta e s'è butà la cóefa 

Per tOrnésse a móstre na santa d' cà. 

Peu spergiura, l'è vera, ma Ioli, 

Chiel a le Papa, e a sa cos'a veul dì. — 
Ma sempre con le spale vers la porta 
A replica San Pè: va al Diau ch'at porta. 

— Vostra Beatitudine ch'ai pensa, 

Ai daran pr'èl cupiss dd lasagnón. (2) 

Se a Róma l' è fótua l' indipendenssa 

Elo nen me gran merit, sacnèrnón? 

Se i popol a Pan fait l'erbo fórchù 

Elo nen me gran vanto sachèrblù? 

Ma con le gambe an cross cóntra la porta 
A replica San Pè: va al Diau ch'at porta. 

— O a Pè lónga! Ma in grassia eh' a rifleta 
Ch'a l'era andait an aria èl bicóchin, 
Che dòn Mastai disia ^1 credo a Gaeta, (3) 
E ch'ai tirava vérde Lambruschin, 

Sónne nen mi eh' j' eu sbè'rgiairà i brigant (4) 
E ch'j'eu rifait èl bèch al Spirit Sant? — 
Ma con le man sui fìanch dnans a la porta 
A replica San Pè : va al Diau eh' at porta. 

— Chiel fa bel di, ma se dop Pann sinquanta 
TFranseis són lassasse rinfrèschè 

Pabitin, le manèftte, l'acqua santa, 

I miraco, èl cant ferm, le spie, j'arcié 

E se adess fra le gambe a tefio '1 pnass 

Sarijlo d' volte per so bel mostass? 
Ma con un fótre da scrólè la porta 
A replica San Pè: va al Diau ch'at porta. 

— La rasòn d' me malheur sarijla cóla 
D'avei sposa la causa del Sultan? 

(i) Sainie Généviève^ chiesa dei Miracoli protettrice della città di 
Parigi. Sotto la Repubblica aveva il berretto rosso, sotto V Impero 
rimise il velo nero (cóefa) delle beghine. 

(2) Le daranno del matto per la gola; — cupiss^ nuca. 

(3) Il Papa Pio IX rifugiatosi a Gaeta da Roma, dopo la uccisione 
del ministro Pellegrino Rossi per mano di sicario ignoto e la procla- 
mazione della Repubblica in Campidoglio. — Lambruschiniy canonico 
sedicente liberale, promotore delle piccole riforme (V. Nota 3'*^, pag. 142). 

(4) Non sono forse io che ho disperso i briganti ? — Chiamavansi 
Briganti dai governi tirannici i repubblicani e altri di parte decisam. 
progressista. 



— 167 • 

Ma Papa e Turch són na bótega sóla, 
Són mariasse ^1 vangeli e Palcoran, 
E per tnì i pé sul col a le nassiòn 
Preive, muftì, rabin, tuti a són bón. — (i) 
Ma mólandie un scópass lì su la porta 
A replica San Pé : va al Diau eh' at porta. 

- An cónclusion, eh' a guarda Beatissim 
Ch'a guarda cóm a pióra tut Paris; 
Cóm su mia tómba a supplica PAltissim 

Per eh' am piassa a la drita d' San Dionis. (2) 

— Rómpme pi nen le scatole impóstór. 
Se i paiass fan cari ve tant peg per lór; — 

E sarandie ans la mótria la porta 

A replica San Pé: va al Diau ch'at porta. 

1 DÓI CÓNTW 



c Quelli che non si contentano oggi di Cavour 
dovranno contentarsi domani di Revel* » 

Il Parlamento. 

Fra l'Almagna e fra la Franssa 
Cóst Piemónt mal tapassià 
A 1' à dòi grivóé dia ganssa (3) 
Per sóstnì sóa libertà. 
Strepitós veule un sèrvel? 
Guardé lì sòr Cónt Revel? 

{a) Ministro Thaon di Revel: rappresentava la reazione, il despo- 
tismo intollerante dello statuto e repugnante anche alle più strette 
interpretazioni di esso. Camillo di Cavour^ sosteneva la bontà della 
Costituzione d' Inghilterra e gli adattamenti dello Statuto allo spirito 
profondam. aristocratico e insieme utilitario di essa, contemperato dalla 
recente libertà di commercio e dalle altre parvenze di democrazìa. 

(i) Muftiy sacerdoti Mussulmani. 

(2) Dionigi, altro Santo protettore di Parigi. Nella sua chiesa i re 
di Francia antichi s* incoronavano, e colla lavatura dei piedi e con 
altre degnazioni ai malati e ai mendicanti si rendevano popolari. 

(3) ganssa, gala, fettuccia distintiva; — Grivóé cacciatore di grive, 
uccelli di passo nel tardo autunno pei monti: perciò i cacciatori di 
tordi non temono il freddo, sono coraggiosi, pronti ad ogni sbaraglio. 
Si noti l* ironia. — pòr^ paura. 



— i68 — 

Veule un genio eh' a fa por? 
Guardé là sor Cònt Cavour. 

Roma un di con d'Fabii e d' Bruti 
Dasia le^i a le nassión, 
Ma Turin s'ambrigna d'tuti 
Con dòi Cònt caria d'ealón. 
Se Cavour a va a rabel (i) 
Tèmme nen, a j'é Revel: 
Se Revel Pa n'anfreidòr 
Fé córage, a j'é Cavour. 

Fra la brina e fra la giassa 
Còm d'invern as peul sòasi, (2) 
Còm d'ij luv pr'avei la rassa 
D' ij luvot as rója *1 ni ; (3) 
Sceglie pur da bòn fratel 
Fra Cavour e fra Revel; 
Tire drit da bòn tutor 
Pie Revel o pie Cavour. 

Pr'èl Statuto a Pé notori 
Ch'a dè'slinguo tuti dòi; (4) 
Un lo veul tapiss d' mortori, 
L'autr lo veul pómada d'fròi. 
Per vnì tisich a bel bel 
Giamé prest sòr Cònt Revel; 
Per mangié fina ij stòfòr {5) 
Tnive ampess sòr Cònt Cavour. 

Còl a smurcia pr' ij gesuita, (6) 
Còst an vena ai fieui d'Abram; 
Tuti dòi darìo la vita 
Un pr' ij taicc^ P autr pr' ij goddam , 



(i) rabel, rovina. 

(2) sóasif scegliere, (fr. choisir). 

(3) ^àia, si rimescola per scegliere il più bello. 

(4) sdilinquiscono dall* affezione : dicesi dei sentimentali affettati simu- 
latori. 

(5) Revel fa morire di consunzione la libertà considerando come 
lettera morta lo statuto: Cavour la manda in rovina colle sue tasse, 
e si serve dello Statuto come di un pretesto per le sue repressioni e 
pe* suoi sequestri, arresti, esigli di liberali, simulandone la rispettosa 
osservanza, come il grasso dato ai chiavistelli rugginosi (frói) li fa 
scorrevoli. 

(6) smurcia, guarda di sottecchi ; 1* altro favorisce 1' usura, i giuochi 
di borsa, ì prestiti. — Taicc, Deutsch, tedesco; Goddam, esclam. Dio 
ti danni! inglese. 



169 — 

Veule d'Viena un grimandel? 
En avant sor Cónt Revel. 
Veule d' Londra un dè'stissór 
Allons, marche sòr Cónt Cavour. 

Ch'ai na sia d'rabei an Spagna, 
Che '1 Sultan na fassa d'guaì 
Dia politica la bagna 
Pr^ij babocc a cambia mai. (i) 
Ch^a sia brutt o eh' a sia bel 
Venta piesse '1 Cónt Revel. 
Tòira d'sót o tóira d'sór (2) 
Venta seurbe '1 Cónt Cavour. 

Fasend finta d^ jfjliné '1 Papa, (3) 
D'gatié ai preive la ciria 
An Piemónt a Pé una lapa 
Siringhe la libertà. 
Per pie d'acqua ant un crivel (4) 
Chi pi buio che Revel? 
Per re ciair con n'ambòssór 
Chi pi grinta che Cavour? 

La repubblica sovrana 
Se dóman vneiss a Turin 
Tuti dói un bónet d'iafia 
Gavrio fora dal códin. (5) 
D'i) tiran veule un flagel? 
Tnì da cura ^1 Cónt Revel. 
D'ij caplón veule un sótrór? 
Niente d'mei che '1 Cónt Cavour. 

Dolorósa, iniqua istoria 
T'as subì d'sang e d'tórment 
Povra Italia I Ma d' tóa gloria 
L'è spóntà '1 dì finalmentl 



(i) baòocCf cani barboni, i più domestici. 

(2) mesci sotto o mesci sopra, bisogna sorbirci Cavour. 

(3) plinéf battere; gattéf stuzzicare; ctridf la tonsura; lapa^ una 
cucagna: è facile ingannare di soppiatto la libertà insinuando nei prov- 
vedimenti le più tiranniche violenze. 

(4) pareggia Revel alle Danai di da comparsa: il crivello o cribro 
è lo statuto, la libertà vi passa dentro ma non vi resta mai. Raffi- 
gura Cavour con un imbuto in mano: chi vuol vedere la libertà per 
un forellino vi ficchi il viso addentro. — GrintOy ceffo: uomo sfac- 
ciato. 

(5) Si camufferebbero da repubblicani. — Caplón^ gesuiti: si badi 
air ironia. 



— 170 — 

T'as sufTert tnaje e martel, 

Ma t'as fait minist Revel; 

T' porte ^1 sègn del lass scòriór, (i) 

Ma t'as fait minist Cavour. 

Per tut lo Torquato e Alfieri 
J'Alp e '1 mar a Pan còmoss; 
Per tut lo d' Menotti e Speri 
Sòt la forca a deurmo j'oss. 
Intelet, luce dèi ciel, 
T'as suda mach per Revel! 
Libertà, sòspir d'Nóssgnór 
T'as piòrà mach per Cavour! 



Wt 



L'ABÓLISSIÒN DMJ CONVENTO 



(Padre Guardian e Coro d'frà) 

P. Guardian: Bruta neuva: Orate fratres! (2) 

Bruta neuva per da bòn. 



{a) BrofFerìo scrìveva questa canz. nel febbr. 1855, allorché discute- 
vasi in parlam. il progetto di legge per la soppressione di Comunità 
religiose, (Vedasi il discorso pronunciato da Urbano Rattazzi, Ministro 
di Grazia e Giustizia e Reggente il Dicastero deir Interno, nelle tor- 
nate dell' II genn. e 15 febbr. 1855; e quello pronunciato da Cafntl/o 
Ctìvoiir^ Presidente del Consiglio dei Ministri, e Ministro degli £steri 
e delle Finanze, nella seduta del 17 febbr. 1855). 

Questa canz. è una riuscita satira contro i disegni di leggi riformiste 
in genere, che a tutta prima appena presentati al parlamento seminano 
il terrore nelle file degli interessali, ma poi o si perdono nel nulla 
attraverso il cribro della discussione, oppure recati a porto non modi- 
ficano il primitivo stato delle cose, quando non aggravano ancora i 
mali che si volevano correggere. — Noti il Lettore il primitivo spa- 
vento dell'astuto padre guardiano, ed il crescendo di gioia nel vedere 
che la legge porge mille scappatoie, e non attinge il voluto effetto. 

( I ) La satira vernacolai assume sul finire l' intonazione elevata del 
carme italico senza affettazione, con trapasso naturale, togliendo V im- 
pressione di troppo personale acrimonia che le precedenti strofe avreb- 
bero lasciato, per richiamare il lettore ai principii generali di libertà, 
il cui grande amore l'aveva ispirata. 

(2) « pregate, o fratelli » (parole della Messa cattolica). 



- lyi — 

Babylonts impii patres (i) 
Porto ^1 Diau an prócessión, 
I cónvent o pover mil 
I cónvent són abolì. 
Chi ha mai vist cose pi orrende? 
Adjutorium meum intende, (2) 

Coro d' fra: Povra stola, povra capa, 

Povra Róma, pover Papa! 
A la larga da Ratass, 
Fieul d'Cain, fratel d'Gaifass 
Totum in circuitu. (3) 

P. Guardian: Sulle sacche incappucciate 

A Pan dait un famós crèp (4) ; 
SonOj è verOy conservate 
Le galine d'San Giusèp. 
Cóle d'Vagnus, dèi zabò, 
Dia cróvata a lo sòn dcò. 
Ma tut un, sòma ant la bagna 
Quia fecerunt mihi magna, (5) 

Coro d'frà: Povra stola, povra capa, 

Povra Róma, pover Papa! 
Dovrà cheuse cóst Ratass; 
Ant la brónsa d'Satanass, 
In die judicii, 

P. Guardian: Ma il Demonio,,, passa via!.,. 

Uè mai brut cóm èl mónd dis. 
E podremo in sacrestia 
Ghigne prèst sót ai barbis. 
I ministr a fan d'ciagói 
Ma chiet chiet a són con nói. 
Parsigneui s'ia vedran bruta. 
Domus Aaron est tuta, (6) 

(i) € gli empii padri di Babilonia 9, (parole delle Profezie e dcN 
1' Apocalisse ). 

(2) e Vieni in mio aiuto ». (Invocaz. di Davide nei Salmi). 

(3) « Tutto in giro ». (Parole delle profezie che il medio evo usurpò 
anche per la cabala, ossia per le scienze occulte). 

(4) crèpf colpo. — Galine^ vezzeggiativo fratesco usato per signif. 
modestia, sommissione alla regola del convento. — Agnus, scapolare 
di tela in croce e reliquie. — Jaòó (fr. Jabot) fettuccia increspata alla 
cuffietta. — Cr&vata, fettuccia incresp. per collare, ^a è tutt' uno, 
siamo neir acqua fino alla gola. 

(5) « perchè mi fecero grandi violenze «, (parole dei Salmi penitenz. 
di Davide Re). 

(6) < La casa di Aronne é sicura » : Aronne fratello di Mosé capo 
della tribù di Levi e del sacerdozio Ebraico, ( versetto dei salmi corali ). 



— 172 

(loìu) d'krà: Cònservómla povra capai 

Difendòmlo pover Papa! 
Ch'a sia vera che Ratass 
Veuja nen mandéne a spass? 
Exultabit spiritus. 

I*. (juaudian: Mantenuti sono in vita^ 

Tambórnin dMj Lojolei, (i) 
jy Scolopj^ i Barnabita 
h i gloriósi Ignòrantei. 
Coi ch^a móstro Palfabct 
I Latin, i Latinèt 
Dóvran perde gnanca un'uja (2), 
Deo gratias, alleluja! 

Coro d'krà: Peduchròma, jMnsegnróma, 

Viva ^1 Papa, viva Róma 
Tut ansem, cól can d' Ratass 
A l'a an bóca poch scumass. 
Vade retro Satana, 

P. (juardian: Sursum cordjl, peui saprete 

Che fasend Pospidalé 
O^ni frate ed ogni prete 
Titta drit a patòjé. 
Tómalón, Carmelitan, 
Certósin e Francescan, 
Spèrmran tuti d' camomilla (3) 
Teste David cum Sjrbilla, 

Coro d'frà: I spèrmròma, i distilróma 

Viva ^1 Papa, viva Róma! 
Kyrie eleison, Ratass (4) 
Veul nen déne un gran scópass, 
Humana sunt tempora. (5) 

(1) I Gesuiti, seguaci di Ignazio di Lojola. Aboliti da Papa Cle- 
mente XIV col breve dei 13 ag. 1773 Dominus redemptor nostrum ^ 
ripristinati da Pio VII con bolla 7 ag. 18 14, crearono intorno a se 
numerose figliali sotto nomi parte antichi, parte moderni. A guisa di 
Tamburini della G)mpagnia, Scolopi, Ignorantelli, ecc. precedettero i 
riamessi padri dopo la cacciata da Torino nel 1848. I nomi non con- 
tano: le istituzioni restano cogli stessi uomini, sotto altre spoglie. 

(2) uja^ ago, spilla. 

(3) faranno da calmanti agli spiriti rivoluzionari. — « Cosi dice Da- 
vide nonché la Sibilla ». Curiosa mescolanza medioevalc di testi pagani 
ed Ebraici in un inno della Chiesa. 

(4) « O Signore, abbi pietà » : parole del rituale Greco conservate 
nel messale Latino. 

(5) « I tempi sono più umani t. 



— 173 — 

P. Guardian: Poi vi debbo sicurare 

Che la grupia a manchrà nen 
A o^ni prete che sbragiare (i) 
Sa dal pulpit mal o ben. 
D'panegìrich e dMiscórs. 
Da cómeuve fina j' órs, 
Na tróvróma da empi d'gorbe. 
Pàrturientes urbe et orbe. (2) 

Coro d' fra : Predichróma, predichróma, 

Viva ^1 Papa, viva Róma! 
Gloria Patri a Pé Ratass (3) 
Mes cólómb, mes corna jass 
Universa pecora ! 

P. Guardian; / Ministri han poi vorsuto 

Un decret ant so tirór (4) 
Per far stare tuti cinto 
E pódei smurcié mach lór. 
Óon Ioli sòma sicur 
Gh^an tenran còm d'pasta d'bur. 
Seguitróma tuti a morde: 
Et laetemur tote corde, (5) 

Coro d' fra : Seguitróma, seguitróma, 

Viva '1 Papa, viva Rómal 
Bsogna dilo, cól Ratass 
A Pè un bón, ma bón fiólass. 
Te rogamus audi nos. (6) 

P. Guardian : Siamo al buono finalmente 

I ministr a tuti coi 

(1) Nel gergo di questo ignorante frate piemontese che introduce 
frasi ital. vuol dire urlare. 

(2) e Generando per tutta la città e pel mondo intero *. Parole 
delle profezie che decantano la prolificazione del popolo Eletto d* I- 
sraele. E cosi sarà ancora dei frati. 

(3) « Gloria a Dio Padre » ; < Tutte le bestie » ; parole del salmo 
Davidico > : et universa pecora campi » in esaltaz. della gloria di 
Dio. Ma qui a bella posta confonde bestie e uomini che si lasciano 
prendere in giro. 

(4) vorsiiy voluto; ciuto, zitto; smurcie\ guardare nei fatti nostri di 
sottecchi, sbirciare. Arte di governo che Rattazzi tramandò ai ministri dei 
giorni nostri : far leggi di propria iniziativa epperciò cosi bene impastoc- 
chiate da poterne essi soltanto interpretare, per mezzo dei magistrati alle 
loro dipendenze, le innumerevoli eccezioni, privando cosi V Estrema 
Sinistra del diritto di introdurre sincera libertà nella legislazione. 

(5) « Rallegriamocene di tutto cuore ». 
(ò) e Te supplichiamo, dacci ascolto ». 



— '74 — 

Che hanno fatto santamente 
El mèste d'gratesse i gnói, 
Per eh' a peusso continue 
Na pensión veulo acórdé (i) 
I ministr sòn propi buli: 
Sicut equi et sicut muli. (2) 

Coro u'frà: O che lapal o che gran lapal 

Viva Ròmal viva '1 Papal 
Venta fé dai corn al pnass 
Tante arliquie d' San Katass. 
Per omnia saecula. (3) 



(i) Grattarsi le ginocchia. La legge dell' Incameramento dei Beni 
Ecclesiastici stabili una pensione ai frati e alle monache in vita, co- 
stituì 1* Asse Ecclesiastico, specie di Cassa di Deposito del denaro 
ricavato dai beni confiscati ai Conventi, convertita poi nell' attuale 
ufficio del Fondo per il cullo: tutta imitazione delle leggi francesi. 
Ma in Italia i preti, parroci e vescovi seguitano ad amministrare i beni 
parrocchiali e vescovili, detti Benefizi, per conto proprio. Alle chiese 
povere lo Stato concede un sussidio detto Congrua Parrocchiale, 

(2) « Come i cavalli e come i muli », versetto delle profezie, tirato 
a significare la sottomissione ai voleri di Dio, ossia del Clero. 

(3) « Per tutti i secoli ». 




'75 — 



LUISIN O NICOLO ? («) 



In Orient mentre a ciacóta (i) 

Pielrobórgo con Paris 

Per chi dvómne aussé la piota? (2) 

Per Nicola, o per LuÌ5? 
S'a la spónta Luisin, 

Bona neuit me bel Turinl 
S'a la ampata Nicolò, 

Bel Turin f as èl fait to! 

A guardé Pé una delissia 
Le gran lècche eh' a dan giù ; 
Ma perchè? per la giustizia? 
Sì, ciamela al feramiù (3). 

(a) Canzone composta verosimilm. dopo la Dichiarazione di guerra 
intimata dalle potenze alleate Inghilterra e Francia alla Russia il 30 
marzo 1854. Imperava in Francia Luigi Napoleone Buonaparte^ in 

Russia Nicolò I. Romano ff, Recapitoliamo le fasi della gusrra. il 3 

luglio 1853 i Russi entrano negli Stati Danubiani; il 30 nov. la flotta 
russa assale la turca a Sinope; il 15 marzo 1854 i Russi passano il 
Danubio; il 22 apr. le navi alleate bombardano Odessa: — d'altra 
parte il 16 agosto la flotta francese prende nel Baltico la fortezza di 
Bomarsund; — Nel Mar Nero gli Alleati sbarcano il 4 sett. ad Eupa- 
toria; — alli 20 sett., vittoria di Alma, gloriosa per la cavallerìa In- 
glese; il 29 stesso muore il generalissimo degli alleati, il Maresciallo 
Saint Arnaud (V. pag. 164). Il 17 Ottob. viene respinto un assalto 
degli alleati a Sebastopoli: ma il 5 nov. vincono ad Inkermam. Il 2 
dicemb. l' Austria aderisce alla Lega Occidentale senza mandarvi sol- 
dati. — Alleanza del Piemonte coi Franco Inglesi il 26 genn. 1855 e 
coi Turchi vincitori ad Eupatorìa conchiusa il 12 marzo; — Moriva 
alli 2 detto mese lo Czar Nicolò I; al suo generale capo MenzikofI' 
succede GrorgiakoE — Il Maresciallo Canrobert succeduto al Saint 
Arnaud cede il comando al maresciallo Pélissier il di 16 maggio; 
Todtleben respinge i Franco Inglesi da Sebastopoli il 18 giugno. — 
Alli 28 vi muore di colera Lord Raglan. — Alli 16 agosto i pie- 
montesi vincono al fiume Cernaja. Seguono assalti feroci a Sebastopoli. 
Presa di MalakofF ( un forte in essa principale ) dai Francesi addi 8 
sett.: Gorgiakoff distrugge i forti e si ritira. — Si aprono gli accordi 
il 16 genn. 1856, e si conchiude la pace in Parigi il 30 marzo. 

(1) ciacóta^ litiga. 

(2) Pollice verso, comandare la morte; pollice recto^ chiedere la 
grazia del gladiatore atterrato. Cosi nei ferocissimi giuochi Romani. 

(3) Il ferravecchi di raro è giusto nelle offerte di prezzo quando 
compra e nelle domande quando vende. 



— lyó 

S'a la spÓQta Luisia, 

Aspèteve ciò e rampin. 
S'a la ampata Nicolò, 

Sòn li prón rampin e ciò. 

Ève fede ant P Inghilterra ? 
Chila a s'bat pPij so mèrluss; (i) 
Ant la Franssa? A fa la guerra 
Per le doble e pr'èl capuss. 

S'a la spénta Luisin, 
Sbìrì, usura e drit divin; 

S'a P ampata Nicolò, 
Iene, luv e kangurò. (2) 

Da una part knoutt e Siberia. 

Tór da l'autra e daga e pai; (3) 

Da si fum, or e miseria; 

Da là spie, bórsa e missal. 
S'a la sconta Luisin, 

Vèn (Jajenna al Valentin (4); . 
S'a la ampata Nicolò, 

El Kremlin vèn a San Mò. 

Tut ansem crèSdve ch'ai fassa 
Cósach pi, o Còsach men? 
Da per tut ai n'é la rassa 
E an Piemònt a s' burla nen, 

S'a la spénta Luisin, 
Bórra d'bast seira e matin. 

S'a la ampata Nicolò, 
Corda ancheuj e doman dee. 

Con i Tartari an Vanchia 
Nost'Ratass farà l'amor, 
S'tróvran subit an famia 
I Lamarmora, i Cavour. 



(i) Trattati di commercio cogli altri stati. L'Inghilterra possiede le 
isole di Terra Nuova esclusiva pesca e caccia di tal pesce. — DobUt 
(Doublcs) doppio Luigi, o 40 lire di Francia, moneta vecchia. — 
Capusst capucci di fraterie ricondotte da Napoleone il piccolo e dal- 
r Eugenia imperatr. in Francia, dopo la presa di Roma. 

(2) Kanguro^ preso per bestie selvagge in genere. 

(3) Torri dei Dardanelli prigione di Stato; e palo con daga infissa, 
supplizio dei Turchi. 

(4) Caienna e Lambessa, Colonie Americane presso i Tropici, deserte, 
febbricose, ove sotto specie di mitigata pena si mandavano a morire a 
domicilio coatto i recidivi comuni ed i condannati politici dopo il 2 
Dicembre. — Valeniino, castello Stor. in Torino, usato qui per indi- 
care Torino stessa. San Mot San Mauro Torinese, nello stesso senso. 



S'a la spònta Luisin, 

Pltalian són al Mòschin, (i) 
S'a la ampata Nicolò, 

Pltalian són giù da Po. 

Quant'ai Turchia Pè una lapa: 
A sóli pasta d'marsapan; 
Anssi a scriv da Róma '1 Papa 
Che pi d^chiel a són Cristian. 

S'a la spónta Luisin, 
Acqua santa e tossi fin; 

S^a la ampata Nicolò, 
Vei cròton e neuv sakò. 

Per chi dónque dvómne tene? 

Liberai, su, dilo vói. 

D' Russia v^ piasne le cadèhe? 

Veule d'Franssa i santi frói? 
S'a la spónta Luisin, 

Tira-bórse e balarini 
S'a la ampata Nicolò 

Rómpa-coi e c-o— col (2). 

Ch'a s'na dago, eh' a s'na pio 
Sul Mar Neir e sul Mar Ross, 
Niente d'mei che preghé Dio 
Ch'ai pia tuti a póm e a tróss. 

S'a rubata Luisin, (3) 
Piemónteis tajé '1 códin; 
S'a va in aria Nicolò, 
Italian fora '1 drapò. 



(i) Vanchigliat regione di Tonno, ad Est, già paludosa dimora di 
pescatori, lavandai e barcaiuoli, abitanti in catapecchie; quei tuguri si 
chiamavano il Moschifto, Era diramata anche per ladronecci e coltel- 
late della cosi detta Cocca, o masnada di malviventi. Oggi è fabbricata 
e frequente di manifatture e di popolo industriale. 

(2) V. nota 4\ pag. 26. 

(3) Rallegratevi ad ogni modo. — Rubata, ruzzola giù. — Coditio, 
emblema di rearJone. Drapeau, bandiera tricolore, emblema di redenzione. 



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1{ 



— i-ò — 

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I BÓMBÓN D'SÓR CÒNT • 

REGAL PfiR LE FESTE 



DIALOGH TRA CX CONTRIBITEXT E CX ESATOR. 

C. — Pest, crìtogama, tempesta 
E peui chiel sòr Esatór 
A m'an dame un crèp sia testa; 
Ma un impieg calmrà '1 brusór. — 

E. — Un impi^h? Drit d'ritenssión, 
Drit d' diploma e d'pròmt ssiòn. 
Su, su, su. 
Fora scu. 
Gloria e onòr 
Al magnifich cònt Cavour. 

C — Tante grassie: mi ij lo rendo 
So diploma su dòi pé; 



ia) Il 12 DOT. 1852 Cavour venne chiamato da Vittorio Eni. II. 
nella composizione del Ministero per le Finanze. Ne assomera alli 1 1 
mag. 1853 la presidenza, attirando a sé qual Ministro di Grazia e 
Giast. r Att. Urbano /lattasti d' Alessandria, e con esso le simpatie 
della Sinistra Parlamentare, come garanzia di liberali riforme, specìalm. 
contro i privilegi degli Ordini Religiosi. In effetto, egli ottenne far meno 
dolorosa l'imposizione di minate angherie e tasse indirette snlle pro- 
fessioni, alle quali la borghesia piemontese non era preparata. Sistema 
qnesto che evitava un peso eccessivo sulla proprietà fondiaria, sulle 
industrie più importanti e sul commercio bancario, i favoriti di Cavour : 
ma preparò il dissolvimento dell' antica prosperità locale, 1* O/nfuÒus, 
enorme cumulo di provvedimenti finanziarii escogitato da Quimiifto 
Sella, lo spreco dei Beni Ecclesiastici e Demaniali accaparrati air asta 
pubblica dalle grosse banche, la dispersione dei piccoli patrimonii, l' emi- 
grazione d^li artigiani indipendenti, l' introduzione delle macchine e 
delle masse operaie proletarie, il capitalismo straniero e la sua tirannìa, 
col dissesto permanente della finanza nazionale. 

Questa canzone di soggetto economico è l'eco fedele di questi neri 
pronoetici che il sistema Inglese adottato dal nuovo ministro di finanza 
faceva pensare al Poeta avversario d'ogni imposizione sulla laboriosa 
e onesta gente. — Si noti il contrasto fra la vastità presunta dei con- 
cetti e la taccagneria degli spedienti usati a spillar denaro al povero. 
Questo è lo spirito lirico della intera canzone. 



— 179 — 

Són Geometra e jMntendo 
D^tórné i camp a trabuché. 
E, — Esersissi d^ prófessión ? 
Drit patente in própórsión. 
Su, su, ecc. 

C. — Un aut drit? Che bela vignai 
Ma da già eh' a Pé paréi 
I veui deurve su sóa ghigna 
Una fabrica d'bindei. — 

E. — Arti, industria, mèste? 
Tant per lira, sold e dné. 
Su, su, ecc. 

C. — E ben; sciavo, an Cóntrà Neuva (i) 
Vendreu spirit e licór. 
Negóssiana, veui fé la preuva 
Se ^1 cómerssi a fa vni sgnór. — 

E, — Al detai, cóm'a Pingross 
Drit d'fòjèttta sèch cóm Poss. (2) 
Su, su, ecc. 

C. — Chiel Pè amabil cóm na spina. 
Ma pasienssa, i m'adatreu; 
Ant la sabia e ant la caussina 
Speculand, i fabrichreu. — 

E. --- Fabricati? Gnune nià; (3) 
Tant per pian, scala e travà. 
Su, su, ecc. 

C. — Tenreu publiche viture, 
I fareu ^1 fita cavai; 
Per coline e per pianure 
Sui mercà fareu ^1 sensal. — 

E, — Cavai, aso, vache, crin (4). 
Tut tassa, fina i bibin. 
Su, su, ecc. 

C — A la larga da sóe piòte. 
I fareu ^1 meste dPossiós, 
Tre cadreghe, dóe stanssiote, 
Na sè'rventa e bondi spós. — 



(i) Via Roma attuale. 

(2) Foglietta, antico boccale, e misura di capacità. 

(3) nià, pretesti ( nidiate ) che si rifigliano uno dall' altro. 

(4) Critty maiali; htbin, tacchini; pióte^ artigli. 



— i8o — 

E, — Mobiliar e personal, (i) 

un pajón a róspedal. — 

Su, su, ecc. 

C — Che óspedal? Un mòdest rcdit 
A la fin am mancrà niai. 
Liti^and, j'eui dói-tre credit, 
Ch' 1 esiggreu dai Tribuna!. — 

E. — Multa, boi, emolument, (2) 
Decret, copia, tant per sent. 
Su, su, ecc. 

C. — I veui dilo su sòa barba, 
Già eh' a s'god d'ij me sagrin: 
Catarós un me vei barba 
L'à '1 nódar già lì al cussin. — 

E, — Successión, eredità, 
Fina i debit a són tassa. 
Su, su, ecc. 

C. — Sachèrdio, che rigólissial 
Chiel a m'veul propi sgnacà; 
E ben, chèirpa Pavarissia, 
Pèfr vendeta i m'fareu Fra — 

E. — Patrimoni, dótassìón, 
Istrument, insinuassión. 
Su, su, ecc. 

C — Per gavesse a sòa tortura, 

1 lo sciairo, e pé nen aut 
Che stè'rmesse an sepoltura: 

E ben, fòma Pultim saut!... — 

E, — Ferma... Drit anticipa 

D' cassia, d' tómba, d'ciò e martlà. 
Su, su, ecc. (3) 



(1) Tassa sulla proprietà mobiliare e tassa personale o per ogni 
persona: testatico; abolite e convertite nella tassa di Ricchezza mobile. 

(2) emolumento, diritto di registro. 

(3) Per nesso d* idee, ricordiamo 1' Epigramma che il Baratta più 
tardi componeva sulla tomba di Cavour: 

« Passegger, troppo vicino 
< A quest* urna non t' accosta : 
« Se si sveglia l'inquilino, 
« Paghi subito un' impostai » 



— i8i 



UN NEUV MONUMENT («) 



Sòr scultòr bòndisserea (i) 
Mi sòn vnulo a incomode 
Pr'uaa bela, eccelsa idea 
Che ^1 séfrvel am fa bautié (2). 
Già che a tati i gavadent 
An Piemónt s'fa un monument, 
Sòr scultòr, o ben o mal. 
Veni dco mi dventé immòrtal. 

Già che chiel con poca speisa 

D'grupiòn viv e d'grupiòn mort (3) 

Dia gran patria Piemònteisa 

A n'a fané d'tute sort, 

Sòr scultòr, i sòn dco mi 

Un buracio da sculpi; 

Oca o scimia, pito o gal. 

Veni dco mi dventé immòrtal. 

(a) Rapide fortune sorgevano per gli appalti delle forniture militari, 
delle nuove strade e delle fabbricazioni di vario genere, pel movimento 
dei capitali prodotto dalla libertà data agli Ebrei di acquistare stabili 
e di esercitare le professioni liberali, per l' introduz. delle macchine in 
alcuni dei primi stabilimenti industr. senza {)ossibile concorrenza. I 
nuovi arricchiti figurano qui e nel Dramma Brofferiano sotto le spoglie 
ora di un droghiere (Bernardo Cornuti), ora di un capo mastro mu- 
ratore anonimo divenuto impresario e milionario. II tipo commisto di 
mercantile astuzia e di franchezza ingenua é pur quel medesimo che 
Arrigo Heine flagellava e canzonava sotto il nomignolo di Filistei; è 
il prodotto di un' abborracciata rivoluzione, é la borghesia trionfante, 
il terzo stato colle stigmate già visibili d' una decadenza fatale che in 
seno ad esso prepara 1* evoluzione e il trionfo d* una turba immensa, 
la quale tutte le minoranze assorbirà nel suo gorgo ; prepara l' avvento 
dei lavoratori, il quarto stato. 

Già nei consigli amministrat., sui giornali e nelle assemblee piemon- 
tesi le questioni più gravi si risolvevano nella proposta di monumenti 
alle persone celebri, e i comitati per le pubbliche sottoscrizioni abbon- 
davano, che poi dilagarono assai più nell' Italia rifatta. L' autore punge 
appunto la mania monumentale allora (nel 1853) ancora incipiente 
sotto il pretesto dell' Arte che popolò di statue i camposanti, i giar- 
dini e le piazze, dedicandole a molti Cameadi della storia avvenire. 

(i) Buondì, Signorìa; saluto di vecchia usanza. 

(2) che mi frulla pel capo. 

(3) parassita, mangiatore alla greppia dello Stato, delle Opere pie ecc 



— i8i — 

Venta dònque ch*am ciadela (i) 
An s'j'òrie 'n bertin da neuit, 
Una bòca faita a ófela 
Una mótria da pruss cheuit: 
Aria dóssa, sguard uman 
Còm d'un òrs mòrdù dai can; 
E dur dur ans un trabial (2) 
Pijreu '1 voi pr'esse immòrtal. 

La mia vita a l'è cónssua, 
Senssa grech, senssa latin : 
Con quaich pòver, quaich laitua 
'M són fait crèdde un Calepin (3). 
Riverensse un diau e mes 
D'sòr Baròn e d'sòr marches 
Fina ai gat e al papagal 
Ai na va pr'esse immortali 

Per fé seurte d'ant mia gnuca 
Quaich friceul bòn pr*!) giòrnai 
Grata, grata, pluca, pluca, 
E '1 fricieul a surtia mai. 
Ma mi, buio, j'eu marlait (4) 
Cómpra d'spirit bel e fait, 
Interesse e capital 
Tant al rub sMventa immòrtal. 

Vnu a la moda per la scienssa 
I còngress, i bòn disné, 
Butme prest an diligenssa 
Con n'aptit da registrò. 
Senssa gnanca deurve ^1 bech 
Mach a vèfdme an bòca 1 stech 
Disio tutì: — Che animai! — 
Niente d'mei pfir vni immortali 



(X) che mi modelli alla meglio. 

(2) Come un villano rifatto, egli misura l'altezza del piedestallo da 
quella d'una fienaia (trabial.). Il contrasto non potrebbe essere più 
rivo. 

(3) Vecchio dizionario in 7 lingue (sinonimo di sapienza), alla quale 
il borghese sostituì lo spolvero delle ricchezze e del lusso (p&ver) e 
alla mancante coltura lo studio delle moine e dei salamelecchi quasi 
emollienti (lattughe) delle asprezze aristocratiche. La gloria scientifica 
in Piemonte era ancora monopolio dell' aristocrazia, davvero fornita di 
alcune notevoli personalità. 

(4) mar/aÙ, senz' altro, voc. dell' antico dialetto. Morde il plagio 
letterario e la mania di figurare cogli scrìtti altrui. — Huà, vecchio 
peso, quasi miriagr. 



Un bel dì mentre as farfòja (i) 
DMnni al Papa d^vers al Ké, 
Ecco ^1 popól, furb Gribòja, (2) 
Ch'as fa in musica gròpé. 
Per tut lo eh* a peussa vni 
I cantrójo dco *n pò mi. 
Ma an pèrsòn? pa tant stivali 
Spale al mur per esse immortali (3). 

A sòstnì le neuve idée 

Manda an piassa Carignan (4) 
Ai na fusslo die livrèe 
Peu tiraje tute a man. 
Or Brighela, òr Pajass 
Per Revel o per Ratass 
Peu sautà per tuti egual: 
Gran segret per vnì immortali 

Demòcratich, dottrinari 

Tuta bórra d'sèrvel guast 
Mentre J^ait fasio d' lunari (5) 
Mi pensava ai bibin d'Ast. 
Gnun, vótand, Pa mai sciairà 
S'j'era drit o s'j'era asta (6) 
Pruca, eros, bèrta, pivial, 
Ai va d^tut pr^esse immortali 

La virtù Pé mai nascosta, 

L^amór d' patria fa vnì grass, 
E *1 tor civich in composta (7) 
M^a butame sót so pnass 

(i) balbettare. 

(2) Maschera del teatro vecchio Piemontese, il marno delle vecchie 
scene italiane. Passò in proverbio ironico Gribòja colle sue furberie, che 
va a nascondere i denari in tasca agli altri. 

(3) Atteggiamento di difesa. U eroe borghese si assicura dalle pro- 
scrizioni, dagli esigli, dalie carceri, dalle confìsche, patteggiando coi po- 
tenti del giorno. 

(4) Sede del Parlamento Subalpino. 

(5) Lunari, sistemi ideali, utupie. — Asti è grande produttrice di 
tacchini (bibin)y cibo allora prelibato delle mense Israelitiche. Indi 
r allusione alle continue cure bancarie del protagonista, 

(6) Egli qui rappresenta il deputato del Centro, la Palude dei 
e sciagurati che mai non fur vivi » , bandiera ad ogni vento. Perciò 
nelle votazioni per alzata e seduta tiene una via di mezzo, si piega, 
si contorce e non si compromette parteggiando a viso aperto per 
qualche principio. — Birta^ il berretto repubblicano. 

(7) Il toro, stemma di Torino. Questo borghese arricchito da depu- 
tato del centro diventa assessore per 1* igiene e la polizia al Municipio. 



— i84 — 

Peui Cavour, om da ambalsmé, 
Prim spassili e prìm mnisé 
M'a crea dia capital. 
Oh bontà, bontà immortali 

Sdt ai teit, ant le bóschere 
Da per tut j'eu fica '1 nas, 
Peu scrólà brónsse e caudere 
Peu nufià tute sort d'vas (i). 
Peu armuscià, j'eu ciagójà, 
Sòt la panssa j'eu grata 
Dfil Cònt Verd fina al cavai. 
Che valor pr'esse immortali 

Sòr scultòr, là brav ch'am fassa 
Per blasòn un sach d'mónà, 
Na rascéitta, na ramassa, 
Con un pnel ancaussinà 
Veui sul nas un gratachù 
Sòt l'assilla un salam crù 
Un ciap rót per pedestal... (2). 
Popòl guardlo: a Pè immortali 



(1) Hu/iài fiutato. — Il Conte Verde è la statua pedestre del celebre 
Amedeo VI'^ cosi detto perchè amava vestire saio e maglia verde e 
quei colorì nelle insegne. Combattè i Bulgari in sussidio dell* impera- 
tore di Costantinopoli: fu arbitro delle contese fra Venezia e Genova 
nella pace di Chioggia. Teneva corte a Rivoli Torinese ( in castro Rip- 
pularum)i e vi ricevette la dedizione di Cuneo e d'altre terre forti 
che furono principio della potenza Savoiarda di qua delle Alpi. Il bor- 
ghese ignorante confonde quel Bulgaro atterrato del monumento con un 
cavallo, perchè il conte gli è sopra colla spada per dargli il colpo di 
grazia cavalleresco. 

(2) Si arguisce la professione primitiva di muratore, forse Biellese, 
del tipo impersonale per noi, ma probabilm. ravvisato dai Torinesi 
d' allora in qualche frequentatore dei portici di Po. 



^ 



~ 185- 



UNA SCAPADA DEL VAPOR («) 



La nòtissìa a Pé sicura, 

Èl Vapor s'è ri bela 

Daje, ciaplo, tira, tsura (i) 

Cor, galopa... a Pé scapai 

El Vapor a Pà rason. 
Veulne pà tnilo an pè'rsòn? 
Sciav dèi. re o sciav dèi papa, 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

Fieul dia luce, e fratel dParia 

Èl Vapor Pà j'ale d'feu 
E vói eìt veule ch'as caria 
Dèi fagot d'mónsù Mayeu? (2) 

Fieul dia luce, oh che regal, 
Na livrea ministerial! 



{a) « Nei primi giorni di nov. 1853 la macchina del Vapore fug- 
giva di mano agli artefici che la governavano e si lanciava con impeto 
fuori dello scalo, rovesciando uomini argini e muri » . Nota dell* Aut. 
nelle ediz. da lui curate. — Lo scalo unico allora di Porta Nuova era 
una modesta casa di due piani con frontone a cuspide e si avanzava 
nel vuoto piazzale che ora ha portici intieri e vasto giardino col suo alto 
sprizzante geiser. Questa canzone, in apparenza volgare, assorge alla 
stessa ispirazione che dettò a Giosuè Carducci V immagine del Bello 
e orribile mostro che si sferra in corsa vertiginosa pel mondo, mail' 
dando indomito il suo grido di ribellione, e spandendo come turbine 
il suo alito scottante a chi pretende comprimere, infrenare lui. Satana ^ 
forza vindice della Ragione^ lui simbolo di libertà, d* entusiasmo e 
d' ideali infiniti. 

(i) tsurat stringi. 

(2) Personaggio del romanzo di E. Sue « I misteri di Parigi ». 
Volete che serva alle losche méne di governo per comprimere in tutti 
gli stati d' Europa la diffusione del libero pensiero ? Ricordiamo i pro- 
tocolli diplomatici che corsero nel 1852: Soppressione della Costitu- 
zione in Austria; Primo Ministero Cavour 12 nov.: Colpo di stato 2 
die, e nel 1853, ^ febbr. moto rcpubbl. a Milano. Attentato Libeny a 
P. Giuseppe; 3 marzo, martiri di Belfiore Tito Speri, Montanari e 
Grazioli; Connubio Cavour e Rattazzi; Proscrizioni a Caienna e Lam- 
bessa in Francia. — Paleocapa» Veneto, ingegnere, esule venerato, 
ha monumento presso lo scalo Centrale. Fu primo direttore delle fer- 
rovie governative allora, poi Ministro dei Lavori Pubblici ; se ne ritirò 
perchè afflitto da cecità assoluta. 



— i86 — 

Sui barbis d' Paleocapa 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

O vapor sarijlo d' volte 
D'ij minist pr'èl bel mòstass 
Che dèi scalo sòt le volte 
T'deve morde to cadnass? 
Lassa di eh' a j'é Cavour 
Ch'a languis p6r nói d'amor: 
Són basin eh' a san d'gialapa, 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

.rè Cibrari, arca d'sapienssa (i) 
Ch'a deurv j'eui na volta '1 dì; 
J'é Ratass con l'insòlenssa 
D'un rat gros ch'a sa d'ciumi (2). 
J'é Alfòns Prim cusin d'Pluton; 
Ma ti a cóst d'brusé '1 pajón 
Del fòrnèl su per la capa 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

J'è Dabormida, a va dita, (3) 
Ch'a fa a Roma un gran fracass 
Ch'tuti i di s' mangia un gesuita 
Con éil gust d'un ananass. 
A j'é Lanssa e Bòncómpagn, 
A j'é Astengh ch'a nufia '1 scagn (4), 
Tuta malva, tuta rapa; 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

(z) Luigi Cibrario archivista e storico, autore dell* op. L* Eeonomia 
nel Medio Evo, àéiìdL Storia di Torino^ ecc., occupò le più alte cari- 
che, fu Ministro, fu nominato Conte, ed ebbe da principi di Savoia 
e da tutti i governi d* Europa il più gran numero di onorificenze che 
siano toccate a uomo di studio. Nacque in Torino il 23 febbr. 1802 
e vi mori il i ott. 1870. — V. Pag. 48. 

(2) dumi, stantio, odor di chiuso. — Prim, maresciallo d* Isabella 
regina di Spagna, consigliere di reazione; seguendo la politica militare 
con vittorie sui Marocchini e sui ribelli liberali, ordinò vaste fucila- 
zioni per comprimere i pronunciami ertlos dell' esercito : quindi lo dice 
cugino al re degli Inferni. 

(3) Ministro degli Esteri nel Connubio predetto del 1853. — Lanza, 
Boncompagni e Astengo, tre ministri più volte di parte moderata. 
Lanza diede poi esempio di alta probità morendo povero, senza aver 
partecipato ad alcuna combinazione finanziaria delle tante che valsero 
ad arricchire i destri e i sinistri di poi. 

(4) lo scanno del Ministero. — RapOy il raspo delle vinaccie, roba 
senfa sugo. 



— 187 

A diran ch^a son custodi 
Dèi stendard dia libertà. 
SI, con d'iegi piène d* frodi 
Ch' Poppressiòn a Pa detà. 
Genio insigne da gablé, 
Dignità da pòlajé (i), 
Eroìsm da ciapa-ciapa . . . . 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

Voltlo pura da ogni banda 
Cóst Piemònt caria d' bindei (2) 
E t^vèdras eterna landa, 
Neuv abus e catar vei. 
Stampa libera e cómpra, 
Foro esclus e conferma, 
Popòl neuv, frusta gualdrapa. 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

\yagnus ransi, a j^é d^cabasse (3), 
D' colar sporch ai n^a j^é d'pòss, 
Pé d'canonich d'tute rasse, 
ly batù neir' e bianch e ròss. (4) 
D'fratarie guarda che nià! 
Fra descauss e fra caussà. 
Fra dia cópa e fra dia trapa . . . 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

A Pé merit P impostura, 
Onestà la córrussiòn: 
Con la crapula e P usura 
A trionfa Pambissión, 
L^egoì'sm vii e crudel. 
Con sóa tnaja e so martel 
T^sara '1 col e 't romp la crapa 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 

Scapél E peni? Dove in sostanssa 
Dòv fèrmesse, dóv andé? 
Spagna, Russia, Almagna, Franssa. 
Elo nen tut un liamé?.... 



(1) I poUaiuoli gonfìaDo, soffiando fra carne e pelle, la loro merce 
per farla più vistosa. Polli^ in gergo, gli uomini furbi. — ciapa-ciapa^ 
i birri. 

(2) Allusione alle onorificenze, alle lustre cortigiane, alle bandiere, 
alle nappe e nappine da cui fu corrotta e si corrompe 1* austera e 
feconda Libertà ideale, per arte di governo. 

(3) Agnus Dei: scapolari coli' agnello pasquale impresso. 

(4) Confraternite dei battutti o flagellanti. 



— i88 — 

Ti va sempre: va, va, va. 
Finché Dio p^r sóa tónta 
T' benedissa con la sapa. . . . 
Scapa, scapa, scapa, scapa. 



i^ 



L'UMANITÀ E 'L MERLUS 

OSSIA 

CAVOUR E 'L CHOLERA («) 



Pani pan! j^anl — Oh che tapage! 
Chi elo li ch^am ven a sché? 

— / són mi ch^f eu da fé viage 
E in Piemónt i veni passe. 

— Dame sì to passaport. 
rio darà per mi la mort. 

— Dis to nom, mòstas d'gratusa. 

— Són el Cholera. — Oh eh' a scusa! 



{a) U Inghilterra, sempre citata a modello dai parlamentari, e da 
Cavour in ispecìe, subordina ogni principio morale all' utilità, giustifi- 
candola colla teoria del grande filosofo economista Bentham e òusùtess 
for euer », gli affari anzitutto, e sempre. Quindi la preoccupazione del 
governo inglese verso gli Stati d'Europa era, nel 1853 ( quando furono 
scritte queste ultime canzoni), e di poi, assicurarsi l'esito del merluzzo 
di Terranova, possedimento inglese (Vedi nota i."^ a pag. 176) sui nostri 
mercati, dov' è 1' usato cibo delle plebi cattoliche. Larvata di sentimenti 
filantropici e di libero scambio a benefizio dell' umanità intiera, questa 
politica veniva assecondata da Cavour, ministro delie finanze, pe' suoi 
fini. Egli intendeva conservare un introito sicuro all' Erario per mezzo 
delle dogane, e procurare al Piemonte le simpatie dell' Inghilterra a 
danno dell'Austria. — Siccome poi i prodotti delle Indie Inglesi, co- 
toni, mussole, scialli, cachemire, ecc. (e insieme il merluzzo), venivano 
a Genova su navi infette o sospette di cholera asiatico, l'Autore ne 
trasse il soggetto di questa mordace canzone. Vi si schiaffeggia non la 
persona, ma le ipocrisie affarìstiche senza cuore della nostra e dell' altrui 
diplomazia. Infatti, a nulla servono le precauadoni contro le persone 
se poi le dogane lasciano entrare le merci infette per lucrarne denaro 



- i89 - 

— Són vinfaniy o plissé grame (i) 
Ch^ la moral i v^eu insegna 

E vói eit f ève bufarne 
Ani è'I banch (V ij dè'smentià 
Per tut lo f eli dvù tóme 
Mie lessión a rinfrè'sché^ 

— Oh che scola bósarònal 

— Temerari! — Ch'am perdonai 

lUustrissim, fra nói grandi 
Dvóma nen tire ^1 cótel; 
Per pie ^1 sang chiel as buta in andi (2) 
Mi Pé ampess chM pio la pel. 
Fòma dùnque per nost mei 
N^alleanssa da fratei. 
N'alleanssa mai pi ròta. 

— Stil (V ipocrita! — Ch'a scòta! 

Mi vèrs chiel, per dila ciaira, 
I l'eu molte òbbligassiòn. 
Vint agn fa sóa ghigna maira, 
So mantel caria d^tacòn 
L'an fait crèdde che un pcit rat 
A Paveissa d'Demócrat. 

— Rassa stupida e^ indiscreta 
Són è'I cholera! — Ch'a speta! 

Vè'dend peui che chiel 's bèrlica (3). 
Con pi aptit i pi pitoch 
I l'eu dit: A Pè dia erica; 
Sia lodato èl can d'San Roch. 
Adess dónque fòma i cónt: 
Vólend torna entré in Piemònt 
Cosa meditlo eccellenssa? 

— / fm^ esamine? — Oh ch'a pensa! 

— J^ Italian venta educheje 
Specialment i Piemónteis; 
E pè'r lo bsogna fè'rteje, (4) 

— Su cóst pònt sòma già inteis. 

(i) Allude al cholera del 1832. V. Nota a^ pag. 86. — Dice che 
insegnò morale ai potenti ; cioè d* essere più umani verso le plebi, in 
cui per la miseria, il malo vitto, 1* insalubrità degli abituri, l'ignoranza 
voluta e i voluti pregiudizi, assicuranti perpetuità di servaggio, la pesti- 
lenza è recidiva. Ora la scienza medica ha press' a poco ottenuto ciò 
che il poeta sociale aveva preconizzato. 

(2) aire, abbrivo. 

(3) si sorbisce. — Il cane di S. Rocco ne leccava le piaghe eh' egli 
per umiltà inaspriva. (4; batterli. 



— igo — 

— Tut in vóver: magasin^ 
Banche^ fahriche^ mulin . . . 

— Chiel del mònd veul fé d^ polenta I 

— San è'I cholera! — Ch'a senta I 

Quant'a j'omni eh' a ramassa 
Ch'a bastona pura ben; 
Saria mei perdne la rassa, 
E mi sòl i basto nen. 
Ma èli merluss, ì dné, òl carbòn, 
L'amid, Tindich, èl cótón, 
Tut lo guai s'a lo scompagina! 

— A mi cPordin? — Ch'as immaginai 

I veni mach ch'as persuada 
Che se chiel am tira a fil 
Con d'pròtum e con d'pòmada, 
D' cloro, d' canfora e d'asil, 
Savreu dco fé mia rasón: 
Chiel èl granfi e mi '1 córdon (i) 
Chiel diarrea, mi. malva pura. 

— Una sfida? — O ch'as figura! 

— Cloro e canfora am dè'spiaso 

E Pasti am da al servel. 

— A Pé dónque propi èl caso 
D'un trattato fra mi e chiel, 

— Negóssióma — Ch'a dia su. 

— Mi veui d^omni — Mi veni d'scù. — 

Mi un mar d^ sang — Mj un póss d' sovrane. (2) 

— Mi sepólcri — E mi dogane. 

— A Pè dit; P umana pasta 

T^ m^ abandóhe e '/ sang uman, 

— Ma '1 cacao guaì sa lo tasta 
Guai s'a intórbida '1 safran! 

— Veustu dunque deurvme Puss? 

— Sì s'am lassa sté '1 merluss. 

— Accetta senssa riserva. 
Largo al Chólera — Ch'as serva! 



(i) Cordone sanitario dicesi il divieto di passaggio ad ogni persona 
o roba che provenga da paese infetto di peste. 
(2) monete d* oro vecchie. 



A<^ 



igi — 



LA PÓMADA D' PROTOCOL («) 



Libertà? Progress? Giustissia? 
Popól? Patria? Nassiòn? 
Bravo chiel: che rigólissia 
Pr'andé drit ant èl padlon ! 
I són stófi d^fe ^1 poeta, 
D' batme i fianch e d' tire ^1 col : 
Chi m^ regala la riceta 
Dia pómada d^ protocol? 

— Regale costa Pé drola: 
Tut as cómpra a msura e a peis. 
Va a ciamé, pover badóla, 
A Cavour ch^a sa Plngleis. 
— Là, passienssal negóssióma, 
Ben ch'i P abbia ^1 bórsot frol. 
Cos'ai vaio pr'andé a Róma 
Con d^ pómada d' protocol? 

La pómada venta fela 
Prima d'tut e fela ben, 
Ai va un chilo d'grass d'eri vela (i) 
E d'peil d'vólp un liter pien; 
D'euv d'serpent ai va set greuje, 
Dódes fidich d'torsacol; (2) 



(a) Satira contro la simulazione diplomatica. Cavour e la Destra vo- 
levano con essa far V Italia : BroiFerio e i radicali dell' Estrema Sinistra 
volevano che gli Italiani imparassero a far da sé, a diffidare delle al- 
leanze, delle promesse, dei trattati sempre onerosi ai deboli, sempre 
vantaggiosi alle potenze maggiori (come oggi la Triplice alleanza colla 
Germania e coli' Austria, che ci aggrava di armamenti insopportabili e ci 
allontana dalle terre irredente ). Cavour, fatto con Rattazzi il connubbio 
tra destra e sinistra, avviò negoziati colla Francia, che teneva in Roma 
guarnigione, per abbonirvi il Papa coli' aiuto di essa. Quei negoziati si 
ripresero, e sempre con inutili umiliazioni, più volte anche dopo la presa 
di Roma nel 1870. Il Piemonte vi mandò il Ponza di San Martino e il 
D'Azeglio stesso ambasciatori di pace. L'Autore finge di passare anch'egli 
dalla parte de' diplomatici, ed enumera le condizioni necessarie per es- 
servi accettato. 

(i) Criveia, nottola, simbolo di crudele ipocrisia. 

(2) uccello simile alla cutrettola: serve di richiamo nella caccia ai 
panioni per attrarvi gli altri uccelli (cioè il volgo ingenuo). 



Peui fa beuje, beuje, beuie 
La pómada d' protocol. 

D'croch e d'pinsse ai va n'armari, 
Ai va un sach d'rampin e d'rei; 
Fòdrà d'tóla ai va *n scartari (i) 
D' credit giovo e d'debìt vei; 
D'euli d'frotole a la dója 
Minca tant va dait un scroi; 

E peui ròja, rója, rója (2) 

La pòmada d' protocol. 

Dop tut lo venta ricòre 
Ai barato da spèssiar: 
Ai va un'ònssa d'sirop dimòre (3) 
DI' onestà cóntra *1 catar: 
Miòla d'porch, estrat d'anguila, 
Unguent ranssi d'babi mol; (4) 

Peui distila, e peui distila 

La pómada d' protocol. 

Vers la neuit bsogna a la porta 
Tambussé d'queich architet 
Pr^un bel tipo dia stra storta 
Ch'mèna an cesa e ména al ghet; (5) 
D'ij pós mort ai va la lista 
Dal Mónsnis fina al Mogol; 

E peui pista, pista, pista, 

La pòmada d' protocol. 

DMj cónvent an fònd la nita (6) 
Venta dco slònghé la man; 
Ai va d'cape d' Barnabita, 
D' bicóchin d' Dòmenican ; 
D'Gesuitòn, ma d'bóna rassa. 
Ai va d'maschre dosavi e d'fol; 



(i) Un sacco di uncini od ami e reti. — TV/a, latta: in gergo 
sfacciataggine* spavalderia, perchè dentro è nera, e fuori stagnata, 
sembra argento. 

(3) minca tant, ogni tanto. — fàja, scuoti. 

(3) frutice astringente; intendi: ci vuole un cuore inaccessibile al 
sentimento di onestà. 

(4) òabt\ rospo : emblema dell* inerzia e dell* insensibilità, che diguazza 
nel fango, pur di assicurarsi un utile dai potenti, accettandone l'offese. 

(5) Che combina gli interessi clericali coi bancarii: infatti i grandi 
capitali appartengono al Gero ed agli Israeliti. — La via retta invece 
conduceva all' istruzione popolare, alla prosperità delle plebi ed alla 
rivoluzione. (6) nita, melma. 



— 193 — 

E peui siassa, siassa, siassa (i) 
La pómada d^ protocol. 

Per condì ben ben la. bagna, 
Die nassìón ant Parsenal 
Venta pie d' siringhe d' Spagna (2) 
E d'bróchètte d'Portugal; 
Corda d^Viena tant eh' a basta 
Per de ai Sant l'ultim tracol; (3) 

Peui ampasta, ampasta, ampasta 

La pómada d' protocol. 

Ai va d'grech studia an Bèrtóla (4) 
D'corn porta da Stupinis, (5) 
D'giurament ai va n'ampòla 
Ma d'eòi fin lustra a Paris. 
Pòver d' Berna mal andaita, 
Cióche d' Nàpoli in bemol; (6) 

E con lo ré bel e faita 

La pómada d' protocol. ^ 

— Mille grassie; oh che fortuna 1 
Són dco mi 'n gran diplómat. 
Là, sòr Cont ch'am manda duna (7) 
Per le poste a salve '1 Stat; 
Londra, Malta, Atene, Zara, 
Guardé si n'aut rómpacol: (8) 
E ti popòl paga cara 
La pómada d' protocol. 
/ 

(i) setaccia, setaccia. 

(2) Inganni e doppiezze della corte di Spagn^. Isabella vi teneva 
per confidente' una monaca, suor Patrocinio e canzonava i liberali. In 
Portogallo Don Pedro aveva inchiodata la libertà economica del paese 
all' Influenza Inglese coi trattati di commercio, che assicuravano all' In- 
ghilterra, in garanzia di prestiti ad esso fatti, il monopolio del vino di 
Porto e r esenzione di molte merci inglesi dai dazi d' entrata. Questi 
trattati son detti bróchiUe^ o chiodini, debitucci. 

(3) Corda di capestro. Il poeta deli' Ungheria PétOfi stigmatizzò e l^ Im- 
peratore degli impiccati n Francesco I d' Austria. — I Santi sono i 
martiri della Libertà. 

(4) Sobborgo di Torino, oltre Dora, sede di lavandai. Una volta il 
dialetto vi era parlato più strettamente. 

(5) V. Nota i.% pag. 68. L'allusione agli intrighi d'alcova per via 
di belle dame confidenti è palese. — - Ricorda lo spergiuro e il Colpo 
di Stato di Napoleone III. 

(6) Cioè in tono sentimentale. Dopo il rifugio di Gaeta, la corte Ro- 
mana e Napolitana furono strette più che mai in amorosa concordia. 

(7) duna, tosto. 

(8) firoflferìo era chiamato rompicollo dai moderati e se ne teneva. 

13 



— 194 — 



LA CRIMEA <•) 



L'alleanza a Pé cónchiusa; 
I Cósach a sòn spedi; 
Menziko£f Pa '1 pré ch'ai brusa (i) 
E Nicola as rusia i di. 
Bònaparte, o che bontà 1 
Bónaparte a n'à basa; 
E pr'tì col, felice idea, 
An rabéla ant la Crimea. 

A Pé giusti Dal di ch'pavóma 
D'ia bandiera tricòlòr 
Fait custodi i cerich d'Róma, 
E d'ia Bórsa ij stucadór, (2) 

(a) Crimea è V isola che tra questo mare e 1* Azof inoltrandosi, forma 
un importante punto strategico e commerc. per dominare colle navi 
tutte le spiagge e i porti che da Oriente a Nord ed Occid. vi mettono 
capo. É la chiave di quei mare interno. Fortificata e stimata impren- 
dibile coi cannoni di quel tempo (1853) ad avancarìca, fu subito la 
mira delle potenze alleate per distruggervi il nucleo delle forze Russe. 
Ricordiamo che Napoleone III, testé sorto dal Colpo di Stato impera- 
tore dei Francesi, ne divergeva le ire con quella costosa e micidiale 
guerra dall' offesa libertà repubblicana ad assalire uno stato che aveva 
coli' incendio della propria capitale, Mosca, nel cuor dell' inverno, ro- 
vesciato per sempre il sogno Napoleonico, l' impero universale dei Fran- 
cesi suU* Europa. JL' Inghilterra poi assicuravasi per qualche tempo dalla 
temuta occupaz. dell' Impero Turco, e del monopolio che essa teneva 
in Oriente: la Turchia difendeva sé stessa: il Piemonte cercava sem- 
plice gloria militare, in sostituzione di quella che aveva alquanto per- 
duta a Custoza nel '48 e a Novara nel '49, influenza diplomat. e aiuti 
futuri contro l'Austria. — Il Diario della guerra fu dato a pag. 175. 

(1) Ministro della guerra e generale in capo dell' Esercito Russo 
contro i Turchi sui Balcani e nel Mar Nero. 

(2) Risalgasi al Proclama di Moncalieri (2o^nov. 1849), col quale 
il Ministero Massimo D'Azeglio rinunzia va ad ogni lotta coli' Austria, 
scioglieva la Camera composta in maggioranza di uomini liberali e altra 
ne convocava sotto lo spauracchio dell'invasione tedesca, e vi faceva 
approvare (5 genn. '50) la pace conchiusa in Milano. Naturalm. anche 
col papa Pio IX, rientrato a Roma sotto le bandiere Napoleoniche del 
presidio francese il 12 aprile, il Piemonte si accordò. Cavour, il quale 
per BroSerìo rappresenta il gran protettore dei banchieri [Stticcatoriy 
ossia riempi Lori dei buchi e delle crepe, o debiti di Borsa collo stucco 
di sempre nuovi prestiti ), entrava nel Ministero d' Azeglio per le Fi' 
nanze il io ottob. 



— ^95 — 

Dvìo saveilo, povri óldch, 
Che un bel di file^^ sorouch^ (i) 
Costa rassa maccabea 
N'anbarchria per la Crimea. 

Santament su la frontiera, 
Fra Cróat e fra Italian, 
D'Alp immense una barriera 
L'à stendù d'Nóssgnór la man; (2) 
E nói furb, con spà e sakò, 
Sót brassètta ai fieni d'Haynó, (3) 
Con Franzóni e Menabrea 
Pióma ^1 plot per la Crimea. (4) 

Ma passienssa; i dvóma parte 
Per protege i drit die gent; 
E lo giura Bonaparte 
Ch'a Pé pratich d'giurament; (5) 
A lo giura lord Raglan, 
Can-Robert ch^à Pé un gross can; 
E i staróma anima mea 
Con i babi ant la Crimea. (6) 

P alleati as peul nen disse, 
Quant'amór Pan pr^èil Piemónt. 
An d^rìo tritura d'bisse 
Senssa gnanch móstrene ^1 cónt. 
Vint chi Pabio, a Pé peni dit 
Ch'a lassran dMJ Moscovit 
Oss e pel, milssa e corea, 
Tut per nói ant la Crimea. 

(i) FtUzt via! spicciatevi! — aurucJè, indietro! ordini di Francia e 
d'Austria, a cui si dovette obbedire come più deboli, abbandonando i 
cari ideali d' Indipendenza. 

(2) « Ben provvide Natura al nostro Stato, Quando dell'Alpi scherno 
Pose fra noi e la Tedesca rabbia », Petrarca. 

(3) Il feroce bastonatore di donne, generale dell'Austria, dopo i 
IO giorni d'assedio all'insorta Brescia (i apr. '49) fu pubblicani, spu- 
tacchiato e cacciato in Londra da quei birrai, e ne mori di vergogna 
ìndi a poco. 

(4) Franzóni, arcivescovo reazionario di Torino. — Menabrea ministro 
reaz. con d'Azeglio e Cavour. — P/oi, fagotto (fr. pelote): partiamo. 

(5) Avendo giurato in pieno Parlamento, quando fu eletto Presidente, 
fedeltà alla Repubblica Francese, 1' abbattè. — Raglan^ generalissimo 
dell' Inghilterra in Crimea. — Can Robert^ d' origine Irland., maresciallo 
del 2 Die. in Francia. 

(6) Anima mea: parole del Salmo Davìdico e dei frati, in segno di 
rassegnazione. La Crimea è sito paludoso esposto a febbri d' estate. — 
habi^ rospi. 



— 196 — 

Ben eh' a dovrà la scumójra 
Con dóe man sòr cónt Cavour, (i) 
Su la Stura e su la Dojra 
D' liberai tant a j'n'é ancor. 
L'è vnua Póra d'fé pra net; 
Ragg dA cheur e d'rintelet, 
Progress, patria, ónòr .... cerea, 
Tut a baila ant la Crimea. 

Póma fané d'sacrifissi, 
Poma avune d'ij magón, 
Ma '1 racolt d'ij benefissi 
L' é tut nostr in còncluslón I 
Or e sang payoma dait, 
Ma as dirà chi soma stait 
Trasporta 'n papa-carea 
Dal Rubat ant la Crimea. (2) 

Seugn crudeli Sfìdand in guerra 
Ij pericòl e la mort, 
Tuti un di dia patria terra 
Soma vdusse in man le sorti 
L'Italiana libertà 
Sul Tesin j'óma sogna. 
Con la tòss e la diarrea 
Per dèsviesse ant la Crimea. 

Dóe riscosse j'óma faje 
Con valor ma senssa frut; 
Perdù e vint j'óma d'bataie 
E Pavnì rivelrà tutl 
Tost o tard ventlo inissié (3) 
La riscossa eh' a fa tre? 
D'i) Cróat con la livrea 
La inissióma ant la Crimea. 

Salutand la Greca spónda, 
Mara via d'vèddne a passe, 
Insilanti, Epaminonda 
Piómsse guarda a nòmine. 

(1) Benché mandi in esiglio senza ritegno i radicali. 

(2) papa-carea, su due braccia; quasi in sedia gestatoria. — Jiu- 
batio, regione del Borgo Po sulla via di Moncalieri. 

(3) ragioni addotte da Cavour, che ebbero effetto nella campagna del 
1859. È bello ritrovarle in una limpida strofa del suo politico avver- 
sario. Non profezie, ma deduzioni logiche di due spiriti equilibrati. Ram- 
marico neir uno che ben altri mezzi di redenzione pensò ; speranza viva 
neir altro a cui la dottrina macchiavellica del fine giustificante sorrideva. 



— 197 — 

Piòmsse guarda a parie fort; 
A pódrìo sentine i mort 
D'Missolungi e d'Mantinea: 
Stóma cinto, eroi d^ Crimea, (i) 

Là partóma; a Pé tut uiial 
Con èl cheur sciapa an dói toch, 
An ghignón a la fortuna, 
Irrita datanti pacioch, 
A Pé mei cede al destini 
El spetacol P é a la fin I 
As invita la platea 
Al quint^att ant la Crimea. 



SUPLIGA CHINEfsAC^) 



Maestà, tuti a consento 
Ch'j'eve un cheur ónest e uman, 
Ma i ministr ch'av rappresento 
Sachèrdio, che rasse decani 



(a) Dopo la scoperta della China tornò comodo agli scrittori, per sfug- 
gire le noie della Censura letteraria, attribuire a quel remoto paese fatti 
e costumi dei quali si facesse la satira. Ripiego che risale alla lettera- 
tura Francese del 1700. 

Giusti vi pone anche la sua « GhiglioUina a vapore » per. satireg- 
giare le repressioni Sanfediste del 1830. Ricordisi che lo Statuto fu 
concesso in seguito ad una supplica diretta a Carlo Alberto e sotto- 
scritta dai nobili e notabili Piemontesi di parte liberale, e vi s' invo- 
cava anche un mutamento di Ministero. 

(i) Ipzilanii prìncipe di un piccolo stato Danubiano posto dai Greci 
sollevati contro la Turchia a capo delle loro divise forze dopo 1' assas- 
sinio del conte di Capo d'Istria a Nauplia il 13 ag. 1821. — Epa- 
mirtùnda liberò Tebe dall' oppressione degli Spartani nel sec. IV avanti 
Cristo. — Missolungi nell'Albania, assediata, ruppe i Turchi in me- 
moranda disfatta il 12 genn. 1823: vi mori il poeta Inglese G, Byrou 
santificandovi col martino la civile missione del poeta. Sostenne un se- 
condo lunghiss. assedio cadendo, gloriosa città, per le armi del viceré 
d' Egitto il celebre Ibrahim. — Matttinéa vittoria di Epaminonda che 
vi mori combattendo e strappandosi da sé stesso 1' uncinato dardo dal 
petto. 



— 198 — 

Su la mòtria Pan dipinte (i) 
Le virtù d'Caifa e d^Pilat: 
Gran Monarca, a són set grinte 
Deje '1 sbrat! 

A la pubblica quajetta 
A dan drìnta sensa deuit, 
El bilanss a fótta a fótta 
A lo mangio anche nen cheuit: 
A ciagòjo, a rumio, a tóiro, 
A divoro fina i piat. 
Gran Monarca, a són set óiro 
Deje '1 sbrat 1 

Prómettend pi pan che tòma (2) 
A Pan mnane a Pòspedal; 
A fan Poca e '1 pito a Róma (3) 
E a Nankin veulo fé '1 gal; 
Bè'rlicand le sante ampóle 
Parine pà d' rifórme 'ì Stat? 
Gran Monarca, a són set cióle 
Deje ^1 sbrat 1 

Lór a piumo la giustissia, 
Lór a sgorgio P onestà. 
Dia virtù fan d'argalissia 
E d* triaca dia vrità; 
Per fé d' taller, j3èr fé d^crausser (4) 
A impegnrio fina '1 Senat. 
Gran Monarca, a són set mausser 
Deje '1 sbrat I 

An marcando ans la frontiera 
Cóm d^móton da protocol, 
E ai nemis d' nostra bandiera (5) 
An consegno lià pr^èl col. 
Nostre povre ultime greuje 



(1) móirt'a, grugno. — Cai/a giudice, sacerdote, Ebreo, crudele per 
irn di parte, Pilato per debolezza e interesse. 

(2) < prometter lungo con attender corto », (Dante). 

(3) Politica remissiva col Pontefice; politica d'avventure a Parigi per 
la imminente alleanza guerresca in Crimea. — Nankin è una città, porto 
di mare, nell'Imp. Chinese. — Le sante ampolle sono quelle che in 
Reims servirono a battezzare, ungere e consecrare Clodoveo primo re 
dei Franchi ed i suoi devoti successori Merovingi e Capetingi. Quindi 
s* intenda : facendo atti di divozione e d' interesse dinastico. 

(4) Monete Austrìache. — Senato^ V. Nota 3.*, pag. 23. — Mausser^ 
grossolani. In ted. acchiappa topi e ladri. 

(5) Méne diplomat. colle potenze vicine, Francia e Austria, per , lo 
scambio dei rifugiati politici dono le rìvoluz. del '48 e dopo il colpo 



— 199 — 

A fricasso i diplomat. 
Graa Monarca, a son set pleuje (i) 
Deje '1 sbratl 

Dèi pais Pau fait na truna (2) 
Dèi statuto un trabuchèt, 
Na baraca dia tribuna (3) 
E dia stampa un fòtù shet. 
Povra patria: pióra, suda, 
T^as le schergne e ^1 mal sul pat. 
Gran Monarca, a son set Giuda 
Deje ^1 sbratl 

Tut i" di ^na neuva tassa 
Peuv ancheuj, ì tròss dóman. 
La sè'rventa, la paiassa, 
Le galine, j'aso, i can. 
A Nóssgnór j^é da fé ^n quader 
S'an tassran nen fina i rat. 
Gran Monarca a son set lader 
Deje '1 sbratl 

Po ver popól d'tóa miseria 
Spera nen fé cómpassiòn 
Prima at dio: vatne an Siberia; 
Peui s'it brónce : va an pèrsón. 
Sestu candi cóm uh liri? (4) 
T'seurte neir cóm un monat. (5) 
Gran Monarca, a son set sbiri 
Deje ^1 sbratl 

I so amis son le manétte, 
So alleati a son j'arcé, (6) 
So argoment le baionette 
E so apostól i gablé 
Rassa grama, rassa croja, 
Smens d^ gesuita e nià d'cróat. 
Gran Monarca, a són set boja 
Deje '1 sbratl 



di stato del 2 die. — Si costruisca: / diplomat a fricasso ecc. — 
Greuie^ gusci delle uova, cioè le ultime ressources dell' Italia, le poche 
libertà dallo Statuto concesse al Piemonte, poiché il tuorlo delle uova 
fu già succhiato dai nostri tiranni, le altre costituzioni liberali dell* Italia 
sono perdute dopo la disfatta di Novara. 

(i) furbi; pleuje^ sinonimo di pelli, delle quali sovente bellissime e 
morbide vanno coperti animali immondi e crudeli. 



(2) truna, tana. 

(3) Camera dei Deputati. 



(4) Uri, giglio. 

(5) monatti, becchini. 



(6) Arcieri, antico nome delle guardie. — Croja, V. Nota a.*, pag. 5. 



— aoo — 



LA RATOJRA -» 



La Ratojra Té un bel mobil, 
Peulo dilo fina i rat; 
Ma Ve dco n'ìstrument nobil 
Pélr la gloria e '1 ben dèi Stat ; 
Se an Piemònt dòl gran bónheur 
An va 'n brod A sang dèi cheur, 
Lo sa '1 Po, lo sa la Doira, 
L'è tut merit dia Ratojra. 

L'è pa dWajre chi chèrdio, 
Rispettabil per da bòn, 
Dnans a j'ommi e dnans a Dio, 
Le virtù die cònvinssiòn. 
Se la fede, se Pónór, 
Se dia patria l'amor 
Són virtù eh' a spusso d'sloira (i) 
L'è tut merit dia Ratojra. 

J'era un temp èl pregiudissi 
Ch'as serveiss la libertà 
Con na vita d' sacrifìssi, 
E d'dòlór ben sópórtà. 
Ma se ades per esse applaudi 
Ai va d'òiro ben farssi (2) 
Italian, d' Perca pastoira, 
Di pur grassie a la Ratojra. 

L' istrussiòn, droga splufria! (3) 
Gloria stupida A talenti 
D' bórsa o d' curia fé ve arpia 
E bandiera d'ogni vent; 



(a) Lo Stato del Piemonte nel 1853 é considerato come una trappola 
(ratofra)t che la Diplomazia aveva lasciato aperta agli emigrati di 
tutta Italia per averli almeno sottoroano e conoscerne le congiure, o 
per corromperne 1* anima liberale con onori e profitti. 

(I) sloira^ aratro: virtù villane. 

(3) otri pieni: panciuti e grassi roditori del bilancio governativo 
(arca, o madia). 

(3) vecchia; propriamente: sfilacciata. 



— 30I — 



Feve un cheur d' grata -pape, 
Un móstass d'cicólaté, (i) 
Una lenga da tèsóira 
Et laus tibiy o gran Ratojra. 

Sòt la volta afrósa e scura (2) 
Dòv as fabrico i pacioch, 
D'pcà mòrta j studiéne pura, 
I n'a treuve d^tuti un poch; 
Pé Porgheui, j'é Pegoism, 
L'ambissiòn, èl gesuitism; 
Ma dèil lass e dia pèssioira (3) 
Tut P ónor va a la Ratojra. 

O Piemónt, o patria tèra, • 

To destin Pé pur funest; 
T'as cónvent, imposte, guera, 
Carestia, discordia e pest. 
T'as la tósj t^as €l sangiut, (4) 
T^as èl fidich mes distrutl 
E la Mort at fa la vioira 
Argrignà sòt la Ratojra. 

La giustissia, antica pruca^ 
A Turin a Pé fior d'iait; (5) 
S'a j^é niente ch^an antruca 
Lo chPé nostr a Pé nen d'j ait. 
Ma ómne ^1 cheur strensù d'magón, 
Per long stent, lónga pèrsòn? 
O lumassa, lumassoira (6) 
T' móstre i corn da la Katojra. 

Che passiensse, che ciadeuvre (7) 
Pr'arambesse al portafeuil 
E per tnilo oh cne maneuvre, 



(1) faccia, figura da cioccolattiere ; uomo sfacciato, brutta figura. 
Forse perchè una volta apparivano in pubblico tutti neri faccia e mani 
dal tostare ed impastare la saporosa fava di Malacca, e distribuivano, 
cosi alla buona, la bevanda agli avventori. Oppure dalle caricature di- 
segnate sulle carte ch'essi usavano per involgere il loro prodotto. 

(2) afreux (fr.) orrendo: al Ministero e nella Diplomazia. 

(3) pessioira, tranello 'a scatto per topi, faine ecc. 

(4) singulto. — Vioira^ vegliante. 

(5) È cosa facile e dolce per chi non ne ha bisogno. 

(6) Nenia che i fanciulli per vedere le corna della lumaca allungarsi 
fuor del guscio le vanno cantando. La giustizia lenta e restia come 
una lumaca ai deboli perseguitati. 

(7) armeggfi. (V. Nota 2.% pag. 54; e I.% pag. 62). 



— 202 — 

Che angaviffn, che badbeujl (i) 
Centro, malva, terss parti, 
Che diau elo tut Ioli? 
Rassa tisica e rabloira 
Dtfsciòdua sòt la Ratojra. 

RI Piemònt l'à le baricòle, 
A smia un cióch pia pr'ij cavei. (2) 
J'c d' sventure al mond ridicole, 
E le nostre a són parej. 
Fòmlo pura próclamé 
Da la pònta dell cióché 
Con le mole e la scumoira 
El Piemònt l'è ant la Ratojra. (3) 



(I) paura. — Partiti della Camera: Centro o estrema destra, quei 
deputati che s* adattano a tutti i ministeri ; i Socialisti ora lo chiamano 
Venire; Malva^ la Destra. Terzo partito^ sinistra media, poi detta 
Storica. 

(a) baricóUt occhiali ; e stenta a vedere ; traballa come 1' ebbro af- 
ferrato da mano vigorosa. 

(3) Facendo chiasso col battere insieme questi attrezzi di cucina, 
come si fa richiamando le api che sciamano. S'immagini lo strano bando 
sulla cima del campanile di San Giovanni. La satira accoppia il grot- 
tesco al dolore per la sciocca figura che adesso fa la patria, pur ora 
colma d* entusiasmi liberali. 




— 203 — 



LA CÒPA E LA GAMELA («) 



Una volta ant la baraca 
D'còst mònd vei stófi d' marcie 
As tóirava la triaca (i) 
Con la pruca e i barólé. 
Sul baciass' d^P umanità (2) 
La gran nav Pà cambia vela. 
E tut va, tut va, tut va 
Con la còpa e la gamela. 

Per chi veul, cedola e banca, 
Pape fauss, argent comptant; 
Chi veul nen, marche^ arma bianca 
Rataplan tambour battant. (3) 
Viva ^1 saber e la spa. 
Viva ^1 dassi e la gabela; 
Tut a va, ecc. 

Che talenti Rustì a la bórsa 
A Pa quasi un mes milión. (4) 
Che brav oml L'a fait arsòrsa 
Mitraiand patria e nassiòn. 
Vì'olenssa e faussità 
Ameringbe a la canela; (5) 
Tut a va, ecc. 

(a) Satira contro il pervertimento della morale e dei giudizi umani. 
— Coppay intendasi quella che usavano i mercanti e chiunque tenesse 
banco per contenere la moneta spicciola. — Gamella (Frane), la 
scatola di latta nella quale ai soldati si scodella il rancio. -- Per mondo 
intendasi la società umana coi vecchi ordinamenti. — Barò le V. Nota 4.*^ 
P^g* 59 : ™A si confondeva anche coi ricami e pizzi spenzolanti e sbuf- 
fanti dal petto delia camicia, detti propriam. zaòò. — Qui presenta 
r immagine di un antico speziale in abito pomposo per dare importanza 
alle operaz. dell' arte sua, per significare che altre volte anche nei mi- 
nimi atti si usava un po' più di dignità e di contegno, mentre oggi 
si ostentano una sfacciata usura e una spudorata violenza. 

(1) V. Nota l.% pag. 40. 

(2) baciass (bach, tedesco, superficie d'acqua). 

(3) Intendasi: Se siete con noi borsaiuoli, avrete carte valori, aiuti 
o sconti alla banci ; se non siete con noi vi faremo passare per le 
armi all' uso napoleonico. Allude al colpo dì stato e al banchiere 
Maupas che lo promosse. 

(4) Esclamaz. del volgo adorante il Vitello d'oro e la P^ortuna. 

(5) Si supplisca: sono. 



— 304 — 

I la supplico Eccelenssa, 
Pr'un impie^ — Spiegómsse prest. 

— Pcu studia — S'pódia fé senssa. 

— 1 són pover si, ma onest. 

— Patanù, tóa droga pia (i) 
Al museo V peule pòrtela : 

Tut a va, ecc. 

D' Carolina, oh ch'i saria 
Fortuna s'i fussa spós 
Chila dco; ma papa a cria (2) 
S'a j'é nen die pile e d'eros. 
Amor pover e spianta 
Oh che brut Pòrincinelal 
Tut a va ecc. 

Bòn sofà, bòli feu, bòn chilo 
Glorie intrepide d^ancheui, 
El telegrafo a peul dilo 
Trutadór da portafeui. 
Amor d' patria? Ciuto lai 
Public ben? Frusta ratela! (3) 
Tut a va, ecc. 

Caria d'ani e d'iterissia 
Veul risórge una nassión. (4) 
Ma a cònhda ant la giustissia, 
Ant so drit, ant sòa rasòn. 
Popol stupid e dsarmà, 
Cheus, fricassa ant tòa padela. 
Tut a va, ecc. 

Còst mònd perfid, cóst mónd reo 
Dòn Mastai veul convertì, 
Con le doble d'un ebreo, 
Con le bómbe d'un bandi. 
San Pé s' grata la cirià 
E a sa 'n fòtre còm tòirela: (5) 
Tut a va, ecc. 



(i) Dialogo tra uà ingenuo ed un ministro. Pareggia V onestà ad una 
merce qualunque del droghiere la quale abbia perduto per lungo stra- 
pazzo la corteccia ed il valore. 

(2) cioè denari (V. Nota i.^ pag. 147). 

(3 1 raUla^ tela d* involucro molto rada. 

(4) Allusione all'Italia risorta colle sole sue forze nel 1848. 

(5) Pio IX (Mastai) contrasse un prestito col banchiere ebreo Rot- 
schild di Parigi per rimpinguare il tesoro papale che la Repubblica 
Romana gli aveva ridotto a zero nel lungo assedio e nel mantenere il 



205 — 

Con pistola e carabina 
A va ^n piassa un sfrósadòr; 
Guarda un poch la ghigliotina 
Peni s' proclama imperatór (i) 
Dio proteg Sóa Maestà; 
Ai fa ^1 Diau la sentinela; 
E tut va, ecc. 



costoso presidio francese conservatogli da Luigi Napoleone {òandi, bri- 
gante dei colpo di stato ). San Pietro fa 1* atto di chi è impicciato a 
prendere una risoluzione, vedendo il suo Vicario in terra commettere 
di tali svarioni morali. 

(I) Sempre Napoleone III detto frodatore, contrabbandiere della 
giurata Costituz. Egli dà uno sguardo alla ghigliottina senza cui non 
saprebbe come sostenere l'impero eretto sul terrore. Con ciò egli ha 
i preti e il diavolo dalla sua. 



W 



- 206 — 



<-) LE DOE 



PRIM EMIGRA 

Fìeul d'na mare oppressa e sciava. 
Del Cròat sòt al bastòn, 
Sentia Paria ch'am mancava 
Sót al pèis die umiliassiòn, 
Con la ment piena di' avnì, 
Con la man dsóra '1 fusi 
Peu mach sempre sospira 
Onòr, patria, e libertà. 

D'ij tiran sfìdand la rabia 
Sul sente die próscrissión 
J'eu stanca d'ij dsert la sabia 
E le spranghe die pé'rsón. 
Con la scala li dai pé, 
Sul patiból per mónte, 
I v'eu ancóra saluta 
Onór, patria, e libertà. 

Finalment Dio veul eh' a spenta 
Per P Italia un di gloriós. 
— E ben Róma sestu prónta? — 
Da là dsóra a cria na vós. 



{a) Il Piemonre sottratto all' immediata tirannia dell' Austria mercè 
lo Statato che, a differenza degli altri Stati d' Italia, conservò colle 
altre franchigie ottenute dopo il 49, era divenuto il Sacro Asilo dei 
perseguitati politici. Ospitalità cordiale essi trovarono nelle famiglie 
private e negli uffici pubblici, con sussidii d' ogni genere estesi persino 
agli esigliati della lontana Polonia mediante comitati appositi e perma- 
nenti e pubbliche sottoscriz. Il governo, quando prevaleva la reazione, 
sfrattava di quando in quando i rompicolli, gli arruffapopoli indicatigli 
dalle veglianti polizie, come Alberto Mario, Sirtorì, Nullo, Pisacanc, 
Saffi, Bertani, che pigliavano il verbo di Mazzini rifugiato in una villa 
di Lugano e talvolta incognito scendente a Torino, dove Brofferio Io 
nascondeva. Pietro Calvi da una casa di via dei Mille ordiva la ri- 
scossa del Cadore e partiva devoto al patibolo che 1* attendeva cogli 
altri martiri di Belfiore il 3 marzo 1853. Di qui si combinava il pre- 
cedente moto di Milano che scoppiò il 6 febbraio; e poi più tardi 



— 207 — 



EMIGRASSION 



SECÓND EMIGRA 



Con la panssa ben rotónda, 
Blanch e róss cóm una fior, 
Per la bruna e per la bionda, 
Pr^èfl vin dòss e per Pamor, 
Su la barca dèi piasi 
I vogava neujt e dì, 
Pien d^ rispet e d* devóssiòn 
Al risot e ai macarón. 

Gh'an guerneisso Alman o Russi 
Con la corda o con ^1 knout 
L^ era P ultim d' ij me crussi, 
Mn'a fasia cóm d^un ciap rót. 
Ma imputeme gnun pódrà 
Ch^ j' abbia mai, mai dèsmentià 
(Oh amor sacro dia nassión!) 
El risot e i macarón. 

Mentre j' antri as affannavo 
Sót èl feu die sing giórnà 
A buschesse queich Strass d' bravo 
Con la giónta d' queich sabrà, (i) 



r impresa dei trecento a Saprì. Questa la prima, la sincera Emigra- 
zione. 

Ma di fìanco ali* attiva falange dei veri perseguitati, pullulava la 
gazzarra degli esuli volontari^ di quegli eroi della sesta giornata, come 
dissero a Milano, che trovandosi a disagio tra i fedelissimi sudditi del- 
l' Austria e del Borbone dopo essersi pavoneggiati nel 1848 per le vie 
coli' abito di velluto e coi colori nazionali dopo i pubblici brindisi libe- 
rali, per difficoltà d' impiego e per prodigalità rovinati, cercarono e 
trovarono fra i buoni borghesi del Piemonte una vera cuccagna da 
sfruttare. Costoro vi salirono alle più alte e lucrose cariche, e tolsero 
anche il modesto pane dovuto ai veri patrioti e li fecero sfrattare so- 
vente con basse delazioni. 11 regno d* Italia ne raccolse la onerosa eredità 

dallo spogliato Piemonte. Questi gli eroi della Seconda Emigrazione. 

Il dramma di Brofferio e Tartufo politico > illustra più largam. 
l'uno e l'altro carattere. | (i) sabrà (fr.) sciabolate. 



— 208 — 



PRIM EMIGRA 



E mi in terra e mi sul mar 
Tut me sang dalPEtna al Var 
Esultand v'eu consacra 
Onòr, patria, e libertà. 

Fra '1 splendor d^ un' óra d' gloria 
Mentre d'anime ampautà (i) 
Spèrmio '1 frut d'una vitoria 
Cn'a l'avio nen merita, 
Solitari e pensierós 
Senssa impie^h e senssa eros 
Mach per vói 1' eu palpita 
Onór, patria, e libertà. 

A són nen al mónd eterne 
Le indulgenze dèi destin, 
E die nostre ire fraterne 
L'era giust ch'i vdeisso '1 fin. 
Con èl cheur eh' a stensìa li (2) 
A Milan j' eu dit, bóndi, 
E in Piemónt m'an seguita 
Onór, patria, e libertà. 

Almen vèddlo, almen guardelo 
Peuss ancor me car drapò 
Viva Italia!... Ma cos'elo? 
Sómne ans l'Adige o sul Po? 
N'autra specie d'neuv Cróat 
Am dis : Fora, Democratl 
Dova mai, dòv m'eve mnà 
Onór, patri£^, e libertà? 

Neuvi esilii e neuva guerra 
Am són dónque destina? 
O d'Alfieri illustre terra 
Ant che man t' ses mai cascai 
Dai intrigh d' na rea fassión 
T'ses tradia povra nassión! 
O Piemónt, at vendichrà 
Onór, patria, e libertà. 



(i) ampautà^ infangate. 

(2) collo schianto nel cuore. 



— 209 



SEGÓND EMIGRA 



Dia rasón seguend èl lum, 
Mi m' lassava mné dal fum, 
Nen die bómbe e dèi canon 
Ma da cól d'ij macarón. 

Vist Radetzky a Ivé la sola (i) 
Vist i Taicc a fòte U can, 
E mi fora con na tola (2) 
Da fé sgiai a Gengis-Kan. 
Sòn vèstime tut d' vlù 
M'són buta 'n capei póntù 
Con un bel piumass d^capón, 
Gran risot, gran macarón 1 

Ma Radetzky Pinsólenssa 
Alo pa d'tórnè al Tesin? 
E mi medita e mi pensa, 
E peni zeccate a Turin. 
Prima '1 Circól j* eu odora, 
Peni Giobert j^eu bèrlicà, 
Peui Revel, peni Cameròn; 
Oh virtù dMj macarón I 

Vdua P Italia in fónd la nita, (3) 
Cóntra i gheu repubblican, 
Pagnottista per la vita, 
Peu baulà per dódes can. (4) 
I Peu fait tuti i mèste, 
Peu con grassia tnù '1 candlé: 
Peu pòrta tuti i galón: 
Oh santissim macarón I 

Giù dia Stura e giù dia Doira, (5) 
Dop avei mnà ben A pnass, 
Són rangiame a la rastloira 
Sót Cavour e sót Ratass, 
El Piemónt a Pé mai stait 
Cóm ancheuj vaca da lait. 
Viva '1 bast, viva '1 grupión, 
Viva '1 ris e i macarón I 

(1) Tiucc (Deutsh), i tedeschi. (3) nita, melma. 

(2) tola, latta. Sfacciataggine. (4) òauld, urlato. 

(5) Immagine presa dai cani domestici che per avere la pagnotta 
seodinsolano, menando la coda {^moss) davanti ai padroni. 

14 



— aio — 



J' AMOR D» DÒN MARGOT <-) 



Noi dichiariamo altamAote di amar» con 
•inceriti la Patria e lo Statato. 

A&MOmA, Pfowmmbrm 1857. 

Un dótòr persóna esperta, 
D'vei catarr e d'neuv rangot, 
A Pa fait na gran scuverta 
Ant èl fidich d' dòn Margot. 
Pover preivel a dventa un stech; 
A smia franch un babi sech. 
ChMy la dia la novità? 
Dòn Margot Ve innamora. 

Pian pianin, s'i Steve cinto, 
D'còst neuv cas veni rendve cònt: 
So gatij a Pé '1 Statuto, (i) 
So sòspir a Pé '1 Piemònt. 

La bandiera tricòlòr 

A lo buta tut sòt sòr: 

(a) Il Teol. GKae. Margotti^ duce e maestro della Stampa Qerìcale 
in Piemonte, nacque nel 18 18 in San Remo. Dalla sua famiglia usci- 
rono in varie epoche prelati e magistrati. Dotato d' ingegno pronto ed 
arguto, con alcune sue pubblicaz. si attirò l' attenzione del Vaticano, 
che ebbe in lui uno strenuo soldato. Collaborò prima nel giorn. V Ar- 
monia diretta dal Teol. G. Audisio, fondata subito dopo la promulgaz. 
dello Statuto dal Marchese £. Birago di Vische e da Mons. Moreno 
Vescovo d* Ivrea ; ed in seguito fondò T Unità Cattolica, alla quale 
dedicò tutta la sua vita. Inventò /* Obolo di San Pietro, inesauribile 
fonte di guadagni al Potere Temporale dei Papi: onde Pio IX l'ebbe caro 
e confidente nella lotta contro il governo della Rivoluzione più degli 
stesti Cardinali. Era 1* Eminenza grigia del Cardinale Antonelli. Il suo 
stile ^ra arguto, irruente e fine, denso di fatti e citazioni, con artifizio 
separate dal contesto. Soleva assalire 1' avversario colle medesime sue 
armi. Ritagliava ogni giorno i brani più salienti degli Atti del Parla- 
mento Italiano e Francese. Per ognuno degli uomini politici maggiori 
teneva una casella. Quando se ne presentava 1* occasione vi dava mano 
e citava fal0. parole e date colla massima precisione. Di ciò fece scuola 
anche ai liberali. Mori ai primi di maggio 1887. 

(l) gatij, prurito. — Si noti bene l'umorismo impersonale che sta 
in fondo a questa satira. Lo Statuto ha due facce. L* una rappresenta 
la libertà e il progresso; l'altra afferma il proposito deliberato d'im- 



— 2X1 — 

D'ij bei euj dia libertà 
Dòn Margot Pé innamora. 

Quand as parla d' Monarchia 
Chiel dia gói s' lecca i barbis ; 
Mach eh' a vada in sacrestia 
Peni d Re Pé tut so amis. 
Chiel e '1 Papa, chiel e '1 Re 
A són dói eh' a fan nen tre. 
Dèi códin d' Sóa Maestà 
Dòn Margot Pé innamora. 

Per eh 'a regna la parola, 
Per eh' a domina '1 pensé 
Chiel stampria su d' pasta frola 
Fina '1 Quia conturbas me. (i) 
D'test ebraich e d*test latin 
L'a tut pien tì bicòchin: (2) 
Dèi bièt d' Pasqua antabacà 
Dòn Margot l'è innamora. 

Per ch'i sio dnans a la lege 
Tuti ugnai, ma per da bòn, 
Ogni abus chiel veul còrege 
Con Pamel dPinquisissiòn. 

Cosa sònne i magistrat? 

Sugh d' augnila e miòla d'rat. 
Dia legai die tnaje fòà (3) 
Dòn Margot Pé innamora. 



pedire ogni concessione oltre quelle strappate da volere di popolo e 
da necessità di contemporanei avvenimenti nel 1848. 

Don Margotto (come Sidney Sonnino nel tentativo di reazione 
parlamentare finito coli* Osirutionismo nel iSgPf sotto il Ministero Pel- 
loux) era innamorato della faccia reazionaria e conservatrice, e scriveva 
pei gaglioffi anche lui: « torniamo allo Statuto! » si certamente, ma 
per ritagliarne ogni franchigia, per interpretarne strettamente ogni ar- 
ticolo, e sovratutto il i.®, il 45.® e 1' accenno agli abusi della stampa 
liberale. 

Purtroppo nel povero Statuto liberale si esercitarono molte forbici 
dopo quelle di Don Margotto! cadde la Guardia Nazionale, caddero i 
giudizi d* Assise pei reati di stampa, e la libertà dei pubblici comizi 
venne vincolata colla legge di P. S., mentre alla libertà personale 
(àaòeas corpus) veniva imposta la vigilanza speciale della P. S. e 
l' infamia del Domicilio Coatto, in onta alla compiuta espiazione della 
pena : il diritto di Guerra e di Pace fu esercitato, da indi in poi, senza 
voto di Parlamento. 

(1) Perchè mi conturbi? parole del Salmo Davidico rivolte a Dio. 

(2) La calotta con due creste a croce, portata in chiesa dai preti. 

(3) delle tenaglie arroventate della Santa Inquisizione. 



— 212 — 



Guai la Camera a tòcheje, 
Guai ch'ai bustico '1 Senat, 
A cria subir, dejel dejel 
A fa d'sàut da cavai mat. 
Deputati e Senatór 
Chiel veul fra, preive e cònfsòr. 
Dia Nassiòn ancapussà 
Dòn Margot V é innamora. 

SicurtSssa die pdrsòne, 
Garanssia domiciliar 
A sdn droghe bele e bòne 
Per d' barato da spèssiar. 
Ch'a sia ciair o eh' a sia scur 
eriche, sbìri, e sté sicur. 
Die manétte ben lustra 
Dòn Margot Pé innamora. 

D'ogni sort d'gabele e d' tasse 

Chiel a Pé nemis giura. 

El paYs elo ant le strasse? 

Vaio '1 Slat al Mónt d' Pietà? 
Con la cióca dèi cónvent 
Chiel sciod Por e sciod Pargent. 

D' la tariffa d' sòe mista (i) 

Don Margot Pé innamora. 

I progress e le riforme 
Dòn Margot chiel si ch'ai veul; 
Poche ciance, gnune fórme 
Chiel va drit cóm un cravieul. 

I n'avròma d' giubilei 

D'abitin e d'agnus Deil 
Dèi dòi dsember dia cirià (2) 
Dòn Margot Pé innamora. 

Giù la còssa, giù la malvai 
Sia per bel o sia per brut 
Chiel la patria la veul salva, 
E '1 Statuto a lo veul tut. 
Fé la preuva; deje man 



(1) mistdt immagini sacre; vocab. dialett. nobilissimo: ha, secondo 
noi, la stessa radice ed origine delle parole mistico e mistero: mistica 
imago, 

(2) Due dicembre 1851, data del Colpo di Stato di Napoleone IH. 
V. nota a, pag. 164; — qui vale: trionfo della chierica (cirià). 



— 213 — 

Per ch^a monta su al prim pian; (i) 
E i vSdré che rafia pia 
Dòn Margot innamora. 



GIANDÓJA («) 



Im damo Giandója 
L stagh a Turin 
I beivo a la dója 
I mangio d' grissin; 
D'butir Pan fèrtame (2) 
El fidich e ^1 pré: 
Giandója Pan fame 
Giandója veni sté. 

I Peu na gualdrapa 
Fódrà d'baracan, (3) 
Na cera da papa 



(a) Maschera d' un teatrino di fantocci costrutto di quattro pali av- 
volti in logoro drappo o telone che il cerretano si portava a spalle 
sulle piazze di Torino. Giandója discende direttam. dal Giovanni che 
piange e Giovanni che ride^ di cui a pag. Ii6, e dall'altro prover- 
biale Gióan dia vigna un poc* a pióra un poc* a ghigna. Ma nelle 
poesie piem. del P, Isler^ parroco della Crocetta presso Torino, che 
scrìsse nella i.* metà del sec. XVII, non si trova motto di Giandója. 
In sua vece è Giaco trósy o torsolo di cavolo, gran bevitore ugualm. 
perchè dója è piccolo doglio, che i Toscani chiamano gotto, prede- 
cessori della francese òouteille. Giandója ebbe poi fisso teatrino in via 
S. Francesco d* Assisi nel palazzo dell' Università antica, dove Erasmo 
da Rolterdam, di passaggio a Torino, si fece addottorare. Brofferìo nei 
« miei tempi > accenna le peripezie poliziesche di queste specie di 
lacques Bonhomme pungenti colle loro panzane la oligarchia opprimente 
la plebe. 

Dopo il 1850, prima che sorgesse il Teatro Dialettale di Pietracqua, 
itd. tanta italianità piacendo contrapporre fra loro i vari simboli delle 
regioni sorelle nei carnevali spettacolosi e sul giornale di caricature 
« // Fischietto t, fu rianimato anche Giandója. 

(1) cioè: al governo. — 'Rana pelata, cioè senza quella lustra libe- 
ralesca che si vuol dare. 

(2) La Cucina piemontese ama il burro, non olio né strutto. — Pré, 
ventriglio. 

(3) Baracano, antico tessuto a fiorami gialli che serviva alle coperte 
da letto. 



— 214 — 

N'aptit da sóvran; 
A m'an reflalame 
Un pnass da stampe: (i) 
Giandòja ecc. 

Sul col j'eu na cóssa 
Ch'a vai per dói mlón, 
Sul front l'eu na bróssa, 
Sul nas un bótón: (3) 
Per lenga j'eu d'iame 
Da pónse e tajé. 
Giandója ecc. 

Peu deporti dia fera, 
lyciócbé eh' a soiio d'fons. 
Peu un bel cavai doperà 
E tre cavai d'bróns (3) 
A m'an piturame 
Par dnans e dare. 
Giandója ecc. 

I són d' pasta frola 
S' a 'm guardo d'bón eui; 
I seu fé '1 badóla 
Per piase ai subieui. 
Ma m'ciamne a Pesame? 
Són fórca per tre. (4) 
Giandója ecc. 

Lesend la gazè'ta 
I dvento n'omnón, 
D'istà a la Crósétta 
Vad beivi d' cól bón : 
A barsiga, a dame 
Són franch un grivóé. (5) 
Giandója ecc. 

La bóla^ la taja, 
U ussié, P esatòr 
Che porca batajai 
Che fiero brusór! 



(t) codino. 

(2) ezemi e bottoni proprii ai grandi bevitori. — È linguaciuto. 

(3) Nel '53 sorgevano in bronzo a Torino soltanto ì due cavalli cogli 
stellati Dióscurt avanti il Palazzo Reale, di scuola del Canova, ed 
Kmanuele Filiberto in piazza S. Carlo. 

(4) Come i ragazzi di scuola, se sono interrogato per farmi cadere 
in trappola, so confondere T inquisitore. 

(5) V. Nota 3.* alia Cànz. « I dòi Cònt >, pag. 167. 



— 215 — 

Le braje són lame, (i) 
L^é fiap èl gilè.... 
Giandòja ecc. 

Slingué ^£ir le còte (2) 
L'è me vei pècà 
Am piaso le tote 
Né fie, né maria: 
D' contèsse, d' madame 
Seu 'n fótre cos fé. ^ 
Giandòja ecc. 

Per flema, chi P abbia 
S'am gàtio '1 còdin 
I sauto dia rabia 
Parèi d'un bibin. 
I ciapo 'n fass durame 
I bruso '1 pajè. (3) 
Giandòja ecc. 

Pagand la gabela 
1 sòn Eletòr; 
I fas sentinela 
Al cofo d' Cavour. (4) 
D'sità Pan crearne 
Ses volte Cònsié. 
Giandòja ecc. 

Vad vèdde Miss Eia 

Quand j'eu quaicos d'ròt: (5) 

Si j'eu '1 stomi an canela 
• Vat belve '1 vermout: (6) 

Péfr medich son piame 

Vin, lait e cafè. 
Giandòja ecc. 



(i) La bolletta d' imposta chci aggravando il contribuente, lo fa dima* 
grìre per astinenasa e cUgiuno. 

(2) Sdìlinguir d'amori grossolani. — Cótet sottane. 

(3) Intendasi: Non sovente, ma pure quando sono provocato ecc. — 
(ratio, mi stuzzicano. 

(4) C^/ift vecchia cassapanca dove i contadini tenevano denari e robe. 

(5) Miss Ella, celebre cavallerizza del Circo Equestre Guillaume, che 
(ai tempi della canzone, 1853), splendeva per bellezza e maestria nel- 
l'arte sua. I Torinesi l'ammirarono ancora nel '57 al Teatro Vittorio. 

(6) Se ho lo stomaco affranto. — Cominciarono appena allora (1853-54) 
in Torino, per opera del Marendazzo» del Dettoni, del Cinzano, del 
Cora, del Ballor la fabbricaz. e lo spaccio in grande di questo vino 
bianco stomatico per infusione d' erbe amare, dal nome tedesco che 
vale temerarietà. La politica e gli afiari moltiplicarono i pubblici ri- 



— 2l6 -• 

Dóe volte la smana 
I s6n Giacóbin: 
DMj fra la campana 
Am fa drissé i brìn; (i) 
A són d' plissé grame 
Ch'a venta dèsblé: 
Giandòja ecc. 

Són d'secól ch'am tòca 
Per vai e per brich 
Spasgé con la ròca (2) 
E un bast da bórich: 
Ma '1 mònd vaio in fìame? 
Cóntacc : viva ^1 Re 1 
Giandòja ecc. 



trovi ed accrebbero il gusto e l' abuso del saporoso bicchierino anti- 
pasto. Ma cibo e bevanda tipica dei Torinesi era il caffè -latte a cola- 
zione mattutina detto bicerin^ con panini zuccherati detti tòrcèt e chiffer^ 
e colla goccia di caffè nero in bicchiere per giunta, al prezzo mite di 
quattro soldi in tutto. 

(i) Allude alla cacciata dei Gesuiti nel '48 e alla sottoscriz. pel 
monum. Siccardi. 

(2) Ròca^ conocchia, in gergo: fucile. Basty zaino dei soldati, — 
Nella Storia Militare il Piemonte tenne uno dei primi gradi: fu sempre 
scorrazzato da eserciti stranieri. I Piemontesi col Vercellese Generale 
De-Rege conte di Giflenga si distinsero e salvarono le reliquie del- 
l' esercito al passo della Beresina (nov. 181 2). — L'amore alla Mo- 
narchia è tradizionale: il grido Viva il Re! rannodava le file, e le 
conduceva alla vittoria nelle guerre nazionali. 




— 217 — 



LA PIEMÓNTEISA (•) 

GANSSÓN d' GUERRA DBL 1859 



La spa 'n man e '1 casch an testa 
Con la mè'ccia sul canon 
Piemònteis a na gran festa 
A n'invita la Nassión. 

Plan-ra-ta-plan. 

Marche an avant 

Plan-ra-ta-plan 

Feu su ij Alman. 

A sòn d'secol ch'i aspetóma 
Cóst gran di, cóst gran moment, 
Spetal Spetal Alfin ij sòmal 

. Viva Italia I Oh finalmentl 
Plan-ra-ta-plan ecc. 

D' nostre lacrime a ridijo: 
Om dsarmà l'à sempre tort; 
La rasòn fòmssla, per DioI 
Con A saber dnanss la mort. 
Plan-ra-ta-plan tee. 



{a) Composta dopo un grande intervallo dall' impresa di Crimea e 
dall' £diz. figurata (di cui in Nota a pag. i6o), apparve solo d'occa- 
sione su pei giornali. È un inno di guerra, l' unico che abbiasi in Pie- 
monte di lui; ed anche precedette il popolarissimo di Autore anonimo 
« La Batata (V San Martin » , musicato per banda in grande sinfonia, 
di cui la musica è viva tutt' ora « Nói sòma i fieui d' Giandòja, Nói 
sòma i bògianèn : Ma guai s' la testa an ròìa, Se '1 di die bote a vèn » . 
Di Brofferio si ricorda pure un Inno di guerra posteriorci musicato da 
Enea Briszi quando fu decisa la guerra dèi 1866, per la liberaz. di 
Venezia : « Delle spade il fiero lampo, Troni e popoli svegliò : Italiani 
al campo al campo! È la patria che chiamò » ; ma fu canto arrocato 
del cigno, e le disfatte di Custoza e Lissa, che 1' Autore non conobbe 
più, soppressero anche la memoria delle parole e delle note marziali. 
I.a musa della satira inaridisce il fonte dei lirici entusiasmi. Poi 1' Au- 
tore, come Felice Cavallotti t nato fatto per 1' azione e per la magnilo- 
quenza propria dell' Oratore e dello Storico, non reggeva al muto, lungo 
e sottil lavoro del ben tornito verso italiano, per inveterata consuetu- 
dine aristocratico anche tra la celia ed il motteggio. 



— 2l8 — 

Fieui d'Italia, da la tómba 
In ciamàve neuit e di 
Sentve, sentve '1 sdn d' la trómba? 
FieuI d'Italia i sòma si. 
Plan-ra-ta-plan ecc. 

Piena d'rabia e d'arró^anssa 
A cria l'Austria: chi va là? 
A rispóndo Italia e Franssa: 
Popól, patria e libertà 1 
Plan-ra-ta-plan ecc. 

L' Italiana indipendenssa 
Dio la veul; a n'à dait cilici 
El córage d'I'insistenssa 
E Vittorio Emanuel. 
Plan-ra-ta-plan ecc. 

Libertà per ti a garegìo 
Neuva union, popól e Re, 
A lo san Como e Castegio (i) 
E Palestro e Frassiné, (2) 
Plan-ra-ta-plan ecc. 

A la guerra, a la bataja 
Cóst vej mond as rinóvrà; 
Dal batesim d'ia mitraja 
A risórgg l'umtfSltàl 
Plan-ra-ta-plan ecc. 



(i) Costeggio; famosa terra per la vittoria di Mario sui Cimbri nei 
campi Rudii verso Vercelli. — Fatto d' arme che trattenne I' esercito 
Austrìaco di Giulay mentre Garibaldi a Varese e a Como assaliva e 
rompeva Urban e i suoi Croati. 

(2) Frassintto : castello dei Saraceni ; Villaggio presso Montebello, 
che diede poi il nome preferito al fatto d' Arme vittorioso per la ca- 
rica dei Cavalleggeri di Novara sulle già sgominate milizie Austriache. 



^ 



— 219 — 



I BÓGIANÈN («» 



I Bógianèn a 'n dio: 
Famósa novità 1 
Già tuti a lo savio 
Da dèi mil ani an sa. 
Riputassión franch giusta: 
Sul Po, sul Var, sul Rèn, 
A Pé na storia frusta 
Che nói bógióma nèn. 

Lo san s'a Pé nèn vera 
Guastalla e San Quintin, (i) 
Pastreng, Goito, Peschiera, 
Palestro e San Martin. 



(a) / Bógianèn^ gli immobili, difetto e pregio al tempo stesso di 
costanza nelle difficoltà e nelle sventure. Fu scrìtta poco oltre la Con- 
venzione di Villafranca 12 luglio e il trattato di Zurigo 30 novem. 1859, 
che troncavano le speranze d' una compiuta liberaz. dall' Austria esosa. 
Napoleone III fallì al proclama che aveva mandato agii Italiani pro- 
mettendo che la guerra sarebbe portata dall' Alpi all' Adriatico. Il Papa 
intrigava osteggiando a più non posso V annessione delle Marche e 
dell' Umbria sollevate, e Napoleone di soppiatto aiutava Lamoricière 
che stava costituendo 1' esercito dei Zuavi pontifici mercenari francesi 
a difesa d' Ancona. Non crediamo che la Canzone sia posteriore a questo 
periodo d' inazione per l' esercito Sardo. Non vi si trova cenno della 
memorab. impresa di Sicilia (5 mag. 1860) e* della nostra andata a 
Napoli, che sarebbe stato un argomento principale per respingere la 
taccia d' inerzia. — Questo nomignolo fu dato al popolo Piemontese 
dagli stessi uomini Piemontesi del partito radicale. Ripetuto poi dagli 
Italiani Irredenti cui tardava l' intervento nostro, serve di pretesto 
poetico a torcere in lode di costanza il biasimo amichevole di lentezza. 
Gli emigrati nostri ospiti dicevano anche di Torino che era la Mecca 
d^ Italia e noi, per» fatalismo inerte, Musulmani. Griustamente ora che 
il verbo ci si dettava dalle consorterie francofile Toscane, Emiliane, ecc., 
dotte in preparare poi la Convenzione del 15 Settembre 1864 con Na- 
poleone III deluso del suo redivivo Regno d' Etrurìa. L' Autore ri- 
mette a posto le cose, e difende l'egemonia del suo Piemonte e l'[in- 
tegrità nazionale. 

(I) Guastalla (1734)» Vittoria di Carlo £m. III. contro i Frnnco- 
Ispani alleato all' Austria nella guerra accesa per la success, al trono 
di Polonia. — San Quintino (15)7), Vittoria degli Spagnuoli nelle 
Fiandre, guidati dal profugo Duca di Savoia E. Filib., sui Francesi. 
Essa valse la restituz. a costoro imposta del Piemonte, col trattato di 
Castel Cambrésii (1559). 



— aao — 

GCaeurìa Farisea 
Veule accertevne bea? 
Lo san fina 'n Crimea 
Che nói bógióma nèn. 

Cosa mai veule? I soma 
Na rassa d^fa-fiòché^ (i) 
Che un ciò quand i piantóma 
Gnun an lo fa gavé. 

Per P Italiana gloria 

Un di s'butòmne an trèn? 

An pisto la sicoria, (2) 

Ma nói bógióma nèn. 

Oh quanti affann, oh quanti 
Sudór a n'é costà 
L'impresa d'andé avanti 
Pr'aveite, o libertà I 

Ohimè, che tassa amarai 

Ahi, che crudel veléni 

Ma gnanca dop Novara, 

Per Dio, bógióma nèn. 

Re Bómba e '1 Diau chMo pluca (3) 
Tórno a Caserta a spass: 
Bobolì as beiv so Duca: 
I Talee tórno a Biagrass. 

As torna a pie Martorio 

So vei serpent an sèn : 

A Albert succed Vittorio, 

E nói bógióma nèn. 



(i) schiocchi, fiacchi. 

(2) cicoria, erba amara ; in gergo, cervello, deviazione da suca^ zucca, 
per onomatopeia. 

(3) Per la minaccia insistente di bombardare Napoli insorta dalle 
ancorate navi da guerra prima di darvi lo statuto, e per 1* effettivo 
bombardamento di Messina 27-28 genn., io febb. 1848, indi per le 
cannonate da Castel S. Elmo dopo lo spergiuro 15 maggio id. e per 
le Calabrie messe a ferro e fuoco (30 giugno id. ), Ferdinando li 
Borbone fu battezzato cosi. Gladstone dopo avere visitato le galere 
Borboniche scrisse in Inghilterra la famosa frase: e // regno di Napoli 
è la negazione di Dio t. Caserta ne era la residenza estiva. — Bobolì^ 
residenza estiva del Granduca di Toscana. Giardini famosi che diedero 
il modello a quelli di Versailles con peschiere e getti e giòchi d' acqua 
improvvisi, onde la parola: beiv. — Taicc, deutsch, tedeschi, pronuncia 
Viennese. — Abbiategrassot grossa terra Milanese. — Morforio, tronco 
di statua innanzi a quello di Pasquino^ contrapposto di reazione cleri, 
cale alle licenze liberali di queir epigrammista anonimo in Roma papale. 



221 — 

Pien dMebit e pien d'crussi, 
Per devóssiòn d'fratei, 
S'i fusso Alman o Russi 
N'avrio ringrassià mei. 
E daje, e pista, e caria, 
El sach a Pé già pièn: 
Mandròmne tut an aria ? 
Noi ciuto, e bógianèn. 

La lealtà? La fede? 
Istorie d' fol-fotù. 
Esse d' Cagliostro erede 
Suprema die virtù, (i) 

Stort pass, fausse parole, 

E la lórtuna a veni 

Magnifiche subióle, 

NÓI ciuto, e bógianèn. 

An lasso ant^ le disgrassie. 
Fra '1 sang e fra U dolor. 
Ma bravi I tante grassie! 
I s'ricórdróma d'iór. 

Genio dèi Po e d^ la D(»ira, 

Se ti t'dèstisse nèn, 

Ch^a vado a sóa rastloira, (2) 

Nói ciuto, e bógianèn. 

Ma cribio, '1 temp s'ambreuia, 
Papa, Franseis, Alman, 
Per piène fin la greuia 
Al scur as dan la man. 
Fora i barbis ch^a luso^ (3) 
E con la spa an t' ij ren, 
Adoss ai bruti muso....! 
Cóntacc, bógiómne nèn? 



(1) Allusione alla mancata fede di Napoleone III. — Gius. Balsamo 
avventuriere Calabrese, Conte sedicente di Cagliostrot celebre negro- 
mante spiritista, cabalista e cercatore dell' elizir di vita, della pietra 
filosofale, ecc. che A. Dumas padre idealizzò nel suo romanzo omonimo. 

(2) Rastrelliera in cui si ammassa il fieno al bestiame. Allude ai li- 
berali fedifraghi asserviti al governo per guadagno. — Greuia^ guscio, 
gli ultimi avanzi. 

(3) Gli ufficiali Austriaci portavano baffi impomatati e lucidi, a punta. 
Vadano fuori d' Italia gli stranieri accampati ancora a Trento, Venezia 
e Istria. 



— 222 — 



BAST VÉI E GRUPIA NEUVA («) 



Fé baudètta, o Piemónteis (i), 
Italian ste su cóntent; 
San Martin ant mane d^un meis 
Va fòrgiave un Parlament (2). 
Che fior d'omni, che serve), 
Quante eros, quanti bindej, 
Che agnólot, che macarón 
Che talent, che talentóni 
— Viva l'Italia 
E Flandinet, (3) 



(a) Nel 1853, per le méne del Ministero Cavour, Brofierìo vedovasi 
tolta dagli elettori di Caraglio la rappresentanza di quel Collegio, ed in 
suo luogo riusciva eletto ì* ignoto Generale Delfino. Pochi giorni dopo 
questa sconfitta, gli amici ed ammiratori suoi gli offrirono un banchetto 
nell' albergo della Dogana Vecchia e su di una parete della sala venne 
apposta la seguente epigrafe : e Ad Angelo BroSerio Per avere avuto 
Tonore Di non essere eletto membro Del parlamento Cavour * . Alle frutta 
un messo recapitò a Tommaso Villa un plico. Villa lo aperse: con- 
teneva questa Canzone : la lesse e suscitò grandiss. ilarità nei convitati 
e nel festeggiato medesimo. Più tardi Brofferio confessò di essere stato 
V autore ed il mittente della Canzone che portava la data di Lugano. 
Egli rientrò subito appresso in parlamento, per elezione del II Collegio 
di Genova. — Basto vecchio è la riconfermata tirannia dei moderati al 
Ministero. Greppia nuova è la comodità che il Connubio di Cavour 
con Rattazzi (il mag. 1853) offriva agli uomini nuovi di quella parte 
a partecipare, dopo la loro elezione, a tutte le nuove e laute prebende 
e imprese industr., forniture pubb., giuochi di borsa che ingrassano i 
cortigiani sul Bilancio dello Stato. V. Nota a, pag. 18 1 — Questa Canz. 
fu diffusa dallo stesso Autore in opusc. di 8 face, in- 8^. — È visibile 
la reminiscenza dell'intercalare Giustiano « Viva arlecchini ecc, » 
nel Don Girella, 

(i) Baudetta, campane a festa. 

(2) Ponza di S, Martino Conte Gust., Ministro p. gli intemi nom. 
il 4-ii-'52. • 

(3) Deput. per Aosta, V avv. Flandinet scomparve presto dalla scena 
polit. per dedicarsi air agronomia nel suo latifondo della Ca' Bianca su 
quel di Pinerolo. — Cavour presid. del Consiglio e Min. p. le finanze. 
— Dabormida Gius. Min. p. gli aff. Esteri, padre del Grenerale che 
mori sull'ambe di Adua difendendo le nostre batterie contro Ras 
Makonnen, mentre Barattieri fuggiva. — Alf. Ferrerò di La Marmora^ 
min. d. guerra e marina unite : domò la rivoluz. mazziniana dì Genova 
(4 apr. 1849): comandò la spediz della Crimea e le guerre successive 
del risorg. con quella del '66, sulla quale scrisse « Un pò più di luce *. 



— 223 — 

Cavour, Dabormida, 
La bórsa e '1 ghet, 

— Viva la gloria 
E i pito gras 
Viva Lamormoral 
Viva Ratàss. 

Liberai ste ardi ans la piota (t) 

Per dèsféve dMj Cónvent 

Peve Folto e '1 cónt La-Mota 

Picinel, Despine e Ajrent; (2) 

Dal Cólege d'Mónbersé 

Dsóra Paso ai vèn Come, 

E da Susa a tir da ses 

Ant na gorba av mando Agnes. (3) 

— Viva la fabrica 
jyij c-o ~ co, (4) 
L'ónór, i tàpari 
La Doira e '1 Po; 

— Viva ^1 connubio 
E i so scartocc, 
Pajassa elastica 
DMj can babocc. (5) 

D'an Savoja a vèno aposta 
Per ciadleve un poM Vèscvà (6) 



(i) siate attenti e pronti. 

(2) Dep. di Condove, Avigliana, Alghero, Doing e Porto Maurizio, 
tutti destri e clericali. 

(3) Agnesì Matteo Cons. di Cassaz. — L' A. ne motteggia la pe- 
sante erudizione. 

(4) V. Nota 4. ^ pag. 26. — Tapari, capperi, condimento acre delle 
povere mense, per ricocere carni passate o insipide. Un pizzico di 
liberale in iungo brodetto di riserve e di eccezioni, ecco le leggi di 
riforma. che usciranno da costoro. 

(5) Scartocc: perchè il connubio di Cavour con Ratazzi produceva 
di necessità involute conseguenze, come nato di rigiri. A nozze la sposa 
manda cartocci di confetti alle amiche. Ma questo connubio meriterebbe 
per talamo uno stramazzo come quello che i saltimbanchi preparano 
ai loro barboni (babocc) colle suste di sotto, per avvezzarli al salto. 
Tutta la politica moderata, sta nel saper fare capriole con elasticità da 
un' opinione ali* altra. 

• (6) Essendo la Savoia unita al Piemonte, dava al Parlam. Subalp, 
un contingente fortissimo di deputati clericali, <;pme la popolaz., soggetta 
ai parroci, e costoro ai Vescovi, esigeva. Ardeva grossa questione per 
le prebende che la Dinasfia di Savoia aveva lungo i secoli assegnate 
ai Vescovati di quelle val^i e all'abbazia di Haute Combe, dove gia- 
cevano le ossa degli antenati : mentre i cappellani della montagna^ pur 



— 224 — 



Roux-Valloa e '1 marches Costa, 
Menabrea, Lachenal, Mongelà: 
Per còj ch^Teulo iacameré 
Guardé li eh' a j'é Giaé, 
Per fé sffiai a Lambruschin (i) 
Guardé Ti eh' a j'é Bertin. 

— Viva le pillole (2) 
I fior d'sambù, 
L'estrat d'sicorìa, 
L'erbo fdrcù. 

— Viva i cantaridi 
E Pesatór, 

La bagna d' trifole 
E i pom d'amor. 

Per fé i Codici, Campana 
L'à un sSrvel dMj pi perfet; 
Per la guerra a j'é Mellana, 
Ptv la pas j' é Sanguinet ; (3) 
Peve un Bo, j'eve un Torel, 
Un Martin, un Martintl; 
E pr'andé al marca d'Póirin 
Un Cavai e un Cavalin. 

— Evviva l'inclita 
Virtù d' ij gnói 
E la santissima 
Rasón d'ij frój. 

— Viva '1 telegrafo, 
L'ónór e '1 lard. 



tosando le già scarne agnelle dei loro greggi, sentivano V amarezza del 
loro ingiusto trattamento. Togliere ai pochi grassi prelati per dare ai 
molti scagnozzi, sarebbe stato ottimo espediente di ministri e deputati 
liberali. Avrebbe conciliato all'Italia Nova il favore del basso clero, e 
agevolate le vie del progresso e della libertà. 

(1) Lamàruschint\ abate Toscano, ministro di Pio IX, fautore degli 
Asili d'infanzia con insegnam. monacale ed altre lustre liberalesche, 
avversario acerrimo di F, D, Guerratzi. — Bertint gli fa ribrezzo 
(ironicam.) per eccessivo ardore di libertà. 

(2) Tutti emollienti della farmacia moderata. — Etòq fórcii^ ca- 
priola dei pagliacci camminanti sul palmo delle mani: politica a ro- 
vescio dell' integrità di carattere. — Cantaridi, tartufi, e le bacche 
scarlatte della pianticella amorino, eccitanti erotici: tutti pel connubio 
Katazri - Cavour i idee nuove, coi vecchiumi dell'antico regime. 

(3) Deput. di Demonte, Casale, Chiavari, Sestri, Arona, S. Maurice. 
"^ Cavalli, maggiore d' Artiglierìa, invent. del cannone ad anima fusel- 
lata, Deput. di Torino. — Cavallini, di Sartirana; il mercato di giu- 
menti a Poirino era molto frequentato. 



— 225 — 

Viva la ghulìal (i) 
Viva Sicardl 

Pr' eloquenfsa a j' é Vicari : 
I vèdré che fior d'discórs 
Fra Michlin e Melegari, ^2) 
Fra Richetta e '1 marcnes Orsi 
A saraa i Ciceron 
Duverger, Crosa e Brignon: 
I Demosteni a saran, 
Tola, Spinola e Veran. 

— Viva la patria 

I marenghin, (3) 
Bruto, Temistocle 
E San Martin. 

— Viva le cedole 
La seda e ^1 vlù 
Caloss e Bormida 
E '1 salam crù. 

Fra una Massa e una masètta 
Pelo gran diversità? 
Da una Lanssa o una lansè'tta 
Elo mei èsse scórtià? 
Senssa cr&ta j^eve un Gal (4) 
Sgrapiand ben e cantand mal. 
Da oan Remo, oh che Platon! 
Da Civass, che lasagnón I 

— Viva la machina 
D^j'órdin dèi dt, 



(1) Obelisco in Piazza Savoia ricordante V aboliz. del fóro ecclesia- 
stico e la relat. legge Siccardi. 

(2) Michelini Conte G. B. vi professò poi opinioni persino avan- 
zate; fu orator grave, e molto scrisse sui giornali come forbito stilista 
e dotto agronomo ed economista. Sostenne la massima che il Deputato 
non renda servizi a* suoi elettori particolari, ma debba curare gli inte- 
ressi di tutta la Nazione. £ ai Fossanesi che lo rimproverarono di 
tepido amor locale rinunciò il mandato. — Ma gli altri paragonati a 
Cicerone e a Demostene caddero nell' oblio. 

(3) Strìdente confronto, ma appropriato alla confusione di prìncipii 
polit. nella trasformaz. Rattazziana e Cavourìana. — Ponza di San 
MariinOf Min. p. gli Interni, avrebbe imprigionato gli eroi di Plutarco 
se fossero nati al tempo suo. — Cedole del Debito pubbl., sete e vel- 
luti e ricercati salami d' Alessandria erano principal cura del Min. di 
Finanza, — Gen. Da Bormtda, Min. d. Esteri. — Ca/osso, Dep., fab- 
brìc. di seterie in Torino. * 

(4) Lanza, med. Dep. di Valenza e futuro Ministro; V. Nota 3.^, 
pag. 186. Gallot altro deputato, calvo, della mogia fazione centrale. 

15 



— 326 — 

Le carte-pecore, 
I rat muti; 

— Le legi,^ i codici, 
Pavis, j'edit. 

Le pésse d' Genova (i) 
I rògnón frit. 

A Cortmia Pan fait na Sapa; 
A Savona a j'é un Sapin; 
Da Carro con stola e capa 
An spedisso un Capusin. 
A ven chiel e so mòrte 
Alfóns Prim da Pancalé, (2) 
E da Bioni an mando giù 
Una Sela ambóra d'scù. (3) 

— Viva la fabbrica 
D'i) canestrei 

E la politica 
D'fris e binde); 
— Viva P emporio 
DMj gratacuj 
E la m^^nanima 
Virtù d^j muj. (4) 

Dal Mogol e da la China, 
Povra patria dèspiantà, 
To Farini e to Farina 
I t' j' as propi dèisnicià ! (5) 



(1) Monete del valore di L. 29 le minori, e di L. 1 00 in (mto le 
magg. I topi ammuffiti iìgur. le leggi della reazione. — I rognoni o 
arnioni più frìtti sono, e più indurìscono: cosi le leggi rifrìtte dei 
tempi andati che si vogliono gabellare per liberali. 

(2) Alfonso Lamarmora è detto Prim^ come il Maresciallo Spagnuolo, 
per il suo assedio di Genova. V. Nota 2.*^, pag. 186. 

(3) Sella imbottito di scudi, eletto Dep. di Bioni coli, di Biella, non 

è da confondere coli' allora non trentenne Quintino, illustratore di sua 

famiglia e promotore dell' industria Biellese, dell' Alpinismo, risuscita- 

tore dell'Accademia dei Lincei, Mineralogo ed (ahimè!) esageratore 

del sistema Cavourriano di estorcere con molte tasse indirette dalla 

immensa maggioranza dei lavoratori poveri il denaro necessario a be- 
neficarli di ferrovie complem., di corazzate, di esercito permanente, di 
fortilizi, di arsenali, ecc. 

(4) Canestrellif V. Nota I.*, pag. 164. — FrtSf fettucce e nastri. — 
Graiacut\ V. Nota 2.^ pag. 116. — Muif muli: conservatori superbi e 
cocciuti. Il muto rade il precipizio e s'impunta sotto le bastonate: è 
anche infecondo. 

(5) Farini eletto dittatore dell' Emilia in Bologna e in Modena, du- 
rante 1' annessione al Piemonte, dal partito moderato per sopire i boi- 



— 227 — 

Blono, Arnulf, Notta, Migliet 
T'an già piate fina ^1 let, 
Imperiali e Móntisel 
At pijran fina la pel. 

— Viva la cronaca 
DMj bórsareuj, 
Viva la tattica 

Chi* a sgura j'eui (i), 

— Viva i Pelopidi 

Che al Mónt d' Pietà 
La fede pubblica 
L'àn impegna. 

L^an stendù su j'oss d^Vochieri (2) 

Un Mantel da pólajé; 

A nom d^Ast, patria d'Alfieri, 

Oh Baijn it fas bajél 

Per la causa d' j* Italian 

Montfalcon Pé un Tamerlan; 

Pèfr sóstni la libertà 

A Pé un Cesare Arconà. 

— Evviva i brocoli 
Le rave, i fóns, 
Cibrari, Aristide 

E *1 cavai d'bróns. 



— Viva la stupida 
Nià d' ij pa)ass, 



lori di libertà e regolare colle trasforraaz. e cogli innesti politici gli 
entusiasmi democratici. Ne aspreggiò il partito radicale, e Brofferio 
stesso lo tartassa nei « miei tempi * (voi. ult ). — /^ar/»a, magistrato 
oscuro. — Miglietti^ compilatore, con CassiniSy del Codice Gir. Ital. 
nel 1865, fu anche Ministro. 

(i) Cioè medicina per gli occhi dei gonzi. — Pe lapida fu liberatore 
di Tebe dalla tirannide Spartana. Qui intendasi i repubblicani voltafaccia 
che tradiscono i primi elettori. 

(2) Andrea Vochiert\ V onesto causidico d' Alessandria, che, trovato 
possessore del giornale La Giovine Italia, fu nel 1832 processato nella 
fortezza della sua città, condannato dal tribunale milit. e condotto al 
capestro di pieno giorno per la via dove sua moglie e i figli lo potes- 
sero rivedere dalla patema casa, con indicìbile strazio morale, dopo 
molte vane torture fisiche per estorcergli i supposti segreti. — Man' 
tellif Dep. di Alessandria. I pollaiuoli portavano mantelli rappezzati 
come trafficanti poveri. — Bajno^ Dep. d'Asti, fa sbadigliare per la 
noia de' suoi discorsi malvacci. — Tamerlano, V. Nota 4.*^ pag. X04. 



E Bianchi Giovini (i) 
E Satanass. 

Pr'èl sublime a j'é Genina, 
Pr'èl ffrassiós a j'é Dassinn, 
Pr'èl baroch a j'é Ravina, 
Per Peroich a j'é Pessan. 
Per di d* Pater gìust cóm l'or, 
Largo fieui, a j'é Gerbor; 
Per di d'i4ve da bòn pat 
J'é Marongiu fior d'oblat. 

— Viva le passare, 
I papagai, 

E le prolifiche 
Gabie d'sònaj. 

— Viva la mitria, 
Viva '1 merluss, 
Viva le decime, 
E padre Angius. 

Un spèssiar ch'as ciama Anglesio (2) 

Autament Pà protesta 

Che un barato cóm Bersesio 

Dai so empiastr a l'è scapa. 

Da Thonon o poc o prò 

L'an sghiciannlo un aut Jacquemou, 

E Nicola dal Kremlìn 

A fa i corn a Nicolin. 



(1) Bianchi Giovini, direttore molto stimato dell' Opinione giom. 
conservatore liberale, polemista contro Brofierìo. 

Amedeo Reatina^ da Bene Vagienna, forte poeta e oratore, esule 
lunghi anni a Londra e nelle Spagne, passò dal partito repubblicano 
al monarchico serbando modi democratici e stile di tribuno ; mori Cons. 
di Stato. — Lo stile barocco in architettura è un misto di elementi 
disparati. — L' avv. Gerbere dep. d* Aosta, fu moderatore della ri- 
bellione detta dei zoccoli, che i Montanari Valdostani guidati dai par- 
roci portarono contro il governo abolìtore del forò ecclesiastico nel 
1853. I suoi paternostri non potevano essere troppo giusti se egli te- 
neva il piede in due staffe. — Maróngiou e padre Angius dep. Sardì, 
della Sinistra 1' ultimo : il primo è fior d' oblati, cioè di gesuiti moderni 
con questo nome, che vuol dire : offerti a Dio, 

(2) Anglesio teneva farmacia in fondo a via Milano: fuggi poi in 
America. Vittorio Bersezio, lo scrittore, allora uscito assai giovane dagli 
impieghi e compilatore d' Appendici letter. e teatr. sulla Gazzetta Uf- 
ficiale piem. polemista contro Brofferio, essendo d' opinione mal vacca 
e moderata, lo si paragona ad un barattolo da medicine uscito di mezzo 
agli empiastri d* Anglesio perchè Bersezio non fu eletto. 



— 229 — 

— Viva le cabale. 
Viva j'ambreujj 
E la cómbricola 
DMj portafeuj. 

— El guano, èl fosforo, 
EI gran, ^\ ris, 
L'Italia libera 

E le pè'rnis. 

Dò) Michlin e dòi Cadorna li 
Dój Cadorna e dój Michlin 1 ! 
Pé da perde la cabòrna (i] 
E pie '1 diau prMj manighin. 
A Caluso a Pan elet 
Un Scapin senssa causset; 
A Novara, Sachernón, 
Venta seurbe un cónt Asnón. 

— Viva la celebre 
Stirpe d'j'olóch 

E Pamis dP anima 
Taicc' e sóróch. 

— I rompa scatole 
D'tute le età 

E jMUustrissimi 
Sgnóri d'sità. (2) 

Marchesàs e Marchesón 
Principot e Principìn, 
Cavajer, Cónt e Barón 
Barònèt e Baronin; 
Cape, eros, pruche e ricam, 
Buvatass e matafam, (3) 
San Martin sia ringrassià, 
A salvran la libertà. 
Viva '1 serraglio 

D'ij pòm codogn, (4) 
Lanterna magica 
lytuti i moscogn. 



(i) caòdrna, testa. — Il diavolo preso colle manette, come Io tenne 
S. Bernardo, è figura comica della temuta Democrazia impastoiata dai 
conservatori liberali nel G>nnubio Ministeriale. 

(2) Consiglieri Municipali. [ (3) Fantocci e Befane. 

(4) Serragli diconsi in Torino i mercati coperti delle frutta, e spe- 
cialm. quelli di Porta Palazzo. — Il Cotogno è pomo inservìbile se 
non ridotto in conserva giulebbata. Tale può immaginarsi la ministe- 
riale maggioranza dopo le ultime elezioni fatta d' elementi ridotti dal- 
l' opposizione primiera a servi umiliss. della greppia e del potere. 



— 230 — 

Viva le cariche 
e le pensiòD, 
Viva la grupiatl 
Viva i grupiónil 



EPIGRAMMA 

PER LA PESTA D' SAN MICHEL (') 



Ve ancheui la festa d^san Michel, dèi brau (i) 
Che con la spà Pà scassa '1 diau d'an cel; 
Ma se '1 diau scassava san Michel, 
Tuti ancheui a fario la festa al diau. 



{a) Ricorre al 29 Settembre. I traslochi vi sono ed erano frequenti 
d' uno in altro quartiere abitato, come a Pasqua. Onde i proverbi « far 
S. Michele » e « Da Pasqua a S. Michele », per signif. mutazione, e 
cosa di poca durata. L' Arcangelo di questo nome è dipinto con grande 
spada fiammante in Cielo con Satana sotto i piedi in atto di precipitare. 
L' idea delle scambiate parti da questo a quello è Volterriana. L' Au- 
tore alludeva alle persecuzioni sofferte e descrìtte ne* < mtei tempi » 
perchè egli si era fìeram. opposto al federalista Vinc. Gioberti che non 
voleva la riscossa del 1849, provocando la caduta del suo ministero. 
Il popolo torinese condotto da un chierico era corso a tumulto in via 
del Fieno (ora Boterò), ove il firofferio teneva studio, e gli ruppe i 
vetri delle finestre a sassate. I preti lo facevano passare per il diavolo 
in persona, e le femminucce vedendolo cosi alto, intabarrato e chiuso 
neir alta fascetta nera, sempre di nero vestito, collo sguardo ardente 
quando s' accendeva parlando e colla voce tonante, davano segno di 
crederlo un diavolo rivoluzionano davvero. 

(i) Ancheui^ oggi* 



^ 



POEMETTI 



« Piand p6r divisa la vrità, j' eu scrit 
« Con liber entusiasm in vers e in prosa, 
e Odiand l'adulassion c5m un delit ». 



-^-■ge^-ga-^g.-ìze-^~%--^>sge.vga..^gB^sg><ga>5^^ 



MIA SURTIA C) 



L' oltracotata schiatta, che s* indraca 
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il dente, 
Ovver la borsa, come agnel si placa. 

Già venia su, ma di piccola gente. 

Dante — Par., XVI. 



A Pé lónga, per Diol Pé un ann chMm lasso 
Ròmpme cristianament ij chitarin 
Da una turba d' Can Cerber eh' a s' amasse 
A deme V arma apress seira e matin ; 

A Pé un ann eh' a tapagio, un ann eh' a erio 

A Pé lónga da bón, lònga per Diol 

Ma cosa? mach un ann?.... Dal prim moment 
Che dia vita inespert j'eu pretendù 
D'emaneipeme con ij sfors dia ment 
Da la gran gerarchia dMj foi-fótù, 
Pun con le torcie, j' antri con le tnaje 
L'an criame a le spale: — daje dajel 

Sul matin dia pi bela e cara età, 
Seguitand i fantasmi dPillusión, 
Pr'un pover branch d'iaur im són rablà 
Sul sente die vigilie e dMj magón, 
Crivlandme Pintelet e la memoria 
Pr'una pugna d'eoi fum ch'as ciama gloria. 

(a) Scritta per la propria liberaz. dal carcere dopo l* inutile tortura 
morale inflittagli per ottenere rivelazioni sulla congiura di cui è cenno 
nella Biografia e poi oltre. Tutto rìducerasi, in fondo, alla diffusione 
della Giovine Italia di G, Mazzini e alla divulgazione di un manifesto 
da presentare a re Carlo Alberto, onde concedesse la desiderata Costi- 
tuzione, nel '31. 



— a34 — 

FiguraDdme che ^1 sólch dresistenssa 
A fuss sèmnà d'giònchiglie e nen d'papaver, 
Am guidava '1 sòris dia cónfidenssa 
Con r anima sul front, d cheur sui laver, 
E a travers ai còldr dia fantasia 
Im fabricava un mònd in poesia. 

Piand p({r divisa la vrità, j'eu scrit 
Con liber entusiasm in vers e in prosa; 
Odiand l'adulassìón còm un delit, 
Sul Tever j*cu invoca Salvator Rosa; (i) 
J'eu canta Missolunghi su la Sena, 
J*eu presenta sul Po '1 Vampiro in scena. (2) 

E cosa n'aine ótnù? cosa? un brevèt 

D'in veti ve, d'ingiurie, d'insólensse. 

Chi 'm clamava un sònaj, chi un fótrighèt, 

Chi un scritór stipendia da Eccellensse; 

E '1 Parnaso camoiand in sacristia, 

A m'an butà '1 mantel dP ipocrisia. 

Stanch d'ij ragir, die insidie, die ciapétte (3) 
D'j'invidiòs, d'j'intrijjant, d'j'anim pervers, 
Stanch die ciaccìare insulse die gazètte, 
Stanch d'martléme ^1 cupiss con d'rime e d' vers 
Sul mar dia vita j'eu cambia la barca; 
J'eu duvert èl Fabro e j'eu sarà '1 Petrarca. (4). 

A Pera pochi di che d'mia carriera 
I m'avanssava su la neuva strà, 
Quand T istoria fatal^ ma istoria vera!) 
Dè'svianame un matin im són trova 
Solitari e desert aut un cantón, 
Slóngà dsóra la paja dia pélrsdn. 

Im són vist sót le volte d'un segret, 
Sót le fra dèi silenssio e dA dolor, (5) 
Con la mort ch'am próntava '1 catalet 
Fra le esequie d'ij sbiri e dèi sótrór, 
All'ombra d'quatr arcade afFróse e scure, 
Trassà da l'architet die sepolture! 

(I) Commedia ed Ode di cui è cenno nella Biografia. V. pure pag. 197. 
(a) // Vampiro, altra Comm. in 5 A. rappr. p. la 1/ yolta in 
Torino il i6-7-'a7, (Tip. Chino e Mina, 1835). 

(3) pettegolezzi. 

(4) Fabro, Consigl. del Senato di ginst. in Torino, fu autore d' un 
commento riputato alle leggi Romane ed anche ai ducali Decreti, nella 
2.^ metà del 1600. — V. Biografia, 

(5) fr^ inferriate. 



— 235 — 

Lònghe a Pero le neuit, lòngh i momenti 
Ma fra tanti sagrin, fra tante pène 
A vnia sóens a pas^ieme dnans la ment 
Un pensé eh' a seuliava mie cadène, (i) 
E una vós dóssa dóssa an fónd al cheur 
Am fasia benedi quasi ^1 malbeur. 

Dop sent'e ottanta dì, fra le ansietà 
D'una vita fìerissima e crudel, 
Peu torna vist, j'eu torna saluta 
La verdura d'ij camp, Pazur d£l del, 
J'eu tóma senti '1 balsam dParia pura, 
E im són chèrdume an pàs con la sventura. 

An pàs con la sventura?.... Ahi giust allora 
Peu dvù ciamé an sócórs tut me vigor, 
Giust cól di là m'é rubatame dsóra 
Tut lo eh' a Pà '1 destin d'pì traditór; 
A cól dì, a cól moment a Pera dita 
Chi dvia conosce '1 mónd, j'omni e la vita. 

Coi che tant as vantavo d'essme amis, 
Ch'j'avria daje me sang a custodi, 
Am salutavo con un freid sóris, 

as voltavo da là vdendme da sì, 
Cóm sa bischeisso d'nen aveime vist 

A surtì d'an pèrsón con dnans '1 Crist. (2) 

Sèrcand ant Parsenal dPiniauità 
Tut lo eh' un peul trové a' pi micidial, 
Con Parma dPassassin, e da stèfrmà, 
A Pan pórtame al cheur un cólp mortai, 
E a Pan prova che per inventé d' martiri 
A j'é d'eoi ch'as n' mtendo pi che ij sbiri. 

Cheur da tigri I.... iv cónosso, iv leso ant j'eui 
Dóv av rusia la spina eh' j' ève an sèn: 
Anime d'pauta vèrnisà d'órgheui, 

1 lo intendo, i lo sciairo ch'av cónvèn 
Ch'i sia barbarament sacrifica 

Per gaveve la marca dia viltà. 

(1) Seuliava, lisciava, carezzava. 

(2) Come se loro rincrescesse ch'io non fossi morto. Allude ai falsi 
amici che lo fuggivano per non cadere anch' es» in sospetto alla po- 
lizia, o invidiavano l'aureola di gloria che la persecuz. polit. procura 
ai coraggiosi. Egli sfida quel gentame a dimostrare la verità delle loro 
calunnie. Dicevano che l' Autore avesse comprato con rivelazioni e de- 
lazioni rovinose ai compagni di congiura l' ottenuta libertà. 



236 — 

Feve avanti, parie, móstreme i guai, 
Móstreme le sventure ch^ j' eu sèmnà ; 
S'elo fasse per mi d'ij funerai? 
Pelo staje ale vidòe desola? 
Dòv sònne i tribuna!, le próscrissidn, 
Le sentensse, le corde e le pè'rsòn? 

E d'vòi stessi, d'vòi eit ch'im bute an eros. 
Farisei d' con tra d^Po, cos n'elo stait? 
Rótónd e grass e fresch e pròsperós, 




a spass, 

(I) 

Chi seve, fier Censór e fier Catón, 
Ch'ira propóne a model vostre virtù? 
Una rassa gloriósa d'Pantalón, 
D'eòi eh' a Pan per sèrvel d'mióla d'sambù, 
Ch'a giudico ex abrupto e senssa appel 
Dal tribunal suprem d'piassa Castel. 

D'eoi Cannino, d'eòi Perriè, d'eoi Richelieu (2) 
Ch'a Pan studia '1 drit public sui rampar, 
Che applaudend al teatro un pus à deux^ 
A mando Soult sul Ren, Glausel sul Var, (3) 
Che tra i sòrbet e le granite as glorio 
D'fé '1 bóneur die nassión dal cafè Fiorio; (4) 

D'eoi Platon da Armanaeh e da gì ornai. 

D'eòi Fabii ch'as profumo a la mille jfleurs 

D'cóla specie d' Temistocli servai 
Ch'a van a Maratóna dal trateur; (5) 
Dispost pr' una pensión a bè'rliché 
La pòver, dòv èl Diau a buta i pé; 

D'eòi famòs rompa scatole ch'a veulo 
A speise dèi bon sens dventé òratór. 
D'eòi ch'a penso andé ai posteri s'a peulo 
Deprimend j' antri, fé discòre d'iòr. 



(I) V. Canz. a pag. 96. 

(3) Canning. celebre Ministro di Giorgio II in Inghilt. ai tempi del 
Peeta, — Perrier^ V. Nota 7.*, pag. 37; e Nota ar, pag. 53. — 
Rampar: Studiarono i moderati Torinesi sugli spalti della città murata 
ridotti a giardino pubblico e frequentati da coppie amorose. 

(3) Soult, maresc. di Napoleone. Ciausel, generale di Luigi Filippo. 

(4) V. Nota 5.», pag. 43. 

(5) Maratona, battaglia vinta dai Greci contro Dario d'Istaspe. Ve- 
ramente capitanava Arùtide, non Temistocle: (a. 480 av. Cr.). 



— m — 

D'eoi eh' a pretendo figure ant la storia 
CÓQtand ehe '1 Papa a spòsa Dona Gloria, (i) 

Su, eóra^e, su via, eóntinué pura, 
Ingiurie, ealunié, tire pur drit: 
Pavré mai '1 piasi d'ieme paura, 
Mai la eónsolassión d'saveime afflit, 
Peu eón mi pr' affrontò la maldieenssa 
Me eórage, me genio e mia eóseienssa. 

I dicembre 183T 



LA SENTENSSA D'MINOSS («) 



c Mischiate sono a quel cattivo coro 
€ Degli Angioli, che non foron ribelli, 
< Né far fedeli a Dio, ma per sé foro. 

Dante. — In/,, III. 



Al pa'is eh' a s- arriva da ogni banda 
Piand post al veloeifero dia mort, 
Dóv tuti a sbareo ansem a una lòeanda, 
Grand e pcit, povr e rich, debol e fort, 
Una matin j'é rubata je giù 
Un minist eh' a l'ha fait l'erbo fórehù. 

(I) V. Nota 2.*, pag. 35. 

(a) Neil' £diz. e Italia, 1843 » l'Autore dava a questo Poemetto il 
titolo e Apoteosi S Casitnir Perier ». — Abbiamo rìso sulla figura 
barbina di un mitragliatore di popolo giunto al cospetto dell' eterna 
giustizia nei e Funerai d* Sant Amò ». Sul Calvario dei popoli tra- 
diti da libidine di potere, la rìvoluz. di Luglio 1830, 1' elez. di Luigi 
Filippo e il suo primo ministero sotto la presidenza d' un capo del- 
l' estrema Sinistra, Casimiro Perrier, segnano un primo tradimento 
scontato 18 anni appresso nelle giornate di Febb. 1848 colla fuga del 
re borghese in vettura chiusa dalle Tuileries. Saliti al trono, e al mi- 
nistero colle mani colme d' incomode promesse, presto se re liberaroDo 
spargendo queste come polvere ai quattro venti per comprimere con 
quelle ogni respiro dell' insorta Europa. 

Casimiro Petrier aveva lasciato credere ai Polacchi, ai Belgi, agli 
Italiani che la Francia costituzionale e democratica non avrebbe per- 
messo più oltre che le loro legittime aspirazioni d' indipendenza nazion. 
fossero conculcate dai trattati di Vienna. Ciro Menotti chiamato alla 



— 238 — 

A marciava con n'aria d' siraiteri, 
Pian, pian, fè'rtandse '1 front, rusiandse i di, 
Cóm s*a Pavèissa da traónde Algeri, (i) 
O a Paveiss Wellington da digerì, 
E guardandlo ben fìss un ai sciairava 
Ch^sul stomi Pavia ^1 Papa ch'ai ròjava. 

Dop avei blinblinà da si e da là. 
A s'è ferma ans la riva d'na bialera, 
E dsór na barca frusta e sgangarà 
Ecco un vei barcareul con brusca cera 
Che ausand '1 rem per deie '1 bón prò fassa, 
Ai dis: — toch d'un cójón, ven sì ch'it passa. 

A nói, povri Cristian, còl pcit debù, (2) 
D'una frev tersa Pavria fait PefFet, 
Ma un ministr, si ch'ai fa, chiel Pa chèirdù 
Gh'a fuss na caramela d'Lafayet; (3) 
E a Pé mónta ans la barca dia laguna, 
Figurandse d'rampié su la tribuna. 

Dia dal fium, fra d'ij camp, d'ij bosch, d'ij prà, (4) 
D'i) filagn d'móscatel, die vigne d'freise 
A Pà vist furmiólé na quantità^ 
D' anime eh' a smì'avo ómbre chineise, 

corte di Modena con carezse e lusinghe dal Duca d' Este Francesco IV, 
vi aveva lasciato intravedere le speranze dei liberali italiani fondate 
su positive promesse d' appoggio dal governo francese onde l' Austria 
si ritirasse dalla Lombardia e si lasciasse a governarla con una liberale 
costituzione lo stesso Duca di antica stirpe italiana. Ma erano lustre. 
C. Perrier non poteva ignorare l' inanità di tali speranze, e l' intimo 
pensiero cosi del suo re come del prìncipe che si serviva di Menotti 
per avere in mano le file della congiura e consegnare tutti al carnefice. 
U indelebile macchia di sangue che insozzò il ministro traditore è da 
Minosse^ il supremo giudice Dantesco, segnata con inappellabile sen- 
tenza, e lo caccia dall' immeritato paradiso. 

(1) I Francesi vi entrarono trionfando il 5 luglio 1830. C. Perrier 
capo della Sinistra nel parlam. sotto il caduto regime aveva naturalm. 
osteggiata quella spediz. Ora gli toccava digerirla e rimangiare le sue 
teorie. — Wellington vinse Bonaparte in Ispagna ed a Waterloo, ge- 
nerale supr. degli Inglesi. Ora al ministero bisognò fargli moine, benché 
la disfatta invendicata fosse pei francesi un pruno negli occhi. Anche 
al Papa bisognò fare Tocchiolino dopo averne detto racas in parlamento. 

(2) debti frane, principio. 

(3) V. Nota 5 *, pag. 36. — Lafayette invecchiato, succhiava giu- 
lebbe alla Camera dei Pari. 

(4) Il paradiso dei furbi affiiristi, come per i trafficanti Greci è nei 
Campi Elisi, una florida campagna dove 1' ozio regna sovrano ; « Otium 
divos rogai ^, canta Orazio: gente incredula che sta al positivo. 



— 239 — 

Che ant la celeste patria 's dìvertio 
Gatiandse i gómp per de gloria a Dio. 

Asta sót la verdura d'un pinacól, (i) 
Rangiandse gravement i manighin, 
Colbert e Richelieu fasio j'óracól, 
Parland con Castelrigh e Mazarin, 
Tuta gent che pr'ónór dia monarchia 
L'avrìo fait base '1 Diau ant na cuchia. 

Nost ministr, che dcò chiel pr'èl trono d'Franssa, 
Per la causa Monarchico-Europea, 
S'era fasse vnì tanti dolor d'panssa 
Fin eh' a Pà dóvù strensse la corea, 
D'acant a Mazarin s'è andasse aste, 
Disend: eh' a scuso: i sòn mónsù Perrié. 

Apèna senti lo, coi quat padróni 
A son ausasse tuti maravià. 
Guardandse e bórbótand fra d'iòr: — cójónil 
Sì ch'i sario pa mal ancanajà! 
Un bourgeoisl un liberali un dottrinari! 
E con lo l'àn vóltaje '1 tafanari. 

Cól pover Casimir l'è resta lì 
Cóm s'a fuss d'cartapista o d' princisbech, 
Ambajà, straluna, reid, angrumlì, 
Parei d'un tabaleuri o d'un blambech, 
Quand ecco a vèd spóntè da poc lontan 
Foy, Manuel e Benjamin Constan. (2) 

(i) Vestivano con ricche trine ai polsi, secondo la moda dell' e- 
poca ( 1600). Colberti succeduto a Richelieu^ tentava riparare in parte 
al danno che la persecuz. degli Ugonotti produsse alle Industrie fran- 
cesi sotto Luigi XIV, col favorirle in vari modi. — Richelieu abbattè 
la potenza dei grandi vassalli, unificando la potenza milit. della Francia. 
— Mazarino si destreggiò nelle discordie della Fronda^ per modo che 
la monarchia venisse trasmessa intatta al successore anche durante la 
minorità e T agitata reggenza di Maria De Medici, — Castelreagh^ 
grande Min. di Giorgio II re d' Inghilt. successo a PiU ( V. Nota 2.*, 
pag. 55 ), fu con Metternich e Nesselrode ( V. Note a pag. 39, 63 e 153) 
uno dei grandi combinatori della Santa Alleanza. Tradì Napol. I. affi- 
datosi sul vascello Bellerofonte, e per ordine di lui tradotto all'isola 
della morte in S. Elena: tradì la repubb. di Genova affidatasi dopo 
la caduta di Napol. all' appoggio dell' Inghilt. per riacquistare la pri- 
mitiva indipend. Tutti costoro avrebbero fatto reliquie sacre dello stesso 
diavolo, e 1' arte loro era di far venerare la Monarchia dai popoli an- 
gariati ed oppressi. 

(2) Compagni del Perrier all' estrema Sinistra e alla Sinistra del 
parlam. di Carlo X .Borbone. Foy generale, gli altri due oratori e gior- 



— 240 — 

Ai cor ancòntra spalancand i bras, 

Sciamane!: — oh! seve sì, me cari amls? — 
Foy, eh* a Pé sempre stait un bòn fiólass, 

A rera già lì lì per fé un sóris 

Ma tut ant un moment na vòs funesta 

A cria: — Foy, cosa fastu? arrestai arresta! 

Cos elo? a guardo tuti ant una yolta 

Da còla part eh' a Pan sentì la vòs, 
E con na faccia livida e stravolta, 
Con i laver viólèt, con j'eui sagnós 
A vèddo un'ombra pensierosa e sola 
Con una riga d'sang antdrn la góla. 

Dnans a Perrié piantandse immobilment, 
Ai dis : — guardme .... m' conostu ? . . . . i sòn un om 
Chi t'as vendù, chi t'as tradì vilment; 
I sòn Menotti!!! — A còl terribil nòm (i) 
El pover president dèi juste milieu (2) 
Prima Pé d venta verd, peui Pé vnù bleu. 

E Menotti a sògiuns: — I sòn mi còl 
Che, inganà da tòa non intervenssiòn, 
Peu chè'rdù che in Italia i ragg dèi sòl 
A spònteisso dal Var o dal Sempiòn, 
E intant ti dal Mònsnis t'fasie baboja 
Per vèddme a torse '1 col per man dèi boja. 

Ma cosa parine d'mi? quanti Italian 
Manda per ti in esilio o carcera, 
A mangio bagna d' lacrime un toch pan 
Stentatament còncess da la pietà, 
Intant che ti t'fas d'iegi e t'pie die misure (3) 
Pr'insulté fierament a sòe sventure. 

Guarda la giù eòi povri disgrassià 
Circonda da una nuvola d' dolor, 

Guarda a sòn d'Pòlòneis sacrifica 

Da ti, dai to artifissi traditòr 



naiisti polem. famosi. Nei « Miei tempi » l'A. li loda difiiisam. Pre- 
pararono nelle alte sfere parlam. la caduta di quella dinastia fondata 
esclusiyam. sul diritto divino. 

(i) Ciro Menotti sperava che una diroostraz. armata di Francesi 
sul Varo e nella Svizzera imponesse all'Austria di astenersi dall' in- 
tervenire negli affari d* Italia e di ritirarsi al di là delle Alpi. V, Nota 3.^ 
pag. 36; I.*, pag. 13X. 

(2) V. Nota a, pag. 36; 4.*, pag. 51 ; a, pag. 53; i.*, pag. 131. 

(3) misure^ parola frane, per provvedimenti, usata in diplomazìa. 



— 241 — 

Con le man soleva, guarda, o crudel: 

Per la Polonia a imploro ancóra ^1 del. (i) 

Guarda.... coi là a són d' Belgi ch't'as ridòt 
Con d' protocol a la disperassión, 
Coi chMt vèdde la giù ch^a pióro d'fót, 
A són d' Paris, d' Grenoble, a^Nimes, d'Lión, 
Che ^iamandte d^travaj, d^pan e d^sócórs, 
T'f às manda d'cartatóce e d'bei discórs. (2) 

Guarda.... ma ant cól moment a curióse 
Minoss a Pé passa da cóla banda, 
E vdend fra ciair e scur mónsù Perrié, 
Cosa, as buta a crié, cos'è sta landa? (3) 
Senssa U dispositiv d'una sentenssa 
Ti t'vène a fiche si? che impertinenssal 

Adess a mi.... Chi é là?.... Zichin zichet 
A j'é santa je fora quatr'arcié 
Con èl pnass fait a serp, con dói córnet, 
'^ Nóbilissim emblemi d'so mèisté, 

Ch'a Pan pialo, ampactalo, anvi^tójalo, 
E dellcatament Pan bèrlicalo. (4) 

Pónfate!.... a Pan campalo ant na baciassa (5) 
Dóv la Giustissia eterna a lo tormenta 
Tnendlo da j' anche an giù fica 'ant la giassa 
E da Pamburi an su ant la péis bujenta: 
Còsi mes ant èl geil. mes ant èl feu 
A treuva dco a Pintern èl Juste milieu. 

29 maggio 1833. 

(1) Solleyaz. dei Polacchi contro Nicola I il 17 nov. 1830, per lu- 
singhiera speranza della Francia Orleanese (V. Nota i.\ pag. 131). 
Per le stesse lusinghe il Belgio si sollevava contro 1' Olanda e ne bat- 
teva l'esercito al Parco (23 seti. 1830). Ottenne poi l'indipendenza 
per la Convenz. di Londra 20 die. 

(2) Il 9 apr. '31 gli operai di Lione si sollevarono contro Luigi 
Filippo, chiedendo pane e lavoro. Era cominciato il movimento comu- 
nista. Il quarto siato 8* avanzava contro la dominante Borghesia ban- 
caria a chiedere il compenso della rivoluz. a cui esso aveva dato sangue 
ed averi. Domato, risollevò la testa nel '48 e nel '70, finché abban- 
donate le esperienze falansteriane (V. Nota 4.°, pag. 55; ristrette 
per necessità ai singoli centri, e caduche per necessità di avverso am- 
biente, il quarto stato diffuse ed ordinò 1' associaz. intemaz. dei lavo- 
ratori dietro Marx ed Engels, e formò il partito organico dei Socialisti 
coi rappresentanti e coi risparmii di tutto il mondo. 

(3) landa, intrigo. 

(4) se lo son leccato, sorbito, come un buon boccone. 

(5) Il girone dei traditori ntW Inferno Dantesco è un lago gelato. 

16 



— 242 — 



L'ORDINANSSA •> 



La ville de Paris est mise en ctat de sìègc 
Ord. 6 juÌB 1833. 

Vói ch'i m'eve prèsta vostra assistenssa 
A Pòccasión ch'j'eu fait con Carolina 
Prima un Tratato, peui na Cónferenssa (i) 
Per stampela sovrana sitadifia; 
Vói chM n'cve scòta, titól per titòl, 
Particól, i paragrafi, i capitòl; 

Vói ch'i la vdie giure tuta confusa 
D'cóntentesse d'un trono patriot, 
Avrijve mai chè'rdù che, con la scusa 
Ch'a l'è mi ch'i veni feme san-culot^ 
Am butria, pr'un cìòché piand una busca, 
La capital dd regno an saussa brusca? 

Mi ch'i dventava mair, mi ch'i vnia bleu 
Pèrtant eh' j' afe di' interno andeisso ben, 
Mi, dvot dèi centro, amis dèi juste milieu, 
Ventlo pa vèdde lì tut ant un nen, 

{a) Pubblicaz. dello Stato d'Assedio in occasione dei moti repubbJ. 
scoppiati in Parigi alli 5-6 Giù. '32, con Ordinanza che da noi si di- 
rebbe decretO'legge emanata dal Minist. di Luigi Filippo. Ricordiamo 
che il Poeta simboUeggiò nell' amata Carolina ( forse da Carlo X re 
costituz. in Francia) la libertà promessa sempre e non mai ottenuta 
dagli Xtal. Degli scherzi composti su di essa un po' salaci e molto 
sagaci egli trae partito per applicarli alla reazione dichiarata dal go- 
verno di Luigi Filippo sorto testé dalle barricate. Questa satira contro 
la impotenza delle altrui costituz. liberali era permessa sotto T antico 
regime despotico del Piemonte, come oggi anche in Russia. Ma i Lettori 
iniziati nel linguaggio furbesco di BrofFerio comprendevano 1* Allusione 
che sotto vi stava, contro le non ancora mantenute promesse di re 
Carlo Alberto dopo la sua recente salita al trono (27 apr. '31). — 
Vedami attentamente le Canz. a pag. 25, 2;, 50, 53, 57 e rispet- 
tive Note. 

(i) I cittadini sono sovrani nello Stato come tutto il popolo, secondo 
il Contratto Sociale di G. G. Rousseau. I monarchi e gli altri magistr. 
cittadini non sono che i semplici delegati del potere popolare. 



— ^43 — 

Con dMegi che gnun sa dóv Diau aj pèsca, 
Buteme ^1 pat social ant P acqua frésca? 

I Deputati a Pan la frev tèrsana. 
La Camera dMj Pari as rusia i di, (i) 
L^órdin publich a baia la fórlana 
Al són d'un armóniós charivart^ (2) 
La Libertà s'andeurm ant sóa garita 
E me Popól sóvran Pé ant la nita. (3). 

Peu bel cité d' statuti nassiónaj, 
Parie d'giustissia, espóne mie rasón; 
Per dèsfesse dPambreui d'ij Tribuna) 
Chila am sciod al moment na Cómmissión, 
Fórgìandla a Patelié d'mònsù Guizò, 
D^ Montesquieu con d^ giberne e con d'sakò (4) 

E tut Ioli perchè? Povri tavan, 
Ch'iv lasse angabiólé da le promésse, 
Imparé còm a trato e com a fan 
Quand a dvento sovrane le metrésse, 
E ch'av serva d'esempi con la bela 
Un povr innamora eh* a va *n canela. 

A datava ancor nen da quindes dì 
La póssessión dèi trono e dia coróna, 
Che la Charte còmensava già a scrussi (5) 
Pr'un atach d^anfretdór a la Bourbóha, 
E con mila pretest, mia neuva R^ina, 
Am còmensava a de brèn per farina. 

SMm presentava pr'implóré quaich grassia, 
Am rispóndia con aria d' impassienssa, 
Che un'ora prima Pavia pia la cassia; 
Che cól di li Pera nen di d'udienssa: 



(i) Senato o camera Vitaliàa di regia nomina. 

(2) fr. chiassata e fischiata. 

(3) La libertà guardata da un esercito permanente è sempre soggetta 
alla reazione. Quindi calza la metafora della garitta o guardiòlo, in cui 
s' addormenta per inezia coatta. 

(4) Le Commissioni parlament. sono destinate dal Ministero e dalla 
maggioranza a seppellire la maggior parte delle liberali riforme. — Era 
succeduto lo storico dottrinario Guiaot all' oratore dottrinario Casim. 
Perrier nella Presid« del Consiglio di L. Filippo. Egli aveva com* 
posto il Tribunale Statario con elementi soldateschi per giudicare i 
ribelli, denominandolo farisaicam. Commissione, ed esautorando cosi 
le Corti d'Assise ed i Tribunali Ordinari, come sì praticò pure 
da noi. 

(5) scrussit scricchiolare V. Nota 5.% pag. 54. — Brén, crusca. 




— 244 — 

E, an qualità d'Canslé quand j'insistia, 
Am sarava sul nas la Cansleria. 

Na bela volta, finalment, i tento 
D'feje vèfdde ch'i sciairo i so sótman; 
Ma chila, su le furie, am dis ch'i dvento 
Un gof Carlista, un gheu Repubblican ; 
Mi jMnvoco Particól trant-e-tre, (i) 
E chila am volta un maestós dare. 

Si vnòma a parie d'j' esteri am rispónd 
Ch'a van m carta d' musica j'afé, 
Che chila a sta an s'ia sóa con tut '1 mond, 
Ch'a tèn mesa l'Europa ant so panie, 
Ch'as ritiro i Prussian, che i Russi a dsarmo. . 
Cose da de d'antende al cavai d' marmo. 

I seu eh' a manda e eh' a ritira d'plich 
Per feme d'cóntrabband... I seu ch'as god 
A de d' parole dósse a Metternich, 
A tóché 'n poch '1 gómo a Nesselrod (2); 
E con lord Grey, a s' conta per sicur, 
Ch'a j'é staje quaicos tra ciar e scur; 

A fa '1 cdmmess d' frontiere per la Spagna, 
A fa per l'Inghilterra '1 ciapa-ciapa (3); 
As lassa de dia strusa da l'Almagna; 
Dal port d'Ancona a fa bochin al Papa; 
E su mia faccia, senssa serimonia, 
Un Cosach aj squinterna la Polonia. (4) 

S'a vèd ch'i fassa '1 fier, chila m'angheusa 
Còntandme che i Carlista a pio l'abriv; 
Ch'a j'é coi da la bèrta color d'reusa (5) 
Ch'a veulo buté '1 trono a l'ablativ, 
E ch'a s'è piasse un Robespier sul fait 
Cariand una pistola d'ris al lait. 



(I) L'art. 33 della nuova costituz. stabiliva V àaòeas corpus^ l'in- 
violabilità del domicilio e (salva la flagranssa di reato) vietava gli ar- 
resti dei cittadini. 

(a) V. Note a pag. 39, 63 e 153. 

(3) impedisce il transito ai propagandisti di libertà. — Ciapa-ciapa^ 
birro. — Strusa^ donna da trivio. 

(4) V. l'Ode « La mori del Pólóneis » e relat. note pag. 130. 

(5) berretto frigio, repubblicani. — Attentati poco serii dei repubbl. 
contro L. Filippo, orditi in gran parte dalla polizia, per atterire i titu- 
banti, autorizzare provvedim. despotici, acquistarsi grazie come la Taide 
Dantesca, e rendersi necessaria. 



crot 



— 245 — 

A dovrà d'espressiòn d'gata mórbafia, (i) 
Profuma con d'essensa d'gratacui; 
A parla del gran Pópol, dia gran Smana, 
Dia gran Rivolussión, dèi gran meis d'Lui; 
Ma (T eseguine i pat s*i veni parie, 
Am pia subit un tòn da meis d'Gené. 

E dop avei giugà l'ónòr al lot, 

Ròmpù dia fede publica 'I sigil, 

Avei butà Pindipendenssa al ere 

E la gloria ant le man d'Mònsù Persil; (2) 

Crèdla pa d'ampaté sóa causa persa, 

Fasend al Belgio odóre *1 fum d'Anversa? (3) 

Ma se i Rappresentant a són d'grupión, 
E ben, tut un a Pé, sautóma '1 ifoss, 
Tambussòma a la Cort èfd Cassassion, 
Dóv'a j'é d'Avòcat con d'iiber gross. 
Dóve monsù Dupin, con toga e baver, (4) 
A fa vnì '1 sang viólet fina ai papaver. 

A Pedit barbaresch dèfl stat d'assedi, 
Pópónreu Vatel, Grossio e D'Aguesseau; (5) 
Ma s'i vedreu ch'ai sia pi gnun rimedi, 
E eh' venta frise da vorrei o nò, 
Sciavo! i bruso la Charte, i pio '1 breviari, 
E i vad a canté '1 Passio a San Salvari. (6) 

12 giugno, 1832. 

(i) gatta sorniona che finge sonno e agguanta la preda. Grande set- 
timana delle giornate di Luglio che portarono il Duca d'Orléans re 
eletto sul trono dei Borboni. V. Nota i.% pag. 131. 

(3) V. Nota 3.*, pag. 54. 

(3) I Belgi combattendo contro gli Olandesi, che non volevano adat- 
tarsi a perdere una delle più floride parti del nuovo regno, avevano 
assediato Anversa facendola capitolare il 25 die. '32. U governo Or- 
leanese sosteneva i diritti dei Belgi: questo era il fumo. Intanto An- 
versa non passava al Belgio, come città limitrofa, ma restava per volere 
diplom. alla vinta Olanda. 

(4) Dupin, min. di grazia e giust. e allora presid. della Suprema 
Corte di Cass. in Francia. 

(5) Celebri Autori del Diritto delle Grenti o tutelare delle ragioni 
umanitarie, anche fra gli orrori della guerra e delle repressioni tra estr- 
citi ordinati e semplici ribellL 

(6) L' Autore conchiude alludendo alla fine destinata dalla Reaàone 
a tutte le Monarchie Costituzionali cattoliche, di cadere nel dominio 
clericale, se scampano dalla Repubblica. — S. Salvano, oggi ricovero 
di vecchi, era nel '32 una pia confraternita. 



— 2^ — 



AL POETA DEL POPÒL <- 



BSBQUIB DLA FÓLISS 



Soldato fran^ait, il n'est qu'ane victoire; 
Cett d'fttre libres, et toos ne l'dtes pas. 
BimANOSm, £# Ccrdàm taniiaire. 



A sospira Paris, la Franssa a pióral... (i). 
Olii mèi Cos'élo — Béranger Pé mort. 
Crudel nótissial Ma perchè sót-sóra 
Pi^rchè, as buto croton, caserme e fort? 
D'un neul dd popol sóc la povra stanssa 
Galòn. plache, apolèt cos veulne di?... 
Cantòr dia libertà, cantór dia Franssa 
Oh t'as fait ben, oh t'as fait ben d'murii 

(a) La polizia di Parigi che rende gli ultimi onori al Canzoniere 
civile che la fustigò più di tutti ne' suoi quarant' anni di lavoro sotto 
i tre regimi militarista, clericale e affarista, dal i8io al '48 doveva 
essere una contraddizione cosi grottesca allo spirito dell'emulo Canzo- 
niere Piemontese, da ispirargli 1' amarezza dell' intercalare che è la 
chiusa obbligata di questa sublime e patetica Elegia. Brofierìo antive- 
deva, cantando quel supremo scherno della fortuna, una sorte uguale 
alla propria. Non esequie ufficiali avrebbe desiderato per lui e per sé, 
ma l'accompagnamento spontaneo (e non represso dalle guardie del 
nuovo dittatore clèrico militare ) d' un popolo inutilmente riscosso cod 
tanto sangue a libertà! 

Scopo evidente di quegli ipocriti onori, quasi per degnazione alla 
gloria letteraria nazionale offerti, fu sempre nei governi despotici di 
strappare al defunto (poiché non potevano al vivo) l'aureola di popo- 
lare affetto quasi labaro di future rivendicazioni. Gli antichi Greci sim- 
boleggiarono queste apoteosi ufficiali deificando gli eroi perseguitati in 
vita, e costringendoli cosi ad entrare nella sfera normale delle Caste 
dirigenti: solo i tiranni più stupidi fecero guerra alle statue di Bruio 
e all'erme di Socrate, Gli altri, come Augusto (V. Dionee Plutarco), 
se ne fecero ponti d' oro, e Oranio potè, adulando, cantatagli e euncta 
terrarum subacta Pratter <Urocem animum CaUmUl » 

(I) ptórOf piange. — Béranger moriva il 16 luglio 1857. 



— 247 - 

Antórn a to cónveui con la front auta 
I serco ^1 popól d'Franssa vincitór, 
E i vè'ddo un popòl ricama con d^pauta (i) 
Ch'a regala d* crossa per féte ónór (2). 
Gent eh' a téiio al pai's i pé ans la panssa, 
Mach a guardé tóa romba a són sburdi (3). 
Cantòr ecc. 

Vìvel e {>£rchè?... La gloria, la grandéssa, 
La virtù, la giustissia, la vrità 
Són cambiasse in musèi, bast e ca vessa : 
Mirt e làur Pan pródòt paja e stanga. 
Verm d' alcova, d' missal, d' bórsa e cP finanssa 
Sul scheletro dèi Stat són fasse ^1 ni : 
Cantór ecc. 

Perchè vive? La Russia a tors le corde; 

Londra a pia pr' èli cólèt stè'rmand la man ; 
A Madrid preive e fra continuo a morde; 
A Viena 's turniss d' fórche per Milan: 
A Paris funeral e cóntraddanssa ; 
A Róma vei pcà d' Eva e feuje d'fi! . . . 
Cantór ecc. 

T'as scarpisà le boje panatere 

D'poiiss e d'córt, d' caserma e d'gabinet: 
Ministr e diplómat f as piaje a pere. 
Tiare e coróne t^as manda je al ghet. 
E peni? Guarda d' gesuita che abbondanssa! . . . 
A grigna '1 Papa, Bómba as lecca i di! (4) 
Cantór ecc. 

Una nav, it Pas vista, a Pé partia 
Crì'and popól, Italia e libertà! 
Un pugn cPeroi, oh gloria, oh maravia! 
Le Termopili al mònd Pà rsuscità. 
Viva '1 colar, a cria la mag^ióranssa. 
Viva '1 pai, viva '1 knout, viva '1 buji! (5) 
Cantór ecc. 



(1) pautOf fango. 

(2) crossa colpi dati col calcio del fucile {crasse, fr.) dai soldati pei 
respìngere la folla del feretro. 

(3) sòurdi, spaventati. 

(4) Bómba, V. Nota 3.*^, pag. 220. 

(5) Allude alle poche ma sincere reclute che l' indipend. dell' Italia 
raccolse tra i radicali Francesi nelle sue guerre contro l' Austria per 
la difesa di Venezia il 1849, quasi a protesta della vile impresa di 
Roma diretta dal gen. Oudinot, ordinata dal principe presidente, colla 
connivenza della Destra falsam. repubblicana delle Camere Francesi. 



— 248 — 

Dime, o cantór dia Franssa, asto nen dWolfe^ 
Falite a vive gheu, sòl e passient, 
A fé tóa ca die steile s6t le volte, (i) 
A cónfidé ant èl Dio dia brava eent? 
El Dio dMj bórsareui, che Dio dia ganssal 
Chiel si d^miraco eh' a na fa, chiel sii 
Cantar ecc. 

T'as forgiane d'canssonl — El fieul dè'l Papa, 
V Om Ross, la Mort dèi Diau, Turlututù, 
Le Tote, Padre Eterno, i Ciapa Ciapa, 
El Can d* San Rock, i Singher, ì Panssùl ,. 
E tut lo per scursete la pitanssa 1 
Perchè nen canté '1 Passio? Aut mei per ti! 
Cantòr ecc. 

Armusciand la politica triaca 

Con èl muso ant la grupia dèi góvern 
I t'as mai gentilment vòlta casaca 
Per servi Satanass e Padre Etern. 
Dignità? Cònvinssion? Pudór? Cóstanssa? 
Droga frusta, fèr rót, decot mufii 
Cantòr ecc. 

Pecatòr senza tropa ipocrisia 
Pi eh' le dame at piasio le madamin; 

Bele e grassiòse jLisa e Rosalia 

T'amave senssa piume e crinòlin. 

Strèita moralità, larga òsservanssa: (2) 

Oggi Amor in Ebreo s'è convertì: 
Cantòr ecc. 

Apostòl die nassión dal sèn dia tomba 
T'vè'dde la vita esilio e disònòr. 
Lamoricière a spéta invan la trómba; (3) 
Charras as bat la front per gran dolor. 

(i) leggasi: sotto le volte delle stelle: le soffitte e il cielo scoperto. 

(2) proverb. regola della Società di Gresù. « nisi caste, saltem caute ! » 
— Amore poi convertito in Ebreo, vuol dire matrimonio o bagasciume 
per calcolo. Gli Alphonses messi in scena da A. Dumas fils divennero 
in Francia più numerosi sotto il secondo Impero. 

{3) Lamoricière^ vincitore di Abd-el-Kader nel 1847 (V. Nota a.% 
pAg. 140) godeva come generale una rinomanza popolare, e in lui con- 
fidavano i repubbl.; era stato bandito cogli altri deputati della sinistra 
dopo il colpo di stato. Si credeva ch'egli potesse avere gran seguito 
nell' occulta parte liberale deli' ufficialità Francese. Indi 1' augurio Brof- 
feriano. Del suo voltafaccia molto posteriore, inutile parlare. — Anche 
Charras^ scrittore molto rinomato di cose milit» era una speransa degli 



— 249 — 

Sue, Blanc, Ugo, Quinet, santa alleanssal 
Ma a santifico i Re, stole e fusi! 
Cantór ecc. 

Nà pcit, oscar e sót un trist pianeta, 
A ti són aranbame umil scólé (i): 
Grand^om, gran sitadin e gran poeta 
Stendme la man e ajutme a tribulé. 
Eia propi sepólta ogni speranssa?. . 
Ohi s'a spunta la luce a^un bel dì, 

Cantór dia libertà, cantór dia Franssa, 

Leva la testa: cianine i sòma sii (2) 

esuli. — £ug* Sue da ufficiale di manna divenuto romanziere, poi da 
ammiratore del principe pretendente nei « Misteri di Parigi » dive- 
nuto fervente repubblicano e socialista, compose neir esigilo il Rom. 
stor. « Storia cP una famiglia attraverso i secoli » , b*elliss. lavoro di 
propaganda; dopo, 1' « Ebreo Errante », fustigatore della moderna 
gesuiterìa. —> Di Victor Hugo basta accennare il nome, e la figura 
dell' esule poeta dei « Chdtiments * e del « Napo^éon le petit » dal- 
y alto scoglio di (iuernésey risorge nei nostri ricordi come la Nemesi 
vendicatrice. I suoi libri prepararono la catastrofe polit. dell' Impero mi- 
litare, simultanea all' onta di Sédan. — Quinet^ storico dei Comuni 
Italiani e sempre difensore della libertà; cacciato dalla Cattedra Sor- 
bonica, moriva esule in Isvizzera. 

(1) Il riconoscim. della precedenza è proprio dei grandi Autori alti 
e sinceri : la dissimulaz. è dei piccoli. Ma la fiaccola dell' Arte si tra- 
manda: è di tutti e di nessuno. 

(2) Il vaticinio e 1' offerta furon raccolti da Gius. Garibaldi^ ospite 
tante volte dello studiolo Brofferiano in villa e n'ella stretta via Boterò 
a Torino. Per la libertà della vicina nazione quanti Italiani, poi, die- 
dero con esso le giovani vite! 




BIBLIOGRAFIA 



Edizioni delle Poesie Piemontesi : 

1/ edia, Lugano, Tip. Ruggia e C. 1839, m-l6% 148 pag. 

2.* idiM, Italia, 1843, in-l6% 144 pag. 

3.*^ edÌM, Edite ed ined., a cura deli'Aut. Torino, A. Fontana, 1849, 
in-lóS 288 pag. 

4.^ edi». (Ignota: forse l'Autore considerò come 4.* le Nuove Con' 
Moni che pubblicò nel 1854-55). 

5.* edi9, Torino, 1858, G. Blancardi, in-i6^ 366 pag. 

6.^ ediz, eseguita colla scorta di correz. e note lasciate dall' Aut., 
con pref. di Tomm, Villa, Tonno, 1868. G. Borgarelli tip., e Gius. 
Marchisio Editore, in-l6^ 334 pag. 

— Contraffazione della 6.^ ediz. si conosce dalla mancanza delle 
iniziali T. V. (Tomm. Villa) che si trovano nell'ed. originale, appiè 
della prefaz. 

— Nuove Cannoni Piem, Torino, Biancardi e Co. 1854-55, in-8^ gr. 
con incis. in legno ; sono 1 5 dispense numerate. 

— In morte di B/ranger, versi di G. Prati ed A, Brofferio^ To- 
rino, 1857. Pelazza, in-8'', opusc. di 24 pag. 

— Canssón Piemónteise d'A. Brofìerio e d'antri Autor. Turin, 1866, 
Bias Moretti, in-i6^ 76 pag. 

7.^ edis, corred. delle varianti d* altre preced. ediz., e di due ritratti. 
Torino, F. Casanova, 1881, 484 pag. 

8.^ edin, Torino, F. Casanova, 1886; (Circa questa Ediz. vedasi 
V Avviso in fine al presente voi., dopo l'Indice). 

9.^ edi9. Tip. d. Gazzetta del Popolo. Torino, 1892 in-i6^ 232 pag. 
e. I ritr. Prezzo L. 0,60. Contiene le sole Canzoni, senza i Poemetti. 



r^TB. NsMuna di dette Bdiz. ha Commenti, né Biografia. 



Delle altre sue Opere parlasi nei Cenni Biograf. che preced, il voi. 



— 252 — 



BIOGRAFIE: 



Oltre quelle disperse nei vari giornali lui vivente e 1* anno della 
sua morte, notiamo le seguenti raccolte in volumi: 

Colici Paul : Ange Brofferio ( Silhouettes Contempor. ) Turin, Gianini 
e Fiore, 1855, in-32®, av. portr. et autogr. 

Duprat P. : Le parlement Italien. i voi. 

Montazio £nr. : Angelo Brofferio. Torino, Unione Tip., i86a. ( Crai- 
leria Nazion. dei Contempor. Ital. ). i voi. in 24^, e. ritr. in acciaio. 

Petrucelli della Gattina: I moribondi del palazzo Carignano. Mi- 
lano, 1862, in-i2^ 

Profili parlamentari estratti à2\V Espero. Torino, 1853, i.*^ Serie, 
I voi. in- 16°. 

Pugno Federico: Angelo Brofferio. Torino, Ant. Audisio, 1868. 
I voi. in-i6^ 



INDICE 

dei Capoversi, coi Titoli di ogni singola poesia 

chiusi fra due parentesi 



PJLEFAZIOITE pag. V 

C£NNi Biografici » ix 

Norme per la pronuncia » xxxiv 

Canzoni del I ^ perìodo » i 

Canzoni del 11^ periodo » 157 

Epigramma » 230 

Poemetti * 231 

Bibliografia — Biografie » 251 



CAPOVERSI E TITOLI. 



Ah ! si, sòn còste, sòn còste le piante ( El bosch d' Vignole ) 

Ahi! ahi! ahi! ahi! ahi! ahi! (Litanie pr* ij me mai). . 

A r an dime, o Carolina ( \J impiegato ) 

A 1* é drolo da bòn ( Serenada a una famósa ballarìfia ) . 

A r é lònga, per Dìo ! T é un an eh* im lasso ( Mia surtia ) 

A r é neuit : a losna, a tròna ( \J Apòntament ) . . . . 

A 1' era mesa neuit, 1' aria a soffiava, ( Dòpia festa ) . . 

Al paSs eh' a s' ariva da ogni banda ( La Sentenssa d' Minoss ) 

Al prim di' ann, sul cari del tròn ( La Ca granda, ossia una 
festa a ca del diau) 

Amis, fòma còrage (Set d'Agòst) 

Ant Si mèis eh' a j' é la brina ( Me att d' fede ) 

A pretend queich moralista (La pròvidensa) « 

A sospira Paris, la Franssa a piòral... (Al Poeta dèi popòl. 
— Esequie dia Pòliss) 

A sta '1 baròn d' Onéa (Sòr baròn) 

Bòna neuit, me cari amis (L'Arengh, ossia la Cònfessiòu ge- 
neral) 

Bòndi, care muraje. (Me ritòm) 

Bruta neuva: Orate^ fratresì ( L' Abòlissiòn d' ij cònvent) . 

Carolila, abbia pasienssa (Trant'ani) 

Carolina, a ditla ciaira (La prima volta) 

Carolina, elo nen vera ( L' ìndòman ) 

Carolina, i lo savia ( L' ultimatum ) 

Carolina, oh che allegrìa (La iògassa) 



pag. 

» 

» 

» 
» 

» 
» 

» 
» 

» 

» 



loi 
126 

57 
144 

233 

95 
122 

237 

103 

36 
72 

n 

246 

42 

83 
149 

170 

79 

25 

27 

53 
12 



— ^54 — 

Che diau astn, o CaròlilU (£1 Choléra morbus) pag. 86 

Qui lì; ciato là (La Revisidn) » 109 

Compagn die mie TÌcende (Me vCsti) » . > 7 

Con Flìp, re d*ij Fransèis, (La mort dSl Pòlòneis) ...» 130 

Con sòa pcita cassìStta (La marmòta) » 118 

Cosa vulve a ròmpme i tapari (£1 liber del mònd) . . . > 18 

Cosa v'schéve mai le miòle (La pruca) ........ 81 

Còsta vita falabraca (I Buratin) ^ 15 

Da la eros dia sepoltura (La libertà Italiana, dedica a la me- 
moria d'ij Protei Bandiera) » 154 

Dal ciabot eh' a m' a vdù nasse (£1 pòver esilia) .... » 28 

Dal di eh' j' omni a 1' an decis ( La pratica legai )....> 22 

Dal pais dia garabia (La cabana) » 33 

Dal prim di ch'j'en fait la sapa (La Stèila del Piemònt) • » 151 
Da Napoli an gualdrapa (Msé Bastian, ossia él Còngress 

d' Napoli) » 146 

Dan, dan, su Francescan ( L' Oscurantism) » 114 

Destin becco-fòtù (Crudel destin) » 3 

D*ij vaché da l'assemblea (Sòr Cavajer) » 48 

Dominatòr die sfere, eh' it pretende ( Un viage pr* aria ) . . > 98 
Dòn, dòn, dòn, dòn, dòn, dòn, dòn! (Al cusiné dSl Cònt 

Cavour mort dèi choléra a Turìn) » 162 

Dop tant temp che di' esistenssa (Vira! vira!) » 128 

£ccellensal... Al cònt Fracassa ( L' educassiòn ) » 46 

Fé baudStta, o Piemònteis, (Bast véi e grupia neuva) . . » 222 

Feme largo, i vèno adess (£1 còngress d'Milan) .... » 141 

Fieni d'na mare oppressa e sciava, (Le dòe emigrassiòn) . » 206 

Fra l'Almagna e fra la Franssa (I dòi Cònt) ,....» 167 

Già ch'i sòma al di d'j'uUve (£1 Vicari d' Modena). . . » 89 

Guarda che bianca luna (La barchetta} > • » 68 

Guarda si, mia Carolina (£1 tratato) » 59 

I Bougianèn an dio: (I Bògianèn) ....,....» 219 
Jer dia, caria d' berloch, tapissà d' plache ( I funerai d' Sant 

Arno) * 164 

Im clamo Gìandòja, (Giandòja) , » 213 

In Orìent mentre a dacóta (Luisiu o Nicolò?) » 175 

L'alleanza a 1' é cònchiusa, (La Crimea) » 194 

La bruta neuva ch'i riceivo (L'umanitari) » 139 

La nòtissia a 1' é sicura, (Una scapada del vapor) .... » 185 

La ratojra 1' é un bel mobil, ( La ratojra ) , » 200 

La spà 'n man e '1 casch an testa, ( La Piemòntèisa ; Canssòn 

d' guèrra del X859) » 217 

La strà dia vita, oh ! eh' a 1' é cara ( GKòan eh* a rid e Giòan 

eh' a piòra) » 116 

L' autra neuit i sòn sognarne ( Còst mònd vei ) » 61 

La vrità eòi cU' a 1* àn esalta ( L' impostura ) » 60 

L'è ancheui la festa d' San Michel, del brau (£pigramma; 

per la festa d' S. Michel > 230 

Libertà? Progress? Giustissia? (La pòmada d' protocol) . . » 191 

L'istess di che le mie nosse (Sòa £coellenssa) » 66 

Maestà, tati a consento (Supplica Chinéisa) » 197 



— 255 — 

Mi seu nen che diau a T abio (Patrìotism d* Piassa Castel), pag. 92 
Pan ! Pan ! Pan ! — Oh che tàpage ! ( L' Umanità e '1 mérluss, 

ossia Cavour e '1 cholera) ^ 188 

Per cos*élo eh* it sagrine (L'Autor a l'Autor) ♦ i 

Per marcie 3' eu bsogn dia caaa ( I regret d' un véi sòldà ) . » 44 
Pest, critógama, tempesta, (I Bòmbòn d' sòr cònt; regal p€r 

le feste) , » i;8 

Piand la luna pr' ìj barbis (La gloria dèi Paradis). ...» 106 

Povra amia, povra compagna (Mia Anima) » 5 

Pr' eduché sòa pcita fia ( La nona ) » 70 

Rosalia — Vita mia, (Rosalia) » 133 

S' a m' à dait la Pròvidenssa ( A va nen ben ) » 64 

Scusme, scusme, Carolina ( La Carati na ròta ) > 30 

Se a Natal iv treuve sensa (Mia entrada) » 9 

Sòn progressista, ben intèis, (£1 progressista) » 136 

Sor scultòr, bòndisseréa (Un neuv monument) » 181 

Sòt ai frói, dare d* na gria (Me cantòn) » 159 

Stòf d' èsse gheu, d* èsse manan ( La ciarlataneria ) . . . . » 112 

Tè Melampo, tè, yèn sì ( Me can ) » 2X 

Ti ch'it sés d'una triaca (La rasòn) » 40 

Tuti i di a spass giù d' còntrà d' Po ( Biografìa Piemòntèisa, 

ossia Michlòn d' còntrà d' Po ) » 96 

Una volta ant la baraca (La còpa e la gamèla) .... » 203 

Un dòtòr, persóna esperta (J'amòr à* Dòn Margot) ...» 3 io 

Voi ch'i m' ève presta vostra assistenssa ( L' Ordinanssa ) . » 242 

Vói eh' iv ciame fìerament ( Le Spirit fòlèt ) » 74 



Fine. 



Avviso : 

Dichiariamo che la presente Edizione ( unica OOn i comment i ) con- 
tiene tutte le poesie piemontesi di Brofferio a tutt' oggi note ; e che lo 
tre seguenti: « Ai Gesuita (V Svissera * *. La risposta » e e '£ Còngress 
d* ij Sciensiati a Tur in » contenute nell' 8.* Ediz. di F. Casanova, 
1886, furono da noi escluse perchè non sono di Brofferio, ma bensì 
del medico Scipione Giordano^ come si rileva dal libro di quest' ul> 
timo e Rime di più che metso secoio, Torino, Tip. d. Gazzetta di 
Torino, 1893 »• 



EX LIBRIS 



A. 



del Codice; — Statuti di Vinovo interamente trascritti 
e dotati di un indice ordinato per materie; — Copiosis- 
sime note a delucidazione del testo; — Indice analitico. 

11 tutto è arricchito da Fedute, Ritratti, Stemmi, Iscri- 
zioni, FaC'Simili, ecc. riprodotti in foto-incis. (oltre a 40). 

L'opera formerà un grosso volume in-8°. La stampa 
vien fatta su carta forte; la coperta in pergamena miniata 
in istile, ricca e severa. 

La tiratura sarà limitata a soli 200 esemplari nu- 
merati rf/ cui a tutfoggi non rimangono più dispo- 
nibili che 18. 

La pubblica:(ione è fatta per Sottoscrizioni al pre^o 
di Lire 35 la copia; prezzo modesto, dato il lusso ed il 
costo materiale dell'Edizione. — Le copie che rimanessero 

« 

insottoscritte, saran messe in commercio al prezzo fisso 
ed invariabile di L. 50. — È quindi evidente l'utile di 
chi si sottoscrive in tempo. 

/ Sottoscrittori non pagheran nulla se non alla 
consegna dell' opera finita . 

Ogni sottoscrittore poi avrà diritto che 
il suo Nome, Cognome e Titoli vengano 
inseriti nel LIBRO D'ORO che prece- 
derà l'opera. 

Chiunque può sottoscriversi con semplice cartolina postale. 



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Fia XX Settembre, 8y, presso la PiaT^T^a San Giovanni 

Sono pure uscite presso di noi, in questo 
formato: 

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EdÌT^iom Centenaria, adorna di una Vita^ due Ri- 
tratti, Poesie Inedite^ copiose Note e Bibliografia^ a 
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